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Il pippone del venerdì/3
Una nuova questione morale

Mar 24, 2017 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

logo pipponeLa dico subito tutta, senza perifrasi: io credo che le nomine nelle società di stato approvate dal Consiglio dei ministri lo scorso fine settimana siano la spia di un salto di qualità in quella sempre più evidente e strabordante occupazione delle istituzioni da parte della politica.

Berlinguer denunciò con straordinaria nettezza e lucidità la degenerazione dei partiti nell’intervista a Repubblica del 1981. Parlava di partiti che hanno occupato lo Stato. Un’immagine molto forte. I partiti, in sostanza, avevano esaurito la loro funzione di tramite, di “organizzatori del popolo”ed erano diventati una macchina autoreferenziale in cui blocchi di potere autoriproducevano se stessi. Rispetto a oggi, però, sono cambiati due elementi.

Il primo: allora c’era ancora la diversità comunista. Ovvero c’era una grande organizzazione che rappresentava un terzo dell’elettorato che denunciava e combatteva questa situazione, in chiave non populista ma di prospettiva. Lottava per realizzare una società più giusta, senza diseguaglianze. Diceva Berlinguer: “Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata”. Una società socialista con una forte connotazione democratica verrebbe da dire. Insomma, in quel guazzabuglio anni ’80, gli anni della Milano da bere, degli yuppies, dell’orologio sopra al polsino come l’avvocato, c’era una grande forza che non aveva paura di perdere consenso denunciando la corruzione profonda e la stessa perdita di senso del sistema politico.

Il secondo punto, non meno importante. In quel sistema politico, sia pur degenerato, esistevano comunque i partiti. Che via via avevano smarrito la funzione costituzionale, questo è vero. Ma restavano partiti. Rappresentavano, sia pur con tutte le distorsioni che denunciava Berlinguer, blocchi sociali, interessi economici, interessi di classe. Non a caso, malgrado la corruzione, l’occupazione sistematica del potere, quella che i Radicali di Pannella chiamavano la partitocrazia, l’economia cresceva con cifre che adesso manco ci sognamo. Certo, c’era il deficit pubblico alle stelle, eravamo un paese che viveva al di sopra delle proprie possibilità, ma le strade le rifacevamo, fra una mazzetta e l’altra. Banalizzo volutamente, sia chiaro. Altrimenti potremmo parlare anche di un’Italia punto di riferimento per la sua politica nel mediterraneo, della nostra credibilità internazionale. Era un altro mondo, insomma.

Non che voglia fare l’elogio postumo degli anni ’80. Ci mancherebbe altro.

Oggi che succede? Sintetizzando ancora: il deficit continua a correre, non ripariamo più manco le buche e nel mondo ci rappresenta Alfano. Non ci sono più i partiti del dopoguerra, ma non ci sono più neanche le correnti degli anni ’80. Tutto si riduce alla contesa di qualche leader e quando cambia il leader, anche se dello stesso schieramento, cambiano tutti i vertici, non solo delle società pubbliche, ma della stessa amministrazione. Va “ringraziata” per questo la sciagurata legge Bassanini, che ha eliminato la tradizionale terzietà dell’alta burocrazia statale, nel passato vero serbatoio di competenze. Siamo, arrivati, insomma, all’occupazione personale dello stato. Ormai si nominano gli amici, i fedeli, coloro che hanno permesso la conquista del potere. Il famoso “cerchio magico”.

E questo vale per tutti, perfino per chi, come il M5s, ha fatto della critica alla politica invadente la sua bandiera. Guardate Roma. Conquistato il Campidoglio, il sindaco Raggi ha provveduto a piazzare i suoi fedelissimi nei gangli dell’amministrazione. I risultati, non solo di natura amministrativa in senso stretto, ma anche in qualche caso di natura penale, sono sotto gli occhi di tutti. Nei partiti – o  in quello che ne rimane – succede ovviamente lo stesso. La politica è uno specchio della società, non il contrario. E dunque si conquista la leadership e si fanno fuori tutti gli avversari scientificamente. Manca anche qui, come nella pubblica amministrazione, una base condivisa, una classe dirigente che sia arrivata al proprio posto per quello che ha fatto e non per mera fedeltà.

Inutile stupirsi dunque se poi cambiano bandiera al primo accenno del mutar del vento. La corsa per salire sul carro del vincitore è diventata una affollatissima maratona.

Lo scopo della gestione del potere, insomma, è diventato un fine e non un mezzo. Altro che Machiavelli. E se negli anni ’80, sia pur nella degenerazione già iniziata, si conquistava il potere e lo si occupava per rappresentare un blocco sociale, adesso il tutto è ridotto alla promozione della propria persona. Perché, in fin dei conti non c’è più un rapporto di rappresentanza, un legame fra le classi dirigenti e chi rappresentano. Il legame è dato da un voto espresso ogni quattro o cinque anni quando va bene, da un’approvazione fideistica nella peggiore dei casi. La clientela è la regola.

Che fare per invertire la tendenza? Io credo che questa sia una delle sfide principali che ha di fronte la sinistra italiana nei prossimi anni. Assieme alla definizione di un quadro di valori. Anche da qui passa il discrimine fra destra e sinistra. Fin dagli anni ’90 abbiamo copiato e mutuato non solo le pratiche economiche liberiste, ma anche questa maniera di gestire il potere, arrivata oggi alle conseguenze estreme. E’ tempo di tornare a pensare a un’alternativa.

La ricostruzione di un’Italia differente, che sia in grado di rilanciarsi dal punto di vista economica, sta anche qui: si parte dalla ricostruzione di una classe dirigente, non solo in politica, lo ribadisco, che abbia come faro il bene comune (un’altra delle mie fissazioni) e non la propria autoriproduzione. Difficile farlo? Sicuramente, perché occorre ripensare non solo le strutture della politica, ma anche un po’ noi stessi. Uscire dal bisogno disperato di apparire per tornare a essere, a dare un contributo onesto. Non è solo una questione di sostituire il pronome “io” con il “noi”. E’ una rivoluzione culturale.

Una cosa va fatta con urgenza, stabilire un modo per selezionare la classe dirigente dei partiti che non sia la cooptazione o la finta meritocrazia dei 5 stelle. Si fanno mandare curricula da tutto il mondo per poi scegliere il fidanzato, quando va bene. Non dico di tornare al vecchio metodo “intanto comincia a attacca’ i manifesti”, ma credo che serva qualcosa di simile, ovvero un processo collettivo dal basso di selezione, in cui le proprie capacità si dimostrano sul campo e non per riconoscimento del proprio capo. In cui non si votano i dirigenti, ma si scelgono.
Aveva ragione Orlando, qualche settimana fa, a dire che un giovane come Pio Latorre non avrebbe trovato lo spazio per far valere le sue idee nella politica di oggi. Ecco, secondo me non l’avrebbe trovato proprio nell’Italia di oggi, paese sempre più di sudditi e poco di cittadini.

Ogni tanto ci arrivano delle fiammate violente e inaspettate, in questo paese stanco e depresso. Così è stato in occasione dei referendum sull’acqua pubblica, lo stesso fenomeno di ribellione si è ripetuto in occasione della consultazione sulla riforma costituzionale. Bene è ora di alimentare quella fiamma e farla diventare permanente, dando spazio al protagonismo dal basso. E convogliando quella forte esigenza, di cambiamento badate bene, non di conservazione come vi vorrebbero far credere.

Per quanto riguarda la pubblica amministrazione io credo che si debba tornare a separare davvero la politica dalle nomine, anche dei vertici. Torniamo alla carriera fatta attraverso l’esperienza e i concorsi, non con la fedeltà al capobastone di riferimento. E torniamo a costruire una classe dirigente statale che abbia il bene comune come stella polare e non la politica. Ecco, anche questa, secondo me, sarebbe una piccola rivoluzione gentile.
Dimostriamo che noi pensiamo ancora che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi.

Io la vedo così
Quante carogne da tastiera!

Mar 23, 2017 by     No Comments    Posted under: dituttounpo'
Ieri si sono scatenate quelle che io amabilmente chiamo le carogne da tastiera contro Bersani. Tutti ex bersaniani, vale la pena di dirlo, da sedicenti giornalisti a militanti di facebook. Gli hanno detto di tutto, i più gentili lo hanno definito vecchio malato. I peggiori sono arrivati a delinquente da fucilare. Senza processo immagino.
Io non credo che sia solo una questione di mezzo, facebook, tuitter, i social insomma. Stimolano una certa crudezza di linguaggio, ma qui c’è di più, una sorta di riflesso staliniano per cui l’avversario politico va malmenato. Se è il nostro ex “capo” ancora di più.
Tutto questo perché Bersani, oggi prova a rispiegarlo ancora meglio, ma era chiaro per le persone non in malafede, ha provato a dire (venerdì scorso) che pensare a una grande coalizione contro Grillo non fa altro che portare benzina a Grillo stesso, che invece va sfidato, va stanato. Ovvio che Bersani sa benissimo che il M5s non accetterà mai un’alleanza con la sinistra. Ma lasciamolo dire a loro, sfidiamoli in ogni occasione a mettersi in gioco. A uscire dall’isolazionismo. Così si recupera quell’elettorato di sinistra che ha Renzi e la sua arroganza ha spinto verso Grillo. Non continuando a dire che sono fascisti e populisti.
Quanto alle carogne da tastiera, le aspettiamo alle urne. Fiduciosi. Adelante!



Lo spiegone del lunedì/2
Il sistema proporzionale e la formazione del governo

Mar 20, 2017 by     No Comments    Posted under: lo spiegone del lunedì

spiegoneUna premessa doverosa, perché girano troppe balle: non abbiamo la attuale legge elettorale, anzi le attuali leggi elettorali visto che sono diverse per Camera e Senato, perché c’è stato il referendum del 4 dicembre e il relativo trionfo del no. Non c’entra nulla, il referendum riguardava la riforma della Costituzione e non la legge elettorale. Il cosiddetto Italicum, a detta del suo ideatore la legge più bella del mondo che tutti ci copieranno, è stato ampiamente bocciato dalla Corte costituzionale perché illegittimo. E quindi, abbiamo la attuale legge elettorale per l’incapacità di una classe politica che manco è stata in grado di capire che la sua proposta andava contro la Costituzione.  Ricordate i gufi e professoroni polverosi? Ecco non li avete ascoltati e i risultati sono questi.

Fatta doverosamente chiarezza, le norme attualmente in vigore sono sostanzialmente proporzionali. Non si venga a dire che c’è il premio per il partito in che supera il 40 per cento. Intanto perché tale premio è previsto solo alla Camera e in più perché in un sistema in cui i poli saranno almeno 4 se non 5, è praticamente  impossibile che qualcuno superi il 40 per cento.

Dunque, se si votasse oggi, l’attribuzione dei seggi avverrebbe in maniera proporzionale. E qui si leggono in giro cose davvero fantasiose per spingere a un nuovo voto utile. Si dice, infatti: se arriva primo il M5s il presidente della Repubblica darà a loro l’incarico di formare il nuovo governo, dunque bisogna turarsi il naso e votare Pd. A parte il fatto che ormai manco non basterebbe manco la maschera antigas a coprire la puzza di marcio, ma in realtà questa ricostruzione è del tutto falsa.

In realtà il presidente della Repubblica, dopo le elezioni, comincia le sue consultazioni, sente i partiti rappresentati in parlamento e poi decide non in base a chi è arrivato prima, ma a chi ha la possibilità di avere la maggioranza dei voti necessari per ottenere la fiducia delle camere.

Anche se, per ipotesi, seguisse questa idea di affidare un  primo incarico esplorativo a un esponente del partito di maggioranza relativa, poi questo dovrebbe cercare la maggioranza. E i grillini, fermi intorno al 30 per cento non ci arriverebbero neanche con un’alleanza (impossibile) con Salvini che veleggia intorno al 10. Dunque dovrebbero rinunciare all’incarico e si andrebbe a un nuovo giro di consultazioni e a un nuovo presidente incaricato.

Certo continuare a votare per garantire l’impunità dei parlamentari come nel caso Minzolini non aiuta a smontare i 5 stelle, ma questo, di certo, non è colpa di chi ha lasciato il Pd, semmai di chi ci è rimasto.

Qual è dunque, lo scenario più probabile stante questo quadro istituzionale? Difficile dirlo, le elezioni sono lontane, il Pd sta facendo in questi giorni la conta per il segretario, movimenti e partiti di sinistra sono in fase di costruzione. Se si votasse domani cosa succederebbe? Con ogni probabilità nessuno schieramento, neanche allargato a parenti e amici avrebbe la maggioranza. E dunque  si andrebbe  verso un governo di responsabilità nazionale: una grande coalizione da Pisapia a Berlusconi, tagliando le ali estreme, con un presidente del Consiglio che garantisca tutti. Per fare cosa? Si spera per arrivare almeno a una legge elettorale condivisa e fare quelle riforme costituzionali necessarie per semplificare il sistema, senza snaturare, possibilmente la Costituzione.

Tutto questo, per la precisione.

Il Pippone del venerdì/2 Il garantismo de noantri

Mar 17, 2017 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

logo pipponeMettetevi comodi perché la questione è lunghetta. Il quadro è più o meno questo.

2013: il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri è nella bufera per il presunto interessamento per la scarcerazione della figlia di Salvatore Ligresti, Giulia Maria, a cui vennero accordati gli arresti domiciliari a causa delle condizioni di salute. Mancano pochi giorni alle primarie e Matteo Renzi in persona, allora candidato alla segreteria del Pd, non ci pensa due volte, parte deciso:  “Per me Letta fa un errore a dire che sulla Cancellieri ci mette la faccia. È stata lei a fare la sintesi perfetta dicendo: il vecchio Pd mi avrebbe difeso e il Pd ha votato a favore. Il nuovo Pd credo che non difenderà più casi di questo genere”.

2016: arresto di Marra a Roma, fedelissimo del sindaco Raggi. Il 16 dicembre il Pd si scatena chiedendo le dimissioni del sindaco. Il commissario del Pd romano, nonché presidente del Pd nazionale, nonché deputato, nonché attuale reggente autoproclamato del Pd nazionale, Matteo Orfini, spiega che “ loro sono diversi. Quando è capitato a noi abbiamo commissariato il partito, lavorato mesi a bonificare e ripulire. Abbiamo cacciato persone e reciso legami. Per queste scelte abbiamo pagato un prezzo altissimo. Ma era la cosa giusta da fare. Loro oggi scappano, si nascondono”.
A difesa del sindaco di Roma, indagata per falso e abuso d’ufficio si schierano tutti i 5 stelle e anche Matteo Renzi, che si dichiara garantista sempre. Nel corso della presentazione della sua candidatura alle primarie del Pd (sempre in mezzo le ritroviamo) dichiara addirittura la sua solidarietà: “Vorrei mandare un grande abbraccio di solidarietà a Virginia Raggi che è stata indagata, perché noi, a differenza di altri, siamo garantisti per tutti e non solo per i nostri”. Salvo per la Cancellieri, la Idem, Lupi eccetera eccetera.

