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#Iolavedocosì.
Votare Orlando il 30 aprile?
Un errore politico e una scorrettezza

Apr 4, 2017 by     No Comments    Posted under: dituttounpo'

downloadHa cominciato Gianni Cuperlo, con un esplicito invito a Bersani e ad Articolo Uno, in sostanza: il 30 aprile venite votare alle primarie del Pd per dare una mano a Orlando. Poi ha continuato Goffredo Bettini (che io tra l’altro ricordavo strenuo sostenitore di Renzi e Orfini, mi devo essere perso qualche passaggio), più mellifluo il suo appello: “Confido che il messaggio di Orlando arrivi all’insieme del centrosinistra, che aspetta il momento della riscossa e dell’unità; superando quelle divisioni volute più dai gruppi dirigenti per coltivare orticelli, che dai cittadini e i militanti che da tempo hanno dimostrato, soprattutto nelle città, di avere un sentire comune e la voglia di stare insieme contro la destra e la demagogia”.

E poi da li a ruota molti orlandiani si sono scatenati sui social, arrampicandosi su sentieri scoscesi e ricchi di olio, pur di dimostrare che il regolamento delle primarie del Pd permetterebbe un voto da parte di chi del Pd non è elettore. Manca solo Orlando, ma allora sarebbe disperazione pura.

Intanto non è vero che alle primarie del Pd possa votare chiunque. L’articolo 10 è molto chiaro: devi sottoscrivere un documento dove dichiari di sostenere il partito e condividere la sua linea politica. Poi non ti fanno l’analisi del Dna, diranno che in passato hanno votato folle prezzolate e truppe aviotrasportate, le regole sono chiare, però.

Ma il punto politico è un altro. Non la faccio lunghissima e procedo schematicamente.

1) Sono uscito dal Pd nel luglio del 2015, nel frattempo ho votato alle amministrative e a due referendum, sempre in contrasto con la linea decisa da Renzi, ho lavorato – e continuo a farlo – alla costruzione di una forza di sinistra, alternativa al Pd, che marchi una netta discontinuità con le politiche neoliberiste che hanno affascinato negli ultimi anni le forze che fanno riferimento al Pse. Come potrei mai firmare un documento in cui dico di condividere il progetto e la linea politica di un partito che ha proposto e approvato: introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione, fiscal compact, abolizione dell’articolo 18, legge ammazza scuola, legge elettorale truffa, riforma costituzionale in senso autoritario? E mi fermo qui, ma potrei continuare.
Non sarebbe né serio, né rispettoso, né corretto, insomma, andare a scegliere il segretario di un partito di cui, ormai, non sono non condivido la linea politica, ma neanche il progetto di fondo. Sarà anche vero che la destra nel 2013 scese in campo a favore di Renzi, non so. Ma noi siamo diversi, anche su queste cose.

2) Anche volendo passare sopra alle considerazioni regolamentari ed etiche di cui sopra, qualcuno mi spiega perché dovrei votare per uno che fino all’altro ieri ha fatto il ministro di Renzi senza mai non dico sbattere il pugno, ma neanche provare a instillare qualche dubbio, qualche idea di sinistra, nel programma della compagine governativa? La cosa più di sinistra che ha fatto Orlando in questi anni è stata chiedere la conferenza programmatica all’assemblea nazionale convocata per avviare l’iter congressuale. Insomma, anche a voler essere spregiudicati, la candidatura di Orlando sembra più decisa a tavolino per arginare la crepa che si è aperta, piuttosto che rispondere a una qualche vera esigenza politica.

3) Non capisco per quale motivo Articolo Uno dovrebbe sprecare tempo energie in questa impresa. Io non ho alcuna intenzione di tornare in un partito, lo ribadisco, è alternativo al campo che vorrei costruire. Il che non vuol dire che non ci possano essere rapporti con il Pd, alleanze locali, convergenze programmatiche a livello nazionale. Tutt’altro, sarebbe miope e minoritario non porsi il tema. Al momento opportuno. Ma, vivaddio, che il Pd faccia il Pd e la sinistra faccia la sinistra! Abbiamo da fare abbastanza, sinceramente, dobbiamo ricostruire dal nulla, anzi dalle macerie lasciate in questi anni, un campo di forze che torni a essere percepito come una speranza per il nostro paese. Le elezioni dei segretari altrui, non ci devono e non ci possono riguardare.

4) Infine un rispettoso “rimbrotto” a Cuperlo: io credo che il suo appello sia stato scorretto (per le ragioni che ho scritto all’inizio). E non riconosco in quelle parole il politico rispetto e di rigidità quasi “monastica” che ho apprezzato in tanti anni di comuni frequentazioni. E, la finisco davvero, lo ritengo anche sbagliato tatticamente, un segno di evidente confusione e debolezza. Capisco che le compagnie che frequenta non sono esaltanti, ma se le è scelte. E noi, comunque, lo aspettiamo sempre. A braccia aperte.

Costruiamo ponti, non steccati

Feb 20, 2017 by     No Comments    Posted under: appunti per il futuro, in primo piano

sinistraIl 15 luglio del 2015, forse un po’ paradossalmente, conclusi così l’intervento con il quale annunciavo al direttivo del circolo Pd Capannelle le mie dimissioni da segretario e dal Pd stesso: “Dobbiamo, anche in questa fase, avere sempre l’obiettivo di costruire ponti e non steccati”. Paradossale perché anche in quel momento, di rottura, facevo riferimento al bisogno di trovare le forza di proseguire un dialogo, anche se una storia comune si interrompeva. Il bisogno di continuare a esplorare insieme terreni sconosciuti. La risposta fu più che uno steccato: la commissaria di zona, una sorta di Orfini un po’ più arrogante, ordinò di cambiare immediatamente le chiavi del circolo e mi diffidò via mail dall’entrare in quelle stanze. Come dire: mi hanno sbattuto le serrande in faccia. Poco male.

Da allora mi è sempre rimasta in testa quella frase, quell’obiettivo. E per questo ho lavorato da subito, quando il gruppo di compagni con cui avevamo lavorato in quei mesi, mi propose di essere il “referente romano” (nome un po’ bizzarro che vuol dire coordinatore) di Futuro a sinistra, l’associazione a cui aveva dato vita Stefano Fassina, anche lui appena uscito dal Pd.
Costruire ponti era la mia ossessione perché vedevo con forte preoccupazione quello che stava succedendo: invece di provare a lavorare per riunire il campo disgregato della sinistra italiana, ognuno coltivava soltanto il proprio orticello. Troppo sigle, poco popolo. La dico così in sintesi. Tutti gruppi tesi ad alimentare esclusivamente la sopravvivenza del proprio gruppo dirigente. Dove si parla di partecipazione e poi manco ti comunicano le decisioni, le leggi sui social. Troppi recinti, troppe casette magari rassicuranti e protettive per chi sta dentro, ma poco attrattive e poco utili se non ci si vuole accontentare di sopravvivere. Settarismi, si sarebbe detto un tempo, che non portano da nessuna parte.

L’ho detto ogni volta che ho potuto. Non chiudiamoci, inventiamoci forme nuove per stare insieme. E anche quando è stato avviato il percorso che poi ha portato alla nascita di Sinistra italiana, ho sempre insistito sulla necessità che non fosse un partito classico, ma un arcipelago di mille isole, autonome, con la propria identità, ma messe in rete. Perché non bisognava escludere nessuno. Anzi.

Per questo ho proposto, dove mi è stato concesso, che si partisse da un manifesto, pochi punti chiari. E su questo si avviasse un processo costituente dal basso, che non fosse un accordo fra gruppi dirigenti ma un processo che, al contrario, si aprisse a quanto è nato e cresciuto in questi anni nelle città e nei quartieri. Non serviva che qualcuno scrivesse la storia per noi, che qualcuno scrivesse in qualche bel documento che “bisogna ridare centralità al lavoro, tornare a parlare al popolo della periferia”. Serviva che il lavoro e le periferie tornassero a essere protagonisti nella scrittura di una storia comune.

Nell’appello con cui lanciammo Futuro a sinistra a Roma scrissi: “La sinistra a cui pensiamo nasce dal basso, non dalla fusione di ceti politici. Non vogliamo essere i reduci delle sconfitte dell’ultimo ventennio che si mettono insieme alle rinfusa dimenticando le divisioni e le ragioni che le hanno prodotte. E’ una sinistra nuova, inclusiva, plurale e che raccoglie anche culture differenti. Una forza di governo e riformatrice”.

Poi sono arrivate le dimissioni di Marino, il notaio, insomma la vicenda è nota. E tutto è precipitato. A Roma si è decisa non si capisce bene dove, la candidatura di Stefano Fassina a sindaco. Ho espresso timidamente a chi mi prospettava questa eventualità le mie perplessità. Per il profilo nazionale di Fassina, per la sua storia politica complessa, per la mancanza di un legame con la città.
Una volta tratto il dado, sono fatto così, ho sostenuto la sua candidatura con tutte le mie energie. In campagna elettorale servono gli eserciti, i soldati, non le discussioni.

Ho cercato comunque di portare le mie idee e di calarle in questo percorso, troppo breve. E qui ho trovato muri robusti. Tutto si è deciso in stanzette anguste. In riunioni di pochi. E invece bisognava davvero ascoltare la città, chiedere a Roma di mettersi in gioco insieme a noi. Di non delegare, ma esporsi in prima persona. Ho proposto di fare le primarie delle idee, quartiere per quartiere. Grandi assemblee con tutta la sinistra diffusa, i lavoratori, le associazioni locali, le forze disperse di una sorta di sinistra sociale che in questi anni di vuoto si è organizzata fuori dai canali tradizionali e li ha anche sostituiti. Non, insomma, le primarie sulle persone, ma un confronto vero sui temi. Da cui poi nascesse il confronto sulle persone da scegliere. C’erano energie che sono state disperse. Tante energie. E invece si è scelta la strada del “tavolo fra le forze politiche”. Interminabili trattative fra partitini inesistenti per decidere chi andava candidato. Esponendosi alle azioni di disturbo di chi ci vedeva come il fumo negli occhi.

Avendo manifestato una forte contrarietà per il metodo e anche per le persone scelte mi è stato prima proposto di candidarmi, nell’ordine: al Comune, come presidente in VII e in VI Municipio. La cosa non mi entusiasmava particolarmente, ma mi misi, come si dice, a disposizione. Poi furono fatte altre scelte, che lessi sui giornali.
Contro di me e contro gli altri compagni che avevano osato dissentire cominciarono a girare le letterine infami. Una sorta di riflesso staliniano che porta chi si sente attaccato a rivolgersi al capo cercando la sua benedizione. La faccio breve perché ho ancora molto da dire: siamo gente con le spalle grosse, le lettere e gli infami ci scivolano addosso.

E in silenzio mi sono fatto tutta la mia campagna elettorale, pacchi di volantini, strada per strada, casa per casa. Strade e case di quella periferia che i leader invocano, ma da rassicuranti distanze. Salvo poi stupirsi se in quelle strade dilagano i diversi populismi. Vi faccio un promemoria: non ci sono soli i 5 stelle, Casapound sta diffondendosi con una rapidità e una profondità impressionante nelle periferie romane. Poi non dite che non lo sapevate.
Continuando in questo racconto, i risultati delle elezioni li sapete. Per la nascente sinistra è stata un risultato rovinoso, altro che storie. Gli eletti si contano sulla punta delle dita. E non è una metafora. Fuori da quasi tutti municipi, salvo che, guarda caso nel centro della città e a Garbatella, dove si ricandidava il presidente uscente, evidentemente molto radicato. Ho provato ad analizzare serenamente il risultato con una lunga lettera inviata ai miei compagni di viaggio, ribadendo il mio giudizio su una campagna elettorale nata male e proseguita peggio. Unica risposta ricevuta, da Fassina: abbiamo fatto il massimo data la situazione.

Ora, sia chiaro, una sconfitta elettorale ci sta. Non hai una forza politica definita e riconoscibile dietro, paghi lo scotto della mancata chiarezza sui valori, sulle prospettive future. E però devi capire dove hai sbagliato e cercare di cambiare strada. E invece che si fa? Si chiude ancora di più il recinto: la coalizioncina elettorale che aveva sostenuto Fassina diventa un’associazione fatta dagli ex candidati, che si scelgono anche un coordinatore e un coordinamento. Tutto questo lo apprendo su Facebook. Nel frattempo lo stesso Fassina riunisce Futuro a Sinistra di Roma e nomina un nuovo coordinatore.

E di Sinistra italiana? Si perdono le tracce. Della costituente dal basso che tutti avevano giudicato come necessaria non se ne parla più, dell’unione con altri partiti e movimenti neanche. Non si fa neanche la fusione tra gruppi dirigenti. C’è solo Sel più alcuni esponenti ex Pd. C’è un comitato esecutivo nazionale, li si discute e si decide. Nulla più.

Io me ne vado in vacanza, dove maturo la decisione, sofferta, di abbandonare l’impegno politico. Definitivamente? Mai dire mai. Ma questo anno vissuto così, la delusione, le speranze disattese, la fiducia che – come è evidente – ho riposto nelle persone sbagliate… insomma mi sono sentito svuotato. Troppa cattiveria per poter portare avanti le proprie idee. Non che la battaglia mi abbia mia spaventato. Ma mica puoi guerreggiare sempre, anche dentro casa. Sono talmente distaccato che mi scordo pure di togliere “militante del Pd” da questo blog. Sta ancora lì.

Insomma ho scelto il distacco totale. Seguendo da osservatore lontano e disincantato le vicende delle sinistre. Da un lato Sinistra Italiana che ha rinunciato a un processo costituente vero e proprio e ha scelto di fatto di fare solo un congresso nazionale per eleggere un segretario. E si sono persi per strada metà o più dei parlamentari. Ai congressi provinciali hanno partecipato, se ho capito bene, circa 8mila persone. Un condominio o poco più. Poi c’è il nuovo campo di Pisapia. In divenire.

E c’è questa vicenda della scissione (forse ci siamo) del Pd. E qui devo fare un po’ di autocritica. Ho sbagliato a lasciare il partito nel 2015. Non perché mancassero le ragioni: continuo a ritenere che andarsene oggi sia una scelta tardiva e poco comprensibile. Ma perché uscendo da solo mi sono auto isolato da quella comunità con cui avevo percorso un tratto importante del mio impegno politico e – in ultima istanza – della mia vita. Un errore, senza dubbio.

Incontrarli di nuovo, all’assemblea che si è svolta sabato a Testaccio mi ha fatto piacere. Non mi sono sentito ospite, la dico così.

E ora che succede? Io sono sempre convinto che non serva un nuovo partito della sinistra italiana. O meglio. Sono convinto che quello debba essere l’obiettivo da raggiungere, ma aprendo l’orizzonte. Facendo rete fra le realtà che ci sono e che vogliono rappresentare la loro identità, la loro specificità. E riprendere un cammino comune non è facile se si chiede di annullarsi. Ancora una volta torna il tema dei ponti. Un movimento plurale dove ci sia spazio per tutti. Non una casa dove si entra bussando, ma un cantiere dove per entrare nessuno ti chiede da dove vieni, cosa hai fatto, quanti globuli rossi hai nel sangue. Perché stare insieme significa arricchirsi se si considerano le storie, le esperienze, le forme organizzative e le diverse intelligenze come parti da esaltare e non come semplici cellule che devono uniformasi. Un partito non si creare fondendo gruppi parlamentari, insomma. Anche se i gruppi parlamentare servono eccome.

Si potrebbe finirla, ad esempio, di dire: il Pd è un alleato naturale oppure mai con il Pd. Io credo che Si debba riannodare un rapporto con l’Italia che la sinistra, nelle sue diverse forme, non ha più. Scuola, lavoro, movimenti, sindacati, un ceto medio sempre più marginalizzato. Chi ci parla più con questi mondi? Chi li ascolta. Da sempre, faccio un esempio, ho ritenuto che lo scontro con la scuola fosse l’inizio del declino del Pd. Perché la scuola rappresenta tutto il paese. Scontrarsi con famiglie, studenti, insegnanti vuol dire litigare con l’Italia. E come ci rimettiamo in sintonia adesso? Non è che bastano i social o le televisioni. O ancora le periferie. Come tornare a metterci piedi e cuore dentro? Come tornare a essere percepiti come un interlocutore utile e non come la peste da evitare? Come si torna a essere presenti nei luoghi del conflitto, come ci si sta dentro e non ci si limita più a descriverlo?

Invece di preoccuparsi delle alleanze, le sinistre si devono preoccupare di ricostruire un rapporto, un intesa con la loro base sociale. Poi le alleanze serviranno. Perché io a essere condannato a essere minoranza non ci sto, non fa parte della mia cultura politica. Alleanze sulle cose, non sulle sigle. Guardando alla realtà non al curriculum. Possiamo dialogare se tu ti fai un giro di campo sui ceci. A me queste cose fanno impazzinre. E dai su, smettiamola di dare giudizi sugli altri e sediamoci ad ascoltarci. Si torni a fare politica. Non comizi, ma luoghi di confronto.

E come si organizza questo movimento? Con quali strumenti di partecipazione? Le primarie modello Pd, altro abbaglio che ho preso anni fa, hanno distrutto la partecipazione, riducendo il partito a un seggio. E adesso che fare? Quale forma dare all’impegno? Come si seleziona, oggi, una nuova classe dirigente? Vogliamo puntare ancora sulla fedeltà al capo? Occhio che così si producono i Rondolino e gli Orfini.

Pongo domande, non credo che nessuno abbia la risposta. Di certo c’è bisogno di un luogo dove si provi a darne qualcuna di risposte. In questo luogo, se mai ci sarà, metterò la mia passione e la mia intelligenza.

Un treno nella storia
“Appia Antica Station”

Mag 28, 2014 by     4 Comments    Posted under: appunti per il futuro

Una stazione del treno dentro la più grande area archeologica del mondo, a cavallo tra due splendidi parchi. Io mi immagino cosa succederebbe in qualsiasi altro paese, se avesse questa possibilità. Qua, quando ne parli, ti prendono per un marziano e ti rispondono con il solito “non ci sono i soldi”.
Lo dico subito, l’idea originale non è mia, ma del presidente del Comitato di quartiere Statuario-Capannelle, Guido Marinelli. Me l’ha illustrata nel corso di un incontro organizzato dal circolo del Pd e ho avuto una specie di illuminazione.

Andiamo con ordine. Nel piano regolatore è già prevista una stazione sulla vecchia Roma-Napoli, adesso scarsamente utilizzata dopo l’apertura della linea ad alta velocità. La stazione doveva nascere a via Polia. E sembrerebbe una semplice fermata di quartiere, lungo una delle linee che dovrebbero diventare una futura metropolitana di superficie.

E invece – l’idea è semplice ma proprio per questo formidabile – potrebbe diventare una vetrina di Roma nel mondo. Perché, guarda caso la fermata si trova in pieno Parco degli Acquedotti, ma soprattutto a poche centinaia di metri dall’Appia Antica. Insomma a Roma si potrebbe arrivare in treno dentro l’area archeologica più grande del mondo.

All’idea originaria aggiungo qualcosa di mio. Secondo me la stazione andrebbe spostata direttamente sull’Appia nuova, proprio davanti a quella che, nei progetti della giunta comunale dovrebbe diventare “la porta di accesso al Parco dell’Appia Antica”.
In questa maniera, infatti, avremmo anche un nuovo nodo di scambio per chi arriva in macchina dai Castelli romani e la stazione avrebbe così una doppia valenza, sia turistica che di alleggerimento per la linea A della metropolitana. Dico di più, in questa maniera si troverebbe proprio davanti alla Villa dei Quintili. Un altro gioiello straordinario e ancora poco conosciuto.

Ci metto ancora del mio. Mi immagino un grande concorso di idee internazionale per dare una veste architettonica adeguata a quello che, lo ripeto, potrebbe diventare uno straordinario biglietto da visita per Roma in tutto il mondo. Mi immagino molto legno e vetro, una struttura leggera e luminosa. Immagino anche una stazione che sia davvero una porta per l’archeologia. E allora un punto di informazioni adeguato, un servizio di guide. Un punto di bike sharing, ma anche una ciclofficina, archeo-percorsi con app dedicate.

I soldi? Ragazzi, basta con il ritornello della crisi e dei fondi che mancano e dei tagli inevitabili. Intanto il nostro Paese, se vuole ripartire, deve fare delle scelte. E quella di valorizzare il nostro patrimonio dovrebbe essere obbligata.

E poi, facciamo uno sforzo di fantasia. Andiamo dalle più grandi aziende del mondo, andiamo da Apple, da Microsoft, da Google. I nomi sono ovviamente solo a titolo di esempio. E proponiamogli di unire il loro marchio a un’operazione di questo tipo. Immagino anche lo slogan: “Chi cerca il futuro ama la storia”. Io non credo che aziende di questo tipo sarebbero insensibili al fascino mediatico di un’operazione di questo tipo. Appia Antica Station, si può fare. Basta essere un po’ meno provinciali.

Marino e Zingaretti: sveglia!

Cari 101 piccoli infami.
Lettera aperta ai franchi tiratori

Apr 19, 2013 by     17 Comments    Posted under: il pd

Cari 101 piccoli infami, la razza di chi ti dice una cosa in faccia e poi ti pugnala alle spalle mi ha sempre dato fastidio. Ma poi ho imparato a riconoscervi da lontano. Siete di due specie differenti. La prima è fatta da quelli che sono i tuoi più grandi amici, quando ti incontrano sono i primi a venirti incontro,baci abbracci e sorrisi.

La seconda è fatta da quelli che non hanno ancora abbastanza pelo sullo stomaco ed evitano lo sguardo. In tutti e due casi siete persone piccole. Che di mestiere facciate il segretario di una sezione di periferia o i parlamentari, non importa. Non è la carica a qualificare la levatura morale di una persona.

Vedete, cari piccoli infami, io sono di quelli che le cose le dicono sempre in faccia. Che magari a volte esagerano. E che sanno chiedere scusa quando sbagliano. Sempre fieramente perché, mi diceva mia nonna, l’unico che non sbaglia mai è quello che non fa niente.

Insultiamoci, accapigliamoci, prendiamoci pure a parolacce, ma sempre in faccia mai alle spalle.

Voi, invece, siete quelli che inneggiate all’unità del partito, che fate la faccia schifata quando qualcuno dice la verità, magari brutalmente: “Non sono cose da dirsi, perché fanno male al partito”.

E invece, cari piccoli infami, al partito fanno male le vostre ineffabili facce di bronzo. Fanno male i vostri culi che –su questo ci metterei la mano sul fuoco – non s sposteranno mai da quelle poltrone. Perché non voi non esponete mai il petto di fronte all’avversario, tutt’altro. Ci mandate il vostro vicino di banco a combattere. Lo spronate, gli dite vai. E voi sempre imboscati. Non intervenite nelle assemblee, ci mancherebsebe altro. Non dite mai: caro compagno hai detto una cavolata. No, voi vi tirate di gomito con il vicino, con la mano davanti alla bocca per nascondere il vostro sorriso divertito.

Se siete persone, se volete dirvi degni di appartenere a una comunità politica, fatevi avanti per una volta e dite: “Sì non ho votato Prodi, mi dispiace ma non ero d’accordo”. Oddio, se lo aveste fatto stamani, magari avremmo evitato l’ennesima figura di merda, ma va bene lo stesso. Fate outing. Fateci capire perché avete messo l’ennesima pietra su un partito che soltanto nel 2008 era la grande speranza degli italiani.

Voi siete gli stessi che mentre votavano compatti per Veltroni alle primarie già cominciavano a preparare gli agguati. Siete quelli che hanno fatto cadere il governo Prodi.

Ora Bersani avrà anche fatto errori molto gravi. Ma perché non vi siete alzati in direzione nazionale? No, ma ti pare che fate vedere le vostre facce da becchino dell’800? No, mentre votavate sì, già pensavate: ”Tanto un mesetto e lo cuociamo”.

Adesso basta, cari piccoli infami. Non vi meritate la nostra passione. Le notti passate a discutere, le mattinate al freddo nelle cento campagne elettorali che abbiamo fatto. Non vi meritate manco i due spesi per votarvi alle primarie, figuriamoci le alzatacce all’alba per permettere a tutti di votarvi. Fatevi vedere. E, una buona volta, andatevene. Perché non ne possiamo più.

Ora per vincere serve il Pd. In campo per davvero

Apr 8, 2013 by     No Comments    Posted under: appunti per il futuro, il pd, il x municipio, roma

Finita la giostra delle primarie, bisogna dire che mediamente gli elettori del centrosinistra sono migliori di noi. Il quadro dei candidati in campo, dal Comune ai Municipi mi sembra complessivamente credibile, rinnovato, con alcune punte di eccellenza. Poi non tutto va come uno vorrebbe, ma la perfezione si sa…
Parto dal candidato Sindaco. Ripeto quanto ho detto in tutta la campagna per le primarie e provo ad andare oltre. Secondo me Marino da solo non basta per vincere Roma. Sicuramente ha il merito di averci evitato Sassoli – e non è poco – ma da oggi gli avversari si chiamano Berlusconi e Grillo. Sperando che il livello nazionale non ci sommerga, avremo i due leader schierati a Roma per un mese.
Sicuramente Marino è un candidato che ci garantisce su un fronte importante: moralità e trasparenza. Quell’aria da bravo ragazzo, la sua pacatezza nel rispondere, il modo di sorridere, sono gli elementi che ne fanno un candidato che buca nell’opinione pubblica. In primarie tutte concentrate sui municipi (una sorta di guardarsi l’ombelico e pensare che sia l’universo) c’è stato meno voto organizzato sul livello comunale. Il leit-motiv era: vota tizio per il municipio, per il Comune fai quello che credi. E se si confrontano seggio per seggio i risultati dei candidati municipali “sassolini” con il risultato al Comune di Marino, il tema è evidente. Marino capovolge i rapporti di forza delineati nei municipi.
La sua storia, il suo modo di fare politica, un po’ da esterno senza mai però alzare troppo i toni, ne fanno un candidato credibile per l’elettorato di centro sinistra. Si può ipotizzare un recupero di quel voto che alle politiche è andato a Grillo ma che, a distanza di pochi secondi, si era già indirizzato su Zingaretti.

Si dice: vabbeh ma Roma è la capitale del cattolicesimo. Faccio notare che alle Regionali del 2010 Emma Bonino, ovvero una sorta di Satana in gonnella, a Roma portò via il 54 per cento dei voti. Quindi non mi sembra questo il tema vero.
Il dato delle primarie ci dice Marino sfonda nelle periferie, proprio lì dove Grillo alle politiche è stato primo partito ovunque. E sfonda in quelle periferie che spesso sono state accusate di essere la patria del voto di scambio. Devo dire, è solo un inciso, che a me sono sembrate primarie generalmente corrette. Molto più che in passato. Abbiamo imparato a limitare ed emarginare i fenomeni clientelari che pur esistono. Si può ancora migliorare, ma siamo sulla strada giusta.
Il punto, secondo me, è che Marino, per vincere non deve essere solo e deve essere capace di allargare il campo. Bene, insomma, il suo essere personaggio civico più che politico. Ma adesso servono le idee, le persone, una squadra che, tutelando queste caratteristiche preziose, lo accompagnino in una sfida complessa, lunga. Roma è una città difficile. Che ti ama e ti odia. Ti coccola e ti prende a calci nel sedere. Non basta dire di amarla, devi imparare a sentirne il respiro, a capire in anticipo quale sarà l’emergenza di domani. Credo che Veltroni in questo fosse straordinario. Serve un campo di forze ampio, non tanto in senso politico, ma sociale. Serve un blocco che senta Marino come il proprio candidato. E questo si fa mettendo in campo, da subito una squadra larga, rappresentativa di questa città. Si fa uscendo dall’etichetta di candidato della sinistra e basta, mettendo le mani nei problemi quotidiani di questa città. Per fare il sindaco dei romani devi andare oltre. Altrimenti c’è il rischio di andare lindi e puliti contro un muro. A posto con la coscienza ma irrimediabilmente perdenti.
Marino deve dire cosa vuole fare sui grandi temi, dall’urbanistica, alla mobilità. Ricordandosi sempre, però, che questa è una città che ha fame. Che manca il lavoro. Che la disoccupazione giovanile è un livello intollerabile. Deve saper parlare al cuore della sinistra, deve far tornare in campo anche alle elezioni “vere” quel voto di opinione senza il quale si perde. Sempre. Ma deve dare anche risposte alle ansie quotidiane dei cittadini, dalle buche, ai rifiuti, agli autobus scalcinati. Al lavoro, lo dico ancora una volta.
Io credo che per fare questo serva l’unione fra forze sociali e partiti della coalizione. E serva innanzitutto il Pd. Che non si deleghi, ancora una volta, la campagna elettorale ai soli candidati al consiglio comunale. Mettiamo al servizio del candidato sindaco le nostre idee alle quali abbiamo lavorato in questi anni e le nostre persone migliori. Scelga lui. In assoluta libertà chi crede sia più utile a costruire un progetto per Roma. Ce la facciamo a fare questo? Questo, malgrado sia un po’ scassato, resta un partito grande, forte e generoso. Ricco di intelligenze. Mettiamole in campo.

I Municipi
Quello del voto municipale è l’aspetto che, diciamo la verità, ci ha occupato di più in tutta la campagna per le primarie. I risultati mi sembrano positivi, con una squadra di candidati, nel complesso, giovane, rinnovata e soprattutto all’altezza della sfida che ci attende.
Alfonsi, Torquati, Santoro, Veloccia, Marchionne. Cito solo quelli che conosco un po’, nessuno si offenda. Mi soffermo, in conclusione sul risultato del VII Municipio (ex IX e X) dove le cose sono state complicate dall’accorpamento “a freddo” deciso dalla destra proprio alla vigilia delle primarie. Io credo che possa rappresentare un modello di cosa il Pd non deve fare. Nessuna selezione delle candidature, troppi candidati competitivi. Non è un giudizio di valore. Ma faccio notare che, soltanto limitandosi ai due candidati ex Ds, Franco Morgia e Fabrizio Patriarca, la somma dei loro voti doppia il risultato della candidata vincente, Susanna Fantino di Sel. Che ha avuto una buona affermazione, ma che sarebbe rimasta lontana dal primo posto se fossimo riusciti a fare sintesi. Mi ci metto anche io, anche se ho provato fino all’ultimo a trovare una soluzione più unitaria. Non ci sono riuscito e quindi sono parimenti responsabile rispetto agli altri.
In sintesi e per non annoiarvi oltre, Io credo che di quella squadra larga i primi attori debbano essere proprio i candidati presidenti. Sono loro che sentono il respiro della città più da vicino. Mettiamoli in condizione di lavorare da subito per il nostro Bene Comune, Roma.

Con Bersani e Zingaretti.
E con Flavia alla Regione

Feb 22, 2013 by     No Comments    Posted under: in primo piano

Brutta o bella che sia stata, ormai la campagna elettorale è agli sgoccioli. Due sole notazioni su questo. A Roma è stata l’ennesima campagna elettorale dove il partito è stato quasi del tutto assente. La campagna elettorale è stata come di consueto subappaltata ai candidati alla Regione. Come si sono comportati? Un po’ meglio rispetto al solito. Ma neanche tanto. Invasioni di manifesti, mega cene. Il tutto in calo rispetto al passato, ma c’è stato. Andava eliminato alla radice, secondo me, perché quando si spendono centinaia di migliaia di euro per essere eletti alla Regione, oltre ad essere fuorilegge, si dovrà anche rispondere ai finanziatori.  E quindi, almeno questa volta, si potevano evitare le cene da duemila persone, le centinaia di migliaia di manifesti affissi in tutta Roma e Provincia, le pubblicità ossessive sulle fiancate degli autobus. Si poteva e si doveva evitare perché se magari porterà qualche preferenza in più all’aspirante consigliere, al tempo stesso ce ne fa perdere fra le tante persone che sono stanche di una politica dai costi milionari. Qualche commissione di garanzia prima o poi dovrà capire quanto si spende in una campagna per le regionali. Magari prima che lo faccia qualche procura.
Serviva il partito, serviva una regia romana e regionale che, come avviene ormai da anni, è mancata.
I dirigenti si sono limitati a partecipare alle iniziative dei candidati. Non può bastare. Soprattutto con lo sguardo rivolto agli appuntamenti che ci aspettano nei prossimi mesi. Riuscirà il Pd di Roma a mettere in piedi un ragionamento collettivo, una campagna di comunicazione comune, oppure si limiterà a tirare la volata a qualcuno? Riuscirà a porsi alla testa di un movimento di popolo per liberare la città da questo sindaco deprimente?
Detto questo, ci siamo. Fra poche ore si vota. E, con tutte le nostre pecche abbiamo la concreta possibilità di cambiare, sia in regione che a livello nazionale. Da ragazzino mi emozionavo quando Pajetta finiva i comizi del venerdì dicendo: Ricontattate gli incerti, telefonate a tutti i vostri amici e parenti. Ricordate che bisogna continuare a lavorare fino alla fine, perché anche un voto può essere decisivo.

Nessun messaggio può essere più efficace in queste ore.
Cosa votare e come votare: Senato e Camera solo una croce sul simbolo del Pd. Alla Regione una croce sul simbolo vale anche come voto a Nicola Zingaretti. E poi si può esprimere una preferenza, badate una sola, altrimenti si rischi di annullare la scheda.
A chi dare questa benedetta preferenza?
Francamente non mi permetto di dirvi chi votare, chi sarebbero i presunti migliori. Ognuno di noi ha la testa per scegliere. Vorrei, più umilmente, dire chi ho scelto e perché.
Fin dall’inizio di questa avventura ho lavorato e sostenuto Flavia Leuci. Per tre ragioni.
La prima è che di Flavia mi fido. La conosco da anni, siamo stati spesso dalla stessa parte della barricata, ma anche quando non siamo stati d’accordo è sempre stata leale e trasparente. E in Regione di lealtà e trasparenza ne abbiamo davvero bisogno.
La seconda è che la l’esperienza necessaria per poterci rappresentare in Regione. E quando dico rappresentare intendo un rapporto continuo con militanti e cittadini che riporti questo ente così distante a una dimensione umana. Dico l’esperienza perché chi vi propone il rinnovamento e basta in un ente complesso come questo vi racconta una emerita baggianata. Il rinnovamento si fa nei municipi, nei comuni. Lì ci si deve fare le ossa, lì va selezionata la classe dirigente che poi verrà candidata a livelli più alti. Arrivare in Regione senza aver fatto “la gavetta” significa fallire il proprio compito, quello principale di un partito: mettere i migliori candidati possibili a ogni livello. Flavia ha fatto la consigliera in circoscrizione, poi è stata dieci anni in Provincia. E’ una che conosce, approfondisce i problemi e quando non capisce chiede consiglio. Ha l’esperienza e l’umiltà necessaria per essere una buona consigliera.
La terza è che è una donna. Ora, come è noto io sono un maschilista doc, del resto diffidate dai maschi che vi dicono di avere la cultura delle donne. Vi stanno per fregare. Ma anche da maschilista mi rendo conto che in una società in cui le donne sono più del 50 per cento è ridicolo pensare con nel gruppo del Pd non ci sia neanche una donna. E guardate che il rischio c’è tutto. Basta leggere la liste provinciali per capire come siano state costruite così, per avere tutti uomini. Io credo che Flavia sia l’unica donna che ha la concreta possibilità di essere eletta.

Le altre candidate saranno anche rispettabili e brave ma non ce n’è una che abbia la militanza e le capacità di Flavia Leuci. Anche la storia di partito. E io che sono vecchio voglio una consigliera che risponda al suo partito e ai suoi elettori, non che vada a fare la battitrice libera.

Ce la possiamo fare, dicevo. Sarebbe una vergogna, dopo il successo delle donne nelle primarie un gruppo Pd fatto di soli maschi. Ce la possiamo fare, basta ricordarselo domenica e lunedì. E ricordarlo a tutti i nostri contatti. Prendere le agendine, le rubriche sul palmare, sull’ipod, sull’ipad, su quello che vi pare, ma attaccatevi al telefono. C’è tempo fino a lunedì. Per far vincere Bersani e Zingaretti. E anche, se vi avanza tempo, per far eleggere una donna, una compagna vera, nel consiglio regionale del Lazio.

Buone elezioni a tutti.

Appunti per il governo
del Lazio

Ott 26, 2012 by     4 Comments    Posted under: appunti per il futuro, dituttounpo', il pd

Un mio piccolo contributo all’elaborazione del programma per le prossime elezioni regionali. Non si tratta ovviamente, di un ragionamento articolato e complessivo, ma di alcuni spunti, secondo me essenziali, per governare davvero e non tirare a campare. Read more »

La regola dell’emerita cippa

Ott 10, 2012 by     8 Comments    Posted under: dituttounpo', il pd, roma

Leggo in questi giorni di un nervosismo (per dirla così) fra amministratori, eletti, nominati vari. Si dimettono, si autocandidano a incarichi dei quali non sanno assolutamente nulla, si propongono, si promuovono, cenano, telefonano, inguacchiano. Read more »

Fatevene una cazzo di ragione

Ott 3, 2012 by     24 Comments    Posted under: appunti per il futuro, dituttounpo', il pd

Alla vigilia della direzione regionale del Pd di oggi, permettetemi alcune considerazioni su quello che è successo in questi giorni. Mi sembra di poter dire, intanto, che non abbiamo capito la lezione. Ci si divide fra chi vorrebbe ricandidare solo alcuni dei consiglieri regionali uscenti, chi vorrebbe azzerare il tutto e chi sostiene che il gruppo del Pd alla Pisana, pur avendo sbagliato in passato ha fatto una opposizione rigorosa e, in fondo, ha mandato a casa la Polverini. Read more »

Polverini, ma se intanto ti dimettessi davvero?

Set 26, 2012 by     5 Comments    Posted under: dituttounpo', il pd

Tracotante, immacolata, gli indegni sono altri. Cara presidente falla finita. Dici ai consiglieri del Pd che hanno annunciato le loro dimissioni e non le hanno mai date. Ma tu hai convocato una conferenza stampa, hai riempito le pagine di giornali, mi hai invaso il telecomando. Per tutti ti sei dimessa. Ma de che? Read more »

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