Ci piace la Spagna ma ci tocca la Sicilia.
Il pippone del venerdì/99
Non saranno il toccasana di tutti i mali, ma i risultati delle elezioni spagnole rappresentano una boccata di ossigeno. Anche perché sono l’ennesima riprova di come la sinistra quando fa il suo lavoro i voti continua a prenderli. Certo, poi c’è un insieme di elementi che ha permesso al Partito socialista spagnolo di arrivare quasi al 30 per cento, dopo anni di declino: c’è un leader credibile, c’è stato un periodo di governo in cui le idee nuove dei socialisti hanno potuto confrontarsi con la concretezza quotidiana e non hanno sfigurato. C’è stata anche una buon campagna di comunicazione, con messaggi secchi e incisivi.
Ma al di là di questo mix di ingredienti, che sicuramente aiuta a raggiungere un buon risultato, si verifica ancora quello che abbiamo visto in Inghilterra con Corbyn, in Portogallo, perfino negli Usa alle elezioni di middle term: non è più tempo di corsa al centro – del resto in Spagna ben presidiato da due formazioni politiche – la sinistra torna a vincere quando si rimette i suoi vestiti, quando aggiorna le sue idee alle nuove condizioni sociali, difende i più deboli, parla ai lavoratori e non ai finanzieri. Le proposte sono semplici e le avevano già inserite nella legge finanziaria la cui bocciatura ha portato poi alle elezioni anticipate, ne ricordo alcune: una patrimoniale sui redditi più alti, aumento della tassazione delle rendite finanziarie, 50 milioni per contribuire alle spese scolastiche delle famiglie in difficoltà, aumento del 25 per cento del salario minimo, pensioni indicizzate all’inflazione, interventi contro il cambiamento climatico, poteri ai sindaci contro le bolle speculative sugli affitti. Fanno i socialisti, insomma.
La ricetta è talmente semplice che ci è arrivato anche Cacciari, per il quale permettetemi di nutrire una rispettosa ma decisa antipatia. Al filosofo basterebbe ricordare come Bersani ‘sta cosa qui la ripete da qualche anno. E anche lui ci è arrivato un po’ per scossoni e per contrarietà, come direbbe Guccini. Insomma, anche in Italia si dovrebbe tornare a fare la sinistra da posizioni non marginali: costruire una nuova forza popolare di massa. Peccato che poi tutti lo dicono ma nessuno lo fa.
Escludendo le cosiddette sigle della sinistra radicale che – uso una frase sentita spesso da ragazzo – hanno perso l’appuntamento con la storia e restano subalterne al Pd, chi può fare questa operazione? Articolo Uno, con tentennamenti e troppe incertezze, questa strada l’ha indicata. Di sicuro non ha le forze per arrivarci in solitudine. Il convitato di pietra resta il Pd che non si rende conto di come la sua funzione, se non sceglierà da che parte stare, sia di fatto esaurita.
Perché nello stesso giorno in cui in Spagna vince Sanchez e i dirigenti vari della sinistra italiana inneggiano al leader iberico, qualcuno parla di vento cambiato, altri stappano lo spumante, lo stesso esatto giorno, dicevo, succede che in gran parte della nostrana Sicilia il Pd si allea con Forza Italia. E non si dica che si tratta di elezioni locali, che non hanno significato politico: lì c’è ormai una vera e propria alleanza strutturale tra Faraone, il boss ultrarenziano locale, e Miccichè, storico luogotenente isolano di Berlusconi.
Ora, non dico che sia ovunque così, ma il caso siciliano mi sembra perfetto esempio di come il Pd di Zingaretti non sia né carne, né pesce. Siamo ancora all’equivoco della cosiddetta vocazione maggioritaria, ovvero il marchingegno con cui Veltroni ha eliminato tutti gli alleati, riducendoli all’irrilevanza, salvo poi accorgersi che in questa maniera vince sempre la destra. Siamo ancora a un partito indeciso su tutto: la campagna elettorale per le Europee né è un altro esempio: messaggi confusi, a volte incomprensibili, a volte scopiazzature banali dei laburisti di Corbyn.
Mentre in Sicilia Faraone fa gli inciuci con i berlusconiani, Martina, avversario di Zingaretti alle primarie sta in Spagna per festeggiare con Sanchez. Ecco, questa roba non funziona più. Non si possono mettere nella stessa lista per le europee i socialisti e gli uomini di Confidustria. Gli elettori non capiscono l’ambiguità, non ti premiano se non capiscono dove vuoi andare a parare. E’ un principio base della comunicazione: per prima cosa devi scegliere il tuo target, il tuo blocco sociale di riferimento si sarebbe detto una volta. E mettere insieme gli operai con i padroni non funziona.
E allora che si fa? Si torna all’Ulivo e alle decine di liste alleate che litigano subito dopo? Il sistema politico italiano non è più lo stesso di un tempo. Prima c’erano due poli che aggregavano una miriade di forze politiche differenti. Ora ci sono sostanzialmente tre poli, ma il numero dei partiti in assoluto è diventato più piccolo. A destra ne abbiamo tre, nel campo del centro sinistra c’è sostanzialmente solo il Pd, poi ci sono i cinque stelle. Manca ancora una forza di sinistra, come la intendono da tempo Bersani e adesso anche Cacciari. Manca perché lo spazio è ancora occupato dal Pd che vorrebbe fare due o tre parti in commedia e alla fine le fa tutte male. Che scelga il suo ruolo, finalmente. Lasciando spazio per costruire la famosa seconda gamba del centro sinistra, necessaria per poter tornare a essere concorrenziali. Che almeno, se proprio non riescono a sposare a pieno le idee del socialismo “radicale” ed ecologista, che i democratici scelgano se vogliono o meno un’alleanza con Forza Italia o ricostruire un campo ampio della sinistra. Saperlo aiuterebbe a scegliere alle Europee.
Insomma, per farla breve: in Italia non ci sono le condizioni per dire “è cambiato il vento”. Anche perché per prendere il vento bisogna mettere le vele nella posizione giusta. A me sembra, al contrario, che siamo ancora un po’ tutti in balia di tatticismi incomprensibili. Non solo non abbiamo preso il vento, non abbiamo neanche issato le vele.
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