2017: scoppia il caso Consip. L’inchiesta condotta da due procure, Napoli e Roma, riguarda presunte pressioni sull’amministratore delegato della Consip, Luigi Marroni, per favorire il gruppo Romeo in un mega appalto da 2 miliardi e mezzo di euro. Nella vicenda sono indagati, fra gli altri, il padre di Renzi, Tiziano,. e il ministro dello Sport, con delega al Cipe, Luca Lotti che, si legge negli atti dell’inchiesta, avrebbe avvertito Marroni dell’indagine in atto e della presenza di microspie nel suo ufficio. Lo dichiara lo stesso Marroni: ”Ho fatto effettuare la bonifica del mio ufficio in quanto ho appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni (presidente di Publiacqua, ndr), dal generale Emanuele Saltalamacchia (comandante Legione Toscana, ndr), dal Presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercettato”.

Scatta la difesa a oltranza da parte del Pd, Renzi in testa, mentre i 5 stelle si scoprono meno garantisti e presentano una mozione di sfiducia nei confronti del ministro al Senato. Mozione respinta anche grazie al fatto che Forza Italia non vota e 19 senatori fra i verdiniani e sieguaci di Tosi arrivano a garantire la maggioranza assoluta. 161 i voti contrari. Gli 19 stessi voti saranno restituiti (ma sicuramente è una mera concidenza) il giorno dopo nella votazione che doveva portare alla decadenza (legge Severino) del senatore Minzolini, di Forza Italia, condannato in via definitiva a due anni e sei mesi per peculato. Quando era direttore del Tg1 usava in maniera allegra la carta di credito aziendale. Il senato respinge. Con quella condanna non potrebbe partecipare ad alcun concorso pubblico, ma fare il senatore sì. Va bene essere garantisti, ma dopo tre sentenze, un dubbio non vi viene proprio? Ma questa è un’altra storia.

Il ministro Lotti, intervenendo in Senato, non solo proclama la sua innocenza con grande veemenza, ma rispolvera il vecchio leit-motiv berlusconiano del complotto. Tira sempre. “Colpendo me – declama con i capelli al vento – si vuole colpire Renzi e la stagione del riformismo”. Che a dire il vero sembra già messa a dura prova dalle bocciature ripetute della Corte Costituzione e degli elettori. Sarà un complotto anche questo. Chissà.
Nella stessa occasione, la senatrice pentastellata Paola Taverna, spiega un curioso concetto di giustizia: “Il tema non è l’avviso di garanzia, ma la gravità delle accuse e per capirlo non abbiamo bisogno di aspettare le sentenze della magistratura. E’ un principio basilare, che noi del Movimento 5 Stelle, applicando il nostro codice etico elogiato dal magistrato antimafia Di Matteo, abbiamo già fatto nostro”.  Insomma, per la Raggi le accuse non sono gravi, per Lotti sì. A quanto pare decide Grillo, giudice supremo ingiudicabile.

Sono soltanto alcuni esempi. Per farla breve, è un gran casino. Sfugge, secondo me un punto fondamentale. Tutto questo con il garantismo non c’entra nulla. Andiamo con ordine.
Il Garantismo (copio dalla Treccani):concezione dell’ordinamento giuridico che conferisce rilievo alle garanzie giuridiche e politiche volte a riconoscere e tutelare i diritti e le libertà fondamentali degli individui da qualsiasi abuso o arbitrio da parte di chi esercita il potere.

Che vuol dire applicato al sistema giudiziario? Che il garantismo è quel complesso di norme che rende effettivo il diritto del cittadino alla difesa. Il tutto deriva da quello che è un principio cardine nel nostro ordinamento: tutti sono innocenti fino a sentenza definitiva. E siccome siamo garantisti tanto tanto questo non avviene, come succede in tutto il mondo, dopo due gradi di giudizio, ma addirittura tre, visto che di fatto la Cassazione è diventato un giudice di merito. Insomma il cittadino accusato di un reato ha il diritto di difendersi su un piano di assoluta parità rispetto all’accusa, a cui spetta l’onere della prova: deve cioè dimostrare la colpevolezza e non il contrario. Cosa c’entri con Lotti, la Raggi, la Cancellieri, la Idem, Lupi eccetera, eccetera, non è dato sapere.

Insomma, per farla breve il tema, non è essere garantisti o meno. Lo siamo un po’ tutti a giorni alterni, a seconda della simpatia che ci ispira il presunto colpevole. Per cui il negro accusato di aver stuprato una donna bianca è sicuramente colpevole, mentre il distinto ingegnere che fa crollare un ponte diventa subito soltanto “presunto” responsabile. Ma in questo caso non c’entra nulla.

Si tratta di un problema politico. Che è altra cosa rispetto a un processo. La politica deve agire su un piano diverso e distinto da quello giudiziario. Provo a farmi capire ragionando proprio sul caso Consip. Al di là dell’esistenza o meno di un reato, cosa che non sta a noi giudicare, questa vicenda ci dice una cosa, molto semplice. Che attorno alla società per azioni del Tesoro che si occupa della gestione degli appalti per le forniture della pubblica amministrazione gira un groviglio di interessi e di persone a dir poco inquietante. La Consip nasce con lo scopo di ottenere risparmi ampliando la scala di grandezza degli appalti. Detta semplice: se invece di acquistare penne in ogni comune facciamo un’unica gara a livello nazionale, forse si spende di meno. E’ una semplificazione, ovviamente, ma il principio è questo.

