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Ma dobbiamo per forza dare mazzate ai lavoratori?
Il pippone del venerdì/125

Gen 10, 2020 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Intanto ben trovati. Probabilmente più che di un pippone, dopo i bagordi natalizi, di capodanno e della Befana, avreste bisogno di una robusta dieta e di qualche corsetta. Me compreso, che me ne sto invece qui davanti al computer, bolso come un cavallo spompato.

Tant’è, accontentatevi di qualche considerazione di inizio anno, tanto per riprendere l’abitudine. Sulla situazione internazionale c’è poco da dire. Anzi ci sarebbe parecchio, a partire dal ruolo sempre più marginale dell’Onu, mai come adesso in balia dei capricci delle grandi potenze e, in particolare, di un Trump che sembra sempre più usare i missili e i droni per far aumentare la sua popolarità in vista delle elezioni.  Nelle ultime ore pare che possano prevalere le colombe sui falchi, ma si sente sempre nell’aria odore di polvere da sparo. Sono giorni complicati, nei quali basta un nulla perché alle diplomazie che si muovono in silenzio e lentamente possano sovrapporsi i generali pronti con il dito sul grilletto. Personalmente sento un grande senso di impotenza, come mi successe nelle ore precedenti alla guerra del Golfo. Che fare? Servirebbe la politica, una grande iniziativa europea. E invece assistiamo soltanto alle gaffe di Conte e di un ministro che di Esteri sa ben poco.

Sulla situazione interna italiana, mi pare che siano giorni di attesa. Si aspetta il voto dell’Emilia per capire se davvero questa esperienza un po’ raffazzonata possa costituire il fulcro di una possibile alleanza da contrapporre alla destra. Io credo che non sia sufficiente. Perché il Conte Bis mi pare una fotocopia del Conte Uno. Sono cambiati i programmi, abbiamo recuperato un po’ di credibilità internazionale (ma ci voleva poco), sia a livello politico che sui mercati. Ma resta un difetto di fondo: quando si alleano forze di natura differente si deve cercare una linea comune. Invece, in questi anni, abbiamo assistito a coalizioni che non si sono mai fuse, cercando la via più facile ma meno redditizia in termini di risultati: ognuno punta sui suoi cavalli di battaglia. Il risultato è che manca un progetto, una visione. E questo lo paghiamo tutti i giorni in termini di minore competitività, di decadenza di un Paese che, al contrario, avrebbe bisogno come il pane di seguire una indicazione precisa, di sapere dove si vuole arrivare e muoversi di conseguenza.

Capisco che è chiedere tanto. Ma se davvero si punta al green new deal, servono i provvedimenti necessari, senza titubanze. Non si può, ad esempio, obiettare che gli imballi in plastica li producono in Emilia e dunque va tutto rinviato in attesa delle regionali. Sarà bene che qualcuno dica con chiarezza a quegli imprenditori che sarebbe il caso che producessero altro, semplicemente perché tutta questa plastica ci sta uccidendo.

Gli esempi sarebbero tanti. E ci vorrebbe, non mi stancherò mai di dirlo, una sinistra in grado di rinnovare il suo campo di valori e muoversi di conseguenza. Visto che non è alle porte, mi accontenterei almeno di una sinistra che la finisca di dare mazzate in faccia ai lavoratori.

Lo dico con affetto al segretario del Pd: caro Nicola, non è che per tenere insieme il tuo partito devi per forza continuare a sposare i provvedimenti che hanno portato il partito stesso a un passo dall’irrilevanza elettorale. Perché ostinarsi a difendere il jobs act, che non ha prodotto nulla e ha eliminato diritti fondamentali dei lavoratori e perché ostinarsi a voler eliminare quota 100, che sarà anche una misura parziale, ma ha avuto un riflesso positivo sulle vite di decina di migliaia di persone, quelle – tra l’altro – che a parole consideri il tuo elettorato di riferimento? Credi davvero che diminuire appena un po’ la pressione fiscale sia sufficiente a far respirare i lavoratori dipendenti?

Ho l’impressione che, come troppo spesso è successo nella breve storia del Pd, il feticcio dell’unità a tutti i costi porti a cedimenti inaccettabili, che manchi quella chiarezza di linea politica che è essenziale per tornare a essere un punto di riferimento per i più deboli. Si possono anche perdere le elezioni, ma non si può perdere la propria anima, altrimenti si viene travolti dagli eventi. Il Partito democratico, malgrado tutti i suoi limiti, è ancora oggi, l’unica grande organizzazione di massa che esiste in Italia. Le altre forze politiche sono partiti del leader, legati indissolubilmente al destino del capo. E questo rende tutto il sistema Paese più debole, troppo legato ai sondaggi, troppo attento a creare bisogni e paure fittizi per evitare di dover affrontare i nodi veri che da troppo tempo abbiamo attorno al collo.

Un sistema scolastico che è stato cambiato talmente tante volte da essere ridotto ai minimi termini. L’istruzione da noi è ormai una specie di collage scombinato, in cui gli studenti annaspano e gli insegnanti sono sempre meno motivati. Le infrastrutture cadono a pezzi, letteralmente. L’amministrazione della giustizia cambia a seconda del Tribunale. Se sei a Roma hai meno diritti di chi sta a Milano. Ora sarà anche un problema grandissimo quello della prescrizione, ma sarà forse il caso di investire in strutture più efficienti, dotate di tecnologie adeguate? Quando si entra nel tribunale civile di Roma, non di un paesino ma della Capitale d’Italia, si piomba di botto nel medioevo, tutto si regge sulla buona volontà di cancellieri, avvocati e giudici. Per non parlare della sanità, dove gli squilibri territoriali sono ancora più evidenti. Negli ultimi dieci anni è stata amministrata con lo spirito dei ragionieri. L’unico obiettivo è stato quello di riportare i conti in ordine. Con il risultato che il servizio pubblico sta morendo per asfissia.

Ho indicato solo quattro temi, che secondo me sono però, un po’ la carta di identità con cui un paese si presenta. Del resto non è questo il luogo per scrivere un programma compiuto.

Sarebbe bello però avere finalmente un governo che faccia cose non dico di sinistra, ma almeno diverse dal liberismo sfrenato della destra italiana. Sono soltanto speranze di inizio decennio?

Per fare politica bisogna essere ricchi.
Il pippone del venerdì/64

Lug 13, 2018 by     1 Comment     Posted under: Il pippone del venerdì

Fra le varie involuzioni a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni l’abolizione del finanziamento della politica è quella forse più complicata da spiegare, ma anche più grave. Più complessa, perché l’abolizione dei fondi pubblici destinati ai partiti, la stretta sui locali destinati alle attività politiche, l’eliminazione dei vitalizi e la riduzione dello stipendio degli eletti nelle istituzioni rappresenta una risposta a un sentimento popolare diffuso, creato ad arte, contro la cosiddetta casta. Ricordate il famoso libro di Rizzo e Stella? Beh, il fatto che l’epicentro della battaglia contro i privilegi dei politici sia stato uno scritto, lacunoso e zeppo di imprecisioni, di due strapagati giornalisti del Corriere della Sera la dice lunga. La finanza e l’economia, si sa, in questi anni hanno fatto di tutto per scrollarsi di dosso qualsiasi tipo di laccio. E sottomettere il potere politico a quello finanziario è sicuramente la strada più semplice per avere la strada spianata.

La riduzione dei diritti sociali, le cosiddette riforme che hanno reso sempre più precario il lavoro, lo smantellamento dei corpi intermedi e la realizzazione di una società sempre più liquida e sempre meno solidale, sono il frutto ultimo di quello squilibrio di poteri fra politica ed economia che nel nostro Paese si manifesta oggi nella forma più subdola. Cosa è, del resto, il governo Salvini-Di Maio se non la resa definitiva al potere finanziario? Ogni giorno si parla di economia? Di lavoro? Di diritti sociali? Ma neanche per sogno. Si alzano polveroni, si creano nuove paure, nuove artificiali divisioni nelle classi proletarie per coprire da un lato lo smantellamento di quello che resta del vecchio sistema politico, dall’altro il via libera definitivo al potere finanziario.  E anche un pallido provvedimento come il “decreto dignità” sarà svuotato ulteriormente dal passaggio alle camere. Si parla perfino di reintrodurre i voucher, moderna forma di schiavitù. Tanto l’opposizione non esiste e fra un pop-corn e l’altro non trova manco il tempo di organizzare una qualche forma di protesta.

Ma torniamo al tema principale. Si parlava del finanziamento pubblico della politica, di cui in questi giorni, con il taglio drastico ai vitalizi già in essere per gli ex deputati, si elimina l’ultimo pezzo. Non voglio neanche entrare nel tema, delicatissimo, dei diritti acquisiti: ci accorgeremo nei prossimi anni – se il provvedimento supererà i ricorsi annunciati – del danno prodotto, quando si arriverà a toccare le pensioni in essere delle persone “normali”. Il vitalizio, come le altre forme di finanziamento pubblico, in Italia fu fortemente sostenuto dalla sinistra. La ragione dovrebbe essere evidente, uso termini antichi perché almeno ci capiamo al volo: per competere, chi si candida a rappresentare il proletariato, non ha gli stessi strumenti di chi rappresenta i padroni. E un deputato che si fa una o due legislature deve essere indipendente nel suo mandato e quindi avere un compenso adeguato. Ma deve avere garantito anche il suo futuro dopo l’impegno politico. Perché solo chi lavora nel pubblico, di fatto, ha diritto all’aspettativa per il periodo in cui ricopre un incarico elettivo. Gli altri, nella grande maggioranza dei casi, perdono il lavoro.

E’ lo stesso filone del finanziamento pubblico abolito definitivamente non dalla destra cattiva, ma da un governo a guida Pd, quello presieduto dal troppo incensato Enrico Letta. Abolendo il sistema di rimborsi legato ai voti presi alle elezioni si dà spazio al finanziamento dei privati, l’unico possibile. E i privati sono imprese che hanno a che fare con la politica. E i privati che hanno a che fare con la politica vogliono condizionarne le scelte. Un sistema all’americana, insomma, con le lobby che comandano. Siccome, poi, siamo in Italia dietro il finanziamento c’è spesso un sistema di corruzione. L’ultimo caso romano, quello del costruttore Parnasi, è emblematico: finanziava tutti i partiti, per avere sempre gli appoggi giusti. Secondo le accuse il finanziamento avveniva in parte in maniera legale, ma pur sempre criticabile dal punto di vista etico, in parte tramite fatture false e fondi neri.

Io credo che questo sistema non funzioni, che noi abbiamo bisogno di un sistema politico forte e autonomo. E se questo ha un costo elevato per la collettività, va rilevato il che il costo di un sistema politico asservito ai padroni è molto più alto. Il costo, solo per fare un esempio, è la vita di quel cavatore morto sulle Apuane pochi giorni fa. Aveva un contratto di sei giorni. Una roba che dovrebbe essere espressamente vietata. E, invece, nell’Italia che si batte contro la casta, è perfettamente legale. Ma il costo è ancora più alto se pensiamo che, di fatto, l’eliminazione di vitalizi e finanziamento pubblico ci riporta ancora di più a un sistema politico ottocentesco, in cui i partiti non esistono più, sostituiti da gruppi di notabili. I ricchi tornano a essere i padroni assoluti della scena, perché in questo sistema solo chi ha un suo patrimonio o è robustamente foraggiato può fare politica. Le masse che oggi plaudono alla sconfitta della casta rischiano di essere nuovamente espulse dal panorama politico. Dall’800 la politica, da Marx in poi, è stato lo strumento di riscatto per le masse, il modo per riequilibrare una società basata sul famoso furto originario, la proprietà privata. Ora non più. Torna a essere strumento per rafforzare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Anche a questo dovrebbe servire una sinistra nuova in Italia. A immaginare un sistema in cui le cariche politiche tornino contendibili senza dover investire centinaia di migliaia di euro. Si dice: ma internet ha ridotto il costo delle campagne elettorali, basta essere bravi sui social ed è fatta. Anche questa è una balla: per prevalere sui social servono eserciti di comunicatori professionisti che costano forse anche di più dei vecchi manifesti. No, servono i partiti e devono essere finanziati dallo Stato per svolgere la loro funzione principale: quella di selezionare la classe dirigente in maniera democratica. Bisogna rifondare il sistema politico nel suo complesso. Dare, intanto, attuazione alla norma costituzionale con una legge che disciplini la vita democratica dei partiti.  Regole base alle quali attenersi per evitare i partiti padronali. E poi servono nuove forme di finanziamento pubblico. Siccome credo che i partiti debbano vivere nella società, non mi stancherò mai di ripeterlo, una forma interessante di finanziamento potrebbe essere quello di avere dei locali di proprietà pubblica con un affitto simbolico. La scomparsa, a Roma ormai ne restano davvero poche, delle sezioni di partito dai nostri quartieri vuol dire privare i cittadini di punti di riferimento utili a far valere le proprie ragioni in maniera trasparente e non clientelare.

Capisco, lo dicevo all’inizio, che spiegare la necessità dei vitalizi, dei finanziamenti ai partiti è una faticaccia. Ma varrebbe la pena di farlo. Una società senza forze politiche popolari è una società più povera, più debole e frantumata. Ultima notazione, ultimo allarme: a Roma sono scomparse anche le ultime feste di partito. Può sembrare un fatto minore, ma per decenni sono state il principale canale di comunicazione che la sinistra aveva con il suo popolo. Non c’erano solo le salsicce e le balere. Che comunque visti i prezzi popolari avevano un loro significato. C’erano cultura e politica che riempivano le piazze di popolo. Io trovo che senza le feste siano anche città più tristi e meno sicure: gli spazi di socialità – la lezione di Renato Nicolini andrebbe sempre ricordata – sono fattori di crescita, di coesione per le comunità. Noi siamo sempre più chiusi nei nostri appartamenti con l’aria condizionata a gioire per la sconfitta della casta via social con persone che non abbiamo mai visto in faccia.

Sarà anche la modernità. A me sembra il medioevo.

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