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Tranquilli, siamo tutti su scherzi a parte.
Il pippone del venerdì/55

Mag 11, 2018 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Sintetizzo il quadro in cui ci troviamo. Nasce il governo più a destra nella (breve) storia della nostra Repubblica, con i voti di quelli che mai avrebbero fatto alleanze con chi “aveva rovinato l’Italia negli ultimi 20 anni”. Ora accettano perfino Berlusconi nel ruolo di badante interessata. Allo stesso tempo il capo del principale partito di opposizione, quello che, nell’immaginario collettivo, rappresenta la sinistra che fa? Chiama i suoi elettori alla mobilitazione? No, ci mancherebbe altro. Dice: adesso stiamo a vedere se siete bravi, popcorn per tutti. Intanto quelli della sinistra vera, ancora rintronati dallo scarso risultato elettorale non sanno bene se convocare un’assemblea nazionale unitaria: “Che gli diciamo ai nostri?”, è l’angosciata domanda aleggiata nel vertice di giovedì scorso. Mentre ci pensano bene, il prossimo ministro dell’Interno potrebbe essere quello della ruspa, quello che vuole cacciare gli immigrati a pedate, mentre il ministro degli Esteri potrebbe essere uno di quelli che voleva un referendum sull’uscita dall’Europa.

Sembra davvero un grande scherzo televisivo, quello ordito ai danni degli italiani. Che assistono quasi intontiti da questi due mesi di trattative. I mass media ci hanno convinto che un governo va fatto, ci hanno messo in mezzo anche gli europei, i soliti moniti sui nostri conti. Mattarella ha paventato un immediato ritorno alle urne e, come di incanto, tutto si è sbloccato. Caduti i veti dei 5 stelle, garantito Berlusconi che non partecipa al governo ma sta lì in caso di necessità. Tirano un sospiro di sollievo i 900 e passa parlamentari che temevano di restare a piedi.

Ci sono stati casi di panico acuto in questi giorni. Abbiano letto interviste drammatizzanti, ad esempio, di Roberto Speranza, autonominato coordinatore nazionale di Articolo Uno – Mdp, che preconizzava l’esigenza di un “campo largo”, di una nuova alleanza di centro-sinistra, profondamente innovata nei contenuti e nei partiti, che facesse da argine ai due contendenti veri della scena politica. E’ lo stesso Speranza che dopo il 4 marzo diceva che Leu aveva preso pochi voti perché percepita troppo in continuità con il Pd. Giovedì era pronto a farsi guidare da Gentiloni. Abbiamo letto di telefonate preoccupate di Renzi a Salvini: “Ma davvero non ce la fate a fare il governo?” Tutti presi dal panico, perché avevano ben chiaro che rischiavano la scomparsa o, quantomeno, la definitiva certificazione della loro irrilevanza.

Lasciato da parte il cinema e i popcorn, ho scritto tutto questo per arrivare a una domanda vera, la stessa che vi ripeto – lo so sono ormai a livelli ossessivi – da qualche settimana: non è che aveva ragione Nanni Moretti e che con dirigenti così non vinceremo mai? E la domanda seguente, quasi conseguente: non è che per Leu il 4 marzo sarebbe stato meglio stare sotto il tre per cento e rimanere fuori dal Parlamento? Forse era quello l’unico modo di liberarci una volta per tutte da queste mezze figure. Uno strano mix di vecchie cariatidi ferme al ‘900 e di giovani cresciuti con gli ormoni come i polli da batteria: sembrano belli e sani, ma sono soltanto gonfiati. E invece quel risultato miserello, ma sopra il quorum, ottenuto da Liberi e Uguali ci ha consegnato questo gruppuscolo di 18 parlamentari che un confronto vero con i propri militanti non ce l’ha proprio in testa.

Sabato 12 maggio è previsto il primo appuntamento pubblico di Articolo Uno. Sono passati più di due mesi dalle elezioni. Dopo una batosta simile si immagina un lavoro preparatorio, intenso, un documento nazionale discusso ed emendato a livello locale. Assemblee di base per stabilire i delegati a questa importante assemblea. E invece no. Si sono svolte le assise regionali senza manco sapere quale fosse l’ordine del giorno, né tanto meno chi avesse diritto di voto: una specie di grande seduta di autocoscienza dove ognuno ha parlato a ruota libera. Quella del Lazio, addirittura, manco si è conclusa: è stata aggiornata alla settimana prossima. E domani? Ingresso libero, solita sfilata di sedicenti leader della sinistra nelle sue varie forme, i soliti noti. Dalla Falcone, a Cuperlo, a Fratoianni, a Orlando. Un lungo elenco di bolliti che dopo aver sbagliato tutto o quasi negli ultimi decenni ci verrà a spiegare come continuare a farlo. Il congresso, Articolo Uno lo farà con calma, entro la fine dell’anno. E soltanto perché questo prevede il regolamento per ottenere i finanziamenti del 2 per mille, l’unica forma rimasta di contributo pubblico. Ancora cinema, insomma. E neanche di alto livello.

Allora che fare? Io sarei sempre per ripartire da assemblee al di fuori e al di sopra rispetto ai partiti esistenti. Che sono soggetti ridicoli, che non esistono più se non per dare un po’di medagliette da dirigente. Assemblee aperte, dove non ci si chieda da dove veniamo ma dove vogliamo andare. Non mi sembra, purtroppo, che ci sia lo spirito giusto. E allora bisogna combattere con i pochi mezzi che abbiamo, dentro questi partitini. Io lo farò, per le limitate forze che ho, dentro Articolo Uno. In questi mesi le scadenze elettorali, la necessità di fare comunque fronte comune, mi hanno indotto troppo spesso al silenzio e alla ricerca del compromesso. Da adesso, davvero basta. Lotterò, magari da solo, ma le spalle sono atte allo scopo, con pochi punti da cui partire.

  • Dimissioni immediate del gruppo dirigente nazionale di Articolo Uno. Speranza per primo. Non è possibile che in due mesi non abbiano sentito l’esigenza di avviare un confronto e abbiano continuato a parlarsi unicamente tra loro. Unica preoccupazione: come garantirsi il ritorno in Parlamento in caso di un nuovo voto. Grazie, non mi interessa. Sia chiaro a tutti che quando parlano non rappresentano che loro stessi. E siccome manco vanno d’accordo, a volte neanche quello.
  • Avvio altrettanto immediato dei “Laboratori della sinistra unita” in ogni quartiere. Su questo molto ho già scritto. Articolo Uno nasce un anno fa con questo scopo dichiarato. Sarebbe assurdo che proprio adesso decidesse di diventare a sua volta un partito con la propria struttura. E allora nessun tesseramento, nessun nuovo gruppo dirigente, si riparta da una forma il più aperta e inclusiva possibile, quella del “laboratorio” appunto. L’obiettivo è arrivare in tempo relativamente breve alla costruzione di un partito unitario. Non una federazione, perché sarebbe una presa in giro, una sorta di certificazione del fallimento. Semmai una forma nuova di aggregazione politica dove l’adesione possa essere sia a livello personale che collettivo. Nei laboratori si dovrà discutere e deliberare su pochi punti: la forma partito, la collocazione europea della nuova forza politica, i cardini essenziali per la stesura di una carta dei valori.

 

Io credo che la situazione, sempre che non sia tutto un grande scherzo, sia quasi disperata ormai per questo Paese. Sarà davvero la fine del bipolarismo destra-sinistra? C’è chi lo teorizza, quasi lo auspica, senza capire che, senza una forza che torni all’analisi marxista della società e la traduca nel mondo contemporaneo, non ci sono nuovi traguardi, c’è soltanto lo strapotere dei forti sui deboli. C’è il ritorno a una società dominata da quella élite che abbiamo combattuto dall’800 a oggi. Io credo che l’Italia sia una sorta di prova generale, siamo una specie di provetta dove i giganti della finanza sperimentano. E sarebbe bene che questo virus fosse isolato e battuto. Se ognuno di noi fa la sua parte con lo spirito che dicevo sopra ce la potremmo anche fare. Diciamolo in ogni occasione, nei partiti e nei movimenti di cui facciamo parte: non ci sono alleanza né campi da ricostruire, dobbiamo ripartire da noi stessi, dobbiamo ritrovare la capacità di parlare al nostro blocco sociale di riferimento. Prima la sinistra. Diciamolo forte, in ogni assemblea.

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