Appaltoni enormi, però, su cui, proprio per la dimensione dovrebbe esserci, massima attenzione e massima trasparenza. E quello che si scopre, invece, è che nella migliore delle ipotesi un groviglio di interessi e di personaggi grigi si muovevano in quelle stanze per cercare di condizionare quelle gare.
E’ un problema politico o no, fare in modo che anche il semplice sospetto che questo si possa verificare venga rimosso? In tutto questo rimestare nel torbido, ci sarebbe un ministro, il condizionale è evidentemente d’obbligo, che va da un dirigente pubbligo, guarda caso nominato dal “capo” del ministro stesso, e gli dice: ciccino, stai attento che la magistratura indaga su di te, c’è pieno di cimici nel tuo ufficio.

Ora questo ministro, oltre che allo Sport, per una di quelle stranezze tipiche della politica italiana, ha anche  la delega chiave sul Cipe, il Comitato per la programmazione economica che dà l’ok alle spese strategiche, e sull’editoria, con tutti i decreti attuativi di una riforma appena approvata. Lotti sarà anche innocente, avrà modo e tempo di dimostrarlo, tutti noi sinceri garantisti ci auguriamo addirittura che si arrivi mai a un processo, che la procura archivi in tempi rapidi la sua posizione.
Ma in attesa che questo avvenga, è proprio necessario che faccia il ministro? E’ proprio necessario che continui a seguire la programmazione economica? E’ proprio la persona più adatta fra i cittadini italiani? O forse il semplice fatto che sia sfiorato da un’inchiesta dovrebbe fargli valutare l’opportunità di rinunciare a dettare la linea del governo sugli investimenti strategici da fare nel Paese?

Ecco, sarà anche innocente, ma senza Lotti al governo ci sentiremmo tutti più garantiti. E’ proprio il caso di dirlo.

Ps: questo non è un blog anonimo e sono un giornalista. La responsabilità di quello che scrivo, insomma, me la prendo tutta. Sempre.

Lo spiegone del lunedì\1
Cosa è un’intervista

Mar 13, 2017 by     No Comments    Posted under: lo spiegone del lunedì

Intanto sarebbe bene che tutto ve ne faceste una ragione: Esposito non è in grado di intendere e di volere, quindi evitate di seguire le stupidaggini che dice. E invece no, ci cascate ancora e giù a scrivere post su post sui “grillini che sono invitati a programmi televisivi senza contraddittorio”. E allora vi beccato lo spiegone.

Nel giornalismo, in particolare in questo caso parliamo di televisione, esistono vari format. L’intervista è uno di questi. In cosa consiste? Semplice un giornalista pone domande al suo interlocutore e quello risponde. Non è un processo dove ci sono diverse parti e c’è un contraddittorio fra accusa e difesa con un giudice che decide. C’è un giornalista che fa domande. In caso, semmai, si può criticare il livello delle domande, la eventuale mancanza di preparazione del giornalista, il grado di asservimento dello stesso all’intervistato. Ma non si può dire che manca il contraddittorio, per il semplice fatto che non è previsto dal format.

Semmai sarebbe simpatico discutere di altre trasmissioni, in cui le interviste sono condotte da presentatori, non da giornalisti. Non so se ricordate Renzi da Fazio, tanto per fare un esempio. Dove non c’è il contradditorio perché si tratta di un’intervista, ma in realtà non c’è manco il giornalista e diventa una specie di onemanshow che non può definirsi informazione. Ma su questo non ho sentito alzarsi neanche una paglia. Esposito doveva essere distratto.

Altro genere televisivo – e qui serve un contraddittorio – è il dibattito. In questo caso a confrontarsi sono persone che sostengono opinioni differenti e il giornalista ha un ruolo differente, moderatore e conduttore del dibattito stesso.

Tutto questo per la precisione.

Il pippone del venerdì/1
Pd o non Pd

Mar 10, 2017 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

logo pipponeDa oggi, continuando nel progetto di voler rendere più strutturale il mio contributo da osservatore del dibattito politico, social e non social, inauguro questa nuova rubrica, “il pippone del venerdì”. Sarà una sorta di bilancio della settimana, in cui vorrei ragionare sugli aspetti che mi sembrano interessanti. Ci provo, combattendo con la mia nota pigrizia. E vorrei anche provare a rinnovare e utilizzare con maggior costanza il mio sito. Chissà, non scommetterei su me stesso.

Comunque sia, cominciamo il pippone.
In realtà non è proprio “il tema della settimana”, questa storiella va avanti da almeno un paio di anni. Da quando, cioè, Pippo Civati ha lasciato il Pd e ha fondato il suo “Possibile”, movimento di cui non si ricorderanno tracce durature nella storia dell’uomo, ma che tuttavia merita una menzione, quanto meno per essere alla base di un disastroso equivoco. Nello statuto di Possibile, mi dicono, sta scritto a chiare lettere che non faranno mai, a nessun livello, alleanze con il Pd. Il che è una novità assoluta. Che un partito escluda di potersi alleare con un altro partito dell’arco democratico, ci sta. Ma che si metta nero su bianco nello statuto è un fatto di assoluta rilevanza e, come vedremo, sia pur in forma indiretta, ha condizionato il dibattito politico nella galassia della sinistra italiana.

E’ successo con la tornata delle scorse elezioni amministrative. Con grandi scontri fra chi diceva che non si poteva rompere il centro sinistra per principio e chi diceva che l’esistenza di un campo alternativo al Pd doveva essere visibile e omogenea su scala nazionale. Sostanzialmente ha vinto la secondo tendenza, fra mugugni e resistenze, con la sia pur rilevante eccezione di Milano. Devo ammettere di essermi lasciato prendere da questo dibattito. Sbagliando.

E devo dire che, alla fine dei giochi, tutta sta visibilità di uno schieramento alternativo al Pd mica l’abbiamo vista. Abbiamo visto, piuttosto, uno scontro da stadio fra gli ultras degli opposti schieramenti. Salvo poi andare a piangere perché, dopo aver parlato di periferie a tutto spiano, a Tor Bella Monaca abbiamo preso il 2 per cento. Elettori eroici, verrebbe da dire.
Eppure non è che si sia imparato dagli errori. Anzi la situazione è peggiorata. Per chi esce dal Pd si propone l’analisi del Dna, suo e delle tre generazioni precedenti. Il congressino di Sinistra italiana, oltre ad aver prodotto un gruppo dirigente, ha anche prodotto un secondo anatema: mai con il Pd di Renzi, a tutti i livelli. Manco nel condominio di via Carugatti 53 si faccia l’alleanza con il Pd di Renzi. Scelta applauditissima da Possibile che ha deciso di fondere i gruppi parlamentari, “pur mantenendo l’autonomia dei rispettivi partiti”. In giro si leggono addirittura moderni soloni che si scandalizzano perché Pisapia non ha definito la sua posizione sul renzismo. Quello, dicono, sarebbe il minimo richiesto per definirsi di sinistra.

L’Italia intera dibatte e si accalora su questi affascinanti temi.
Scherzi a parte, come la vedo? Pur tra i mille errori commessi resto convinto di tre cose.
1) Resta l’esigenza di ricreare un movimento ampio della sinistra italiana, non un partito, una gabbia escludente, ma un percorso aperto, che guardi al futuro e non agli errori del passato. Senza esclusione alcuna. Per me l’unica pregiudiziale resta l’antifascismo.
Un percorso che se ne freghi delle forme strutturate, del fatto che stiamo in partiti differenti e parta dalle persone. Possibilmente parta da quelle “vite di scarto”, da quelle periferie, come luogo sociale ma anche come spazio culturale, di cui parliamo sempre, ma dalle terrazze dei palazzetti d’epoca. Il Partito arriverà quando il percorso sarà compiuto e tutti saranno pronti a lasciare le casette di provenienza non per un condominio scomodo e spersonalizzante, ma per una grande casa di tutti. E non con le forme del ‘900, perché il ‘900 è finito. Tutto questo, sia chiaro, nelle pur rinnovare forme ha bisogno di mettere radici fisiche nei territori. Primo obiettivo dunque, trovare spazi, tanti, nei quali costruire un agire politico comune. Spazi utili ai cittadini, accoglienti. Per rovesciare il ragionamento di un autorevole ministro, un luogo in cui un Pio La Torre di oggi si troverebbe a suo agio, avrebbe modo di crescere e, al tempo stesso, di mettersi al servizio di un progetto collettivo.

2) Questo movimento non si crea contro o in alternativa al Pd o al renzismo o al populismo. Si coltiva, da più parti, la sensazione che sia sufficiente definirsi di sinistra per poter essere annoverati automaticamente nell’olimpo dei rivoluzionari. Non funzionava così manco ai tempi del Pci, figuriamo adesso. Solo che allora, con quel nome, con quella storia, potevi pure permetterti di essere conservatore ogni tanto. Oggi no.
E ritorniamo a quella che io mi intestardisco a considerare l’origine di tutti i mali. La nascita del Pds. In quegli anni sciagurati in cui si buttò a mare un patrimonio di 80 anni, ci si dimenticò di un particolare: che quella operazione aveva bisogno di definire un nuovo orizzonte, ideale e culturale, per dare testa alla sinistra. Le gambe c’erano, la testa no.
Il problema sta tutto qua. Chissenefrega di Renzi, del Pd, delle alleanze. Ma si può dibattere da Roma se a Parma si debba appoggiare Pizzarotti o fare una coalizione di centrosinistra classica? E quelli di Parma che stanno a fare? Danno i volantini? Guarda che poi, ne abbiamo le prove provate, quelli di Parma finisce che non ti votano. E poi mica puoi dire “date le condizioni abbiamo fatto il massimo”. La politica, la sinistra, servono a cambiarle le condizioni, mica a subirle.Dicevamo: identità, bagaglio culturale e ideale. Queste sono le condizioni essenziali. Poi possiamo anche chiamarlo davvero Arturo, se in contenuti e le idee sono quelle di un nuovo movimento socialista. Serve un grande lavoro prima di tutto culturale, chiamando a tornare in campo tutte le energie migliori, i famosi intellettuali che non si sa che fine hanno fatto. Bisogna definire quale sia “il nostro cielo”, il nostro orizzonte ideale, quale sia la nostra cassetta degli attrezzi con la quale interpretare la realtà. Con mi alleo poi? Semplice con chi ci sta. Bisogna, insomma, avere la capacità e la pazienza, di rovesciare il percorso. E guardate che non parlo di “un programma”. Vanno bene le officine delle idee, va bene tutto. Ma non basta. Un programma siamo bravissimi a scriverlo. Anzi, magari neanche più tanto quello perché ormai scriviamo cose che non capiamo neanche noi. Quello che manca è un manifesto dei valori, un campo ideale. E guardate, la butto lì, non credo che sia neanche sufficiente la dimensione nazionale. Le coordinate: io credo possano essere tre: la dicotomia lavoro/non lavoro (perché dovremo porci prima o poi il problema di una società in cui il lavoro sarà sempre meno parte fondamentale della nostra vita e quindi assumere anche il tempo del non lavoro come valore) l’uguaglianza (perché ci hanno fatto una testa tanta con la meritocrazia, ma senza uguaglianza diventa soltanto una maniera più elegante per disfarci degli ultimi) l’ambiente (non perché l’economia green fa tanto fico, ma perché se non mettiamo l’ambiente come base di tutto il nostro agire ci siamo giocati il pianeta e altri non ne abbiamo). Mi fermo perché altrimenti altro che pippone.

3) Fatto questo si torna alla conclusione del punto 1. Ovvero: come si creano le condizioni per far in modo che un giovane Pio La Torre del terzo millennio si senta a casa? La traduco in politichese: come si crea un nuovo meccanismo di selezione della classe dirigente? Perché sicuramente dobbiamo sapere cosa fare, ma anche con chi farlo.
Ora, negli ultimi venti anni (il Pd ha soltanto estremizzato questo processo) i partiti non sono stati più gli “intellettuali collettivi” di cui parlava Gramsci. Ossia quei luoghi in cui un cervello collettivo elabora le soluzioni ai problemi. Ma non sono neanche quei luoghi dove si sperimenta e si mette alla prova la classe dirigente. Tutto questo è stato sostituito dal partito del leader e delle correnti. Si tratta di un processo generale che in Italia ha coinvolto l’intero panorama politico. Non è un caso se la contesa nel Pd è sostanzialmente fra due populisti. Perché nel momento in cui non sei più intellettuale collettivo e non sei più luogo di selezione della classe dirigente, il partito diventa mero luogo di gestione del potere. Il mezzo diventa fine e allora servono solo un leader e i suoi lacchè. Il processo decisionale non è più tra linee politiche alternative, ma fra capi alternativi. E vince chi è più populista e arrogante dell’altro.
Essere di sinistra, oggi, vuol dire anche invertire questa tendenza, costruendo un movimento dove il nodo non sia il leader ma la classe dirigente, diffusa e riconosciuta.
Dico non a caso riconosciuta, perché oggi esistono soltanto i grandi leader mediatici, non abbiamo più i dirigenti di base, quelle figure essenziali se si vuole avere un legame forte con il territorio. Abbiamo una classe politica (non la chiamo dirigente non a caso) completamente slegata dal territorio. Sento autorevoli parlamentari che ti dicono candidamente “non abbiamo capito cosa stava succedendo”. E’ successo ad esempio sul referendum costituzionale. Bastava andare a dare un volantino in giro per capire che gli italiani non solo avrebbero votato no, ma che gli stavate proprio sulle palle.

Tre cose da fare subito, insomma, avendo bene in testa che non serviranno due giorni. Ma bisogna partire. E allora: Pd o non Pd? Machissenefrega.

Piccoli stalinisti alla corte di Renzi

Giu 24, 2015 by     3 Comments    Posted under: in primo piano, Senza categoria

fassina leuciQuello che vi racconto oggi è un piccolo esempio di come si costruisce un piccolo quanto inutile falso mediatico. Siamo alla periferia di Roma, assemblea organizzata da due circoli del Pd, con un parlamentare della minoranza. Introduzione della segretaria del circolo, molto critica con il partito. Poi una cittadina, ex iscritta al Pd, interviene con molta passione. E’ una insegnante e fa un lungo discorso, vero, si sente che è lacerata da una riforma che mette in discussione la sua stessa vita. Nel corso dell’intervento  a un certo punto strilla “Renzi è un fascista”, applaudita da una parte – minoritaria – della platea. In tutto una cinquantina di persone. Ci sono molti insegnanti.

E’ un piccolo circolo di periferia, un quartiere di poche migliaia di abitanti. Cinquanta persone sono una folla. Subito dopo interviene un anziano cittadino di quella zona, che sta registrando tutto sulla videocamera e dice: ma come mai non le avete detto nulla, ci sono i segretari di due circoli del Pd, difendete Renzi.

Nei successivi interventi, in realtà sono molte le persone che dicono: guarda che il tema non è questo, Renzi non è fascista. Argomentano anche. C’è chi lo definisce un principe machiavellico. C’è anche chi dice che sarebbe pure meglio, perché avresti individuato l’avversario. Chi, come il segretario del secondo circolo dice che secondo lui Renzi è il prodotto ultimo del fallimento della sinistra italiana negli ultimi venti anni Alla fine interviene il deputato presente, Stefano Fassina​. Che fa un appassionato intervento, anche lui dice che è sbagliato definire Renzi fascista. E annuncia che gli spazi per fare una lotta di minoranza all’interno del Pd sono sempre più ristretti.
Succede che alla fine della manifestazione, senza dire nulla a nessuno, ma ovvviamente è nel suo diritto, l’anziano cittadino pubblica il video del suo intervento e quello di Fassina in un oscuro gruppo su facebook dove però ci sono anche degli esperti di comunicazione.

Ad esempio c’è Massimo Micucci, che conosco fin dai tempi della Point, una delle prime società dove ho lavorato. Un vecchio lupo passato per il gruppo dei D’Alema Boys a Palazzo Chigi, per le varie società di Velardi. Adesso a quanto ho capito si occupa di cinema, al Roma film festival. Insomma uno che c’ha mezzo metro di pelo sullo stomaco, uno di quelli che cadono sempre in piedi.

Insomma per farla breve, prende questo video e lo pubblica su youtube. E fin qui ancora nulla di male. Anzi il video viene ripreso dalle principali testate nazionali, ha migliaia di visualizzazioni. E tra l’altro è un video molto vero, Il vento, le bandiere al tramonto. Insomma molto fico dal punto di vista della comunicazione. Chissà se Micucci è d’accordo, lui che è uno di quelli abituati a costruire campagne finte a tavolino. Spesso sono più efficaci queste cose qui. Pochi secondi di parole chiare, senza effetti speciali.

Ma il Micucci non è neutrale e deve provare a disinformare, chissà se è solo un atavico riflesso dei tempi che furono oppure è proprio un mestiere. E allora ci mette una bella didascalia, su youtube. “Dopo che una ex iscritta ha appena detto che Renzi è fascista, senza che né Fassina né i due segretari di circolo fiatassero, Fassina annuncia che lascia il PD”.

Ovviamente, se avete avuto la pazienza di leggere quello che ho scritto, è completamente falso. E chiedo subito a Micucci di cancellare la didascalia.

Quello che segue è il dialogo con il personaggetto di cui sopra. Si commenta da solo, ma ci dà un esempio, in piccolo, di come si crea un falso.

Io: “Come ti ho scritto su youtube: Libero di pubblicare quello che vuoi, ma non di scrivere cose false. Ai sensi della legge sull’editoria ti invito a cancellare quanto prima quella frase in quanto non corrispondente al vero”.

Micucci: “Quale frase?”

Io: “Quella con cui commenti il video di fassina. è falsa. Come ho scritto ampiamente non è vero che nessuno abbia risposto alla compagna che ha dato del fascista a Renzi. Semplicemente nessuno l’ha interrottta, io sono abituato così. ma perche devi fare battaglia politica scrivendo falsità”.

Micucci: “Senti hai fatto della ironia sulla scorta a Orfini chiamandola arma di distrazione di massa, per questo ti ho rimosso dagli amici. Non meriti considerazione, ma biasimo.ti consiglio sobrietà”

Io: “Ok, vado: hai scritto una cosa falsa. dopo l’intervento di una cittadina in una piazza, non in una sede di partito, almeno altri cinque interventi hanno detto “guarda che non è vero”. Compreso il mio.

Per quanto riguarda la scorta di orfini:

1) il mio spazio su facebook è uno spazio satirico

2) rispondevo a un compagno che mi diceva: confessa che le minacce anarchiche a Orfini sei stato tu a farle

dopodiche

i metodi sono sempre gli stessi

buona giornata.

Micucci: “Scrivilo pubblicamente, ne prenderò atto con piacere, nonostante le tue ridicole minacce. Anche se confermi che non hai fiatato durante l’intervento ed un tempo non sarebbe accaduto. Confermi anche che hai ironizzato sulla scorta di Orfini. Ma che vuoi che ti dica che hai perso la testa? Mi spiace per te”.

Io: vabbeh lascia perdere fiato sprecato”.

Ovviamente è un dialogo privato, non è corretto pubblicarlo. Ma come si dice… a brigante brigante e mezzo. Quel video in poche ore ha avuto più di duemila visualizzazioni. E tutti hanno dovuto leggere come didascalia una cosa meramente falsa. Non vale la pena di querelare i due signori per diffamazione, avrei la sentenza fra qualche anno dopo aver speso un sacco di soldi. Ma di sputtanarli, nel mio piccolo, sì.
Perché io faccio il giornalista, questi personaggetti fanno solo danni al padrone di turno. Ieri D’Alema oggi Renzi.



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