Allarmi son franzosi.
Il pippone del venerdì/21
Verrebbe voglia di dedicare l’appuntamento settimanale con il pippone a Pisapia e soci. Agli abbracci impuri dell’ex sindaco di Milano. Ai paradossi di chi sta nel Pd e vorrebbe speigarci come si costruisce una coalizione alternativa al Pd, oppure alla strana sindrome di Tafazzi che spinge Bersani e soci ad andare per sei mesi appresso a uno che non li vuole, oppure ancora a Lerner che si gratta quando D’Alema nomina lo stesso Pisapia. Verrebbe voglia, ma dura solo un attimo, fate conto che l’abbia fatto. Come la penso su Pisapia lo sapete. Elettoralmente conta lo 0,5 per cento e ho detto tutto. Andiamo oltre.
E allora alziamo lo sguardo, perché mentre noi stiamo a litigare sugli abbracci, sul fatto se sia necessaria o meno una forza unitaria di sinistra in Italia, l’idolatrato Macron ci piglia a pesci in faccia. E anche questo ci sta, negli ultimi anni ci siamo abituati a essere sbertucciati dai nostri presunti alleati internazionali. Ha cominciato Berlusconi, Renzi da ottimo allievo si è messo in scia. E adesso avere Alfano come ministro degli Esteri non aiuta di certo. No, non è una battuta, è proprio lui il ministro degli Esteri.
Comunque sia, dalle vicende degli ultimi giorni, la Libia, la crisi sulla proprietà della cantieristica, si possono imparare due cose. La prima è facile facile: quando tu, nel campo della sinistra, hai alcune personalità di livello internazionale, conosciute e apprezzate da tutti, che potrebbero guidare con autorevolezza la diplomazia italiana ma anche quella europea e le rottami per fare posto ad accordicchi di bassa lega e ai tuoi sodali, beh, allora poi non ti stupire se i francesi ti mettono le dita negli occhi.
Non sono un esperto di politica internazionale e quindi non sono in grado di analizzare la situazione in maniera compiuta e approfondita. Mi limito a ricordare, perché di memoria sono ampiamente dotato, che una volta in Medio Oriente eravamo i padroni di casa. Le carte le davamo noi, dal punto di vista politico e questo comportava ovviamente anche un notevole ritorno economico. Ora per entrare dobbiamo chiedere permesso. Certo gli attori sullo scenario internazionale erano gli Andreotti, gli Spadolini, i Craxi (per limitarci alla fine del XX secolo) adesso mettiamo in campo Alfano e Mogherini. Ci piace perdere facile.
L’altro ragionamento, più complesso, ma nel quale provo a muovermi con meno superficialità, riguarda le aziende private e il ruolo del pubblico. Se uno Stato ritiene che un’azienda sia strategica per il suo sviluppo o la sua sicurezza che fa? Beh le risposte sono diverse: se questo Stato è l’Italia le regala a imprenditori privati, preferibilmente stranieri e paga anche i debiti, se invece stiamo parlando della Francia, le nazionalizza. L’Italia dice: il governo non può intervenire, ci mancherebbe altro, ci sono le regole europee, la concorrenza, il libero mercato. La Francia dice: nazionalizziamo, l’Europa tace.
Insomma, secondo le regole europee si può nazionalizzare un’impresa o un settore? Fateci capire bene, non siamo né giuristi né economisti, ma l’anello al naso non lo portiamo più da anni. Noi abbiamo regalato Telecom, rete di comunicazione, Alitalia, trasporto aereo, le acciaierie, il polo chimico, l’Alfa Romeo. Insomma, settori che qualsiasi governante dotato di media intelligenza definirebbe “strategici” sono passati di mano per due lire. E spesso sono stati anche amministrati peggio dai colossi multinazionali che li hanno ereditati o sono stati fatti fallire scientificamente per favorire industrie analoghe in altri Paesi. Ma se si può nazionalizzare e quindi proteggere industrie chiave, anche sostenendole in periodi di crisi, per quale motivo noi abbiamo avuto negli anni passati questa sorta di sacro furore contro il pubblico?
E mica è finita, perché in Italia, e siamo al paradosso, ci sono ampi settori della politica che hanno premuto e premono per far gestire ai privati (meglio se stranieri) anche gli stessi servizi pubblici. Per fermarci a Roma abbiamo messo sul mercato Acea, l’abbiamo trasformata in Spa, pur mantenendo la maggioranza in mano pubblica, per fare cassa. E adesso ci lamentiamo per l’inefficienza aumentata negli anni. La Capitale rischia di rimanere senz’acqua. Non basta: abbiamo addirittura loschi figuri che raccolgono le firme perché vorrebbero privatizzare anche il trasporto pubblico. Per non parlare della sanità dove la maggioranza dei posti letto sono privati. Anzi, a essere puntigliosi sono “accreditati”, ovvero privati pagati dal Servizio sanitario nazionale, dai soldi nostri. Perché i nostri imprenditori sono talmente bravi e coraggiosi che vogliono tutti i guadagni ma non i rischi: non vogliono la concorrenza, vogliono la garanzia.
Se ci pensate bene c’è materia da psichiatri, ma di quelli bravi. Il meccanismo è un po’ questo: c’è un servizio che deve essere garantito dallo Stato, lo peggioro, metto il settore pubblico che lo gestisce in condizione di non funzionare (gli nego i fondi, lo infarcisco di raccomandati, lascio che tutto si sfasci) e poi invoco il santo intervento di imprese private. Che ovviamente costano di più (perché lo Stato non ci deve guadagnare, il privato sì) e spesso non garantiscono neanche un servizio migliore. Perché non avendo come interesse il bene comune, ma il proprio, quando chiedi una prestazione non ti propongono quella più appropriata, ma quella su cui guadagnano di più.
E allora ci sarà una ribellione, immaginerà chi non conosce noi italiani. E invece no. Troviamo qualche azzeccagarbugli che ci dice “l’Europa ci impone la concorrenza, bisogna fare le gare”. Qualche gruppo editoriale sostiene la balla e questa diventa verità assoluta. Poco importa che queste gare non le faccia nessun altro Stato. Noi siamo per il libero mercato. Loro nazionalizzano.
Il caso delle agenzie di stampa è emblematico. Il governo per affidare il servizio ha deciso di fare una gara europea. Un settore che più strategico non si può, quello dell’informazione alle e sulle istituzioni noi rischiamo di affidarlo a un’agenzia francese o inglese. In pratica le notizie sull’Italia al Governo e alle altre amministrazioni le daranno giornalisti di altri Paesi. E gli altri governi ovviamente faranno lo stesso? Manco per niente, sostengono le loro agenzie che danno occupazione ai loro giornalisti. Ma non era un obbligo europeo? Ma quando mai.
Questa ansia privatista ed esterofila è tipica del nostro Paese, tipica del nostro provincialismo, per cui abbiamo un senso di inferiorità innato. Ecco, questo, secondo me, è un bel campo di discussione per la ricostruzione di una sinistra autonoma e alternativa. Il ruolo del pubblico dell’economia deve essere quello di semplice spettatore, oppure deve lo sviluppo deve essere progettato e indirizzato, anche intervenendo direttamente? E quale deve essere il rapporto con gli altri Stati europei? Possiamo finalmente tornare ad avere un rapporto paritario e non essere sudditi? E’ possibile dare a questi temi una risposta che non sia quella di chiusura a riccio della destra populista?
Io credo che sia una delle sfide che dobbiamo raccogliere. Invece di pensare a improbabili leader, alla promozione dei nostri curricula, torniamo a ragionare, a confrontarci, torniamo a pensare il futuro.
Lo #spiegone del lunedì/6.
Il suicidio politico alