Per fare politica bisogna essere ricchi.
Il pippone del venerdì/64
Fra le varie involuzioni a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni l’abolizione del finanziamento della politica è quella forse più complicata da spiegare, ma anche più grave. Più complessa, perché l’abolizione dei fondi pubblici destinati ai partiti, la stretta sui locali destinati alle attività politiche, l’eliminazione dei vitalizi e la riduzione dello stipendio degli eletti nelle istituzioni rappresenta una risposta a un sentimento popolare diffuso, creato ad arte, contro la cosiddetta casta. Ricordate il famoso libro di Rizzo e Stella? Beh, il fatto che l’epicentro della battaglia contro i privilegi dei politici sia stato uno scritto, lacunoso e zeppo di imprecisioni, di due strapagati giornalisti del Corriere della Sera la dice lunga. La finanza e l’economia, si sa, in questi anni hanno fatto di tutto per scrollarsi di dosso qualsiasi tipo di laccio. E sottomettere il potere politico a quello finanziario è sicuramente la strada più semplice per avere la strada spianata.
La riduzione dei diritti sociali, le cosiddette riforme che hanno reso sempre più precario il lavoro, lo smantellamento dei corpi intermedi e la realizzazione di una società sempre più liquida e sempre meno solidale, sono il frutto ultimo di quello squilibrio di poteri fra politica ed economia che nel nostro Paese si manifesta oggi nella forma più subdola. Cosa è, del resto, il governo Salvini-Di Maio se non la resa definitiva al potere finanziario? Ogni giorno si parla di economia? Di lavoro? Di diritti sociali? Ma neanche per sogno. Si alzano polveroni, si creano nuove paure, nuove artificiali divisioni nelle classi proletarie per coprire da un lato lo smantellamento di quello che resta del vecchio sistema politico, dall’altro il via libera definitivo al potere finanziario. E anche un pallido provvedimento come il “decreto dignità” sarà svuotato ulteriormente dal passaggio alle camere. Si parla perfino di reintrodurre i voucher, moderna forma di schiavitù. Tanto l’opposizione non esiste e fra un pop-corn e l’altro non trova manco il tempo di organizzare una qualche forma di protesta.
Ma torniamo al tema principale. Si parlava del finanziamento pubblico della politica, di cui in questi giorni, con il taglio drastico ai vitalizi già in essere per gli ex deputati, si elimina l’ultimo pezzo. Non voglio neanche entrare nel tema, delicatissimo, dei diritti acquisiti: ci accorgeremo nei prossimi anni – se il provvedimento supererà i ricorsi annunciati – del danno prodotto, quando si arriverà a toccare le pensioni in essere delle persone “normali”. Il vitalizio, come le altre forme di finanziamento pubblico, in Italia fu fortemente sostenuto dalla sinistra. La ragione dovrebbe essere evidente, uso termini antichi perché almeno ci capiamo al volo: per competere, chi si candida a rappresentare il proletariato, non ha gli stessi strumenti di chi rappresenta i padroni. E un deputato che si fa una o due legislature deve essere indipendente nel suo mandato e quindi avere un compenso adeguato. Ma deve avere garantito anche il suo futuro dopo l’impegno politico. Perché solo chi lavora nel pubblico, di fatto, ha diritto all’aspettativa per il periodo in cui ricopre un incarico elettivo. Gli altri, nella grande maggioranza dei casi, perdono il lavoro.
E’ lo stesso filone del finanziamento pubblico abolito definitivamente non dalla destra cattiva, ma da un governo a guida Pd, quello presieduto dal troppo incensato Enrico Letta. Abolendo il sistema di rimborsi legato ai voti presi alle elezioni si dà spazio al finanziamento dei privati, l’unico possibile. E i privati sono imprese che hanno a che fare con la politica. E i privati che hanno a che fare con la politica vogliono condizionarne le scelte. Un sistema all’americana, insomma, con le lobby che comandano. Siccome, poi, siamo in Italia dietro il finanziamento c’è spesso un sistema di corruzione. L’ultimo caso romano, quello del costruttore Parnasi, è emblematico: finanziava tutti i partiti, per avere sempre gli appoggi giusti. Secondo le accuse il finanziamento avveniva in parte in maniera legale, ma pur sempre criticabile dal punto di vista etico, in parte tramite fatture false e fondi neri.
Io credo che questo sistema non funzioni, che noi abbiamo bisogno di un sistema politico forte e autonomo. E se questo ha un costo elevato per la collettività, va rilevato il che il costo di un sistema politico asservito ai padroni è molto più alto. Il costo, solo per fare un esempio, è la vita di quel cavatore morto sulle Apuane pochi giorni fa. Aveva un contratto di sei giorni. Una roba che dovrebbe essere espressamente vietata. E, invece, nell’Italia che si batte contro la casta, è perfettamente legale. Ma il costo è ancora più alto se pensiamo che, di fatto, l’eliminazione di vitalizi e finanziamento pubblico ci riporta ancora di più a un sistema politico ottocentesco, in cui i partiti non esistono più, sostituiti da gruppi di notabili. I ricchi tornano a essere i padroni assoluti della scena, perché in questo sistema solo chi ha un suo patrimonio o è robustamente foraggiato può fare politica. Le masse che oggi plaudono alla sconfitta della casta rischiano di essere nuovamente espulse dal panorama politico. Dall’800 la politica, da Marx in poi, è stato lo strumento di riscatto per le masse, il modo per riequilibrare una società basata sul famoso furto originario, la proprietà privata. Ora non più. Torna a essere strumento per rafforzare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Anche a questo dovrebbe servire una sinistra nuova in Italia. A immaginare un sistema in cui le cariche politiche tornino contendibili senza dover investire centinaia di migliaia di euro. Si dice: ma internet ha ridotto il costo delle campagne elettorali, basta essere bravi sui social ed è fatta. Anche questa è una balla: per prevalere sui social servono eserciti di comunicatori professionisti che costano forse anche di più dei vecchi manifesti. No, servono i partiti e devono essere finanziati dallo Stato per svolgere la loro funzione principale: quella di selezionare la classe dirigente in maniera democratica. Bisogna rifondare il sistema politico nel suo complesso. Dare, intanto, attuazione alla norma costituzionale con una legge che disciplini la vita democratica dei partiti. Regole base alle quali attenersi per evitare i partiti padronali. E poi servono nuove forme di finanziamento pubblico. Siccome credo che i partiti debbano vivere nella società, non mi stancherò mai di ripeterlo, una forma interessante di finanziamento potrebbe essere quello di avere dei locali di proprietà pubblica con un affitto simbolico. La scomparsa, a Roma ormai ne restano davvero poche, delle sezioni di partito dai nostri quartieri vuol dire privare i cittadini di punti di riferimento utili a far valere le proprie ragioni in maniera trasparente e non clientelare.
Capisco, lo dicevo all’inizio, che spiegare la necessità dei vitalizi, dei finanziamenti ai partiti è una faticaccia. Ma varrebbe la pena di farlo. Una società senza forze politiche popolari è una società più povera, più debole e frantumata. Ultima notazione, ultimo allarme: a Roma sono scomparse anche le ultime feste di partito. Può sembrare un fatto minore, ma per decenni sono state il principale canale di comunicazione che la sinistra aveva con il suo popolo. Non c’erano solo le salsicce e le balere. Che comunque visti i prezzi popolari avevano un loro significato. C’erano cultura e politica che riempivano le piazze di popolo. Io trovo che senza le feste siano anche città più tristi e meno sicure: gli spazi di socialità – la lezione di Renato Nicolini andrebbe sempre ricordata – sono fattori di crescita, di coesione per le comunità. Noi siamo sempre più chiusi nei nostri appartamenti con l’aria condizionata a gioire per la sconfitta della casta via social con persone che non abbiamo mai visto in faccia.
Sarà anche la modernità. A me sembra il medioevo.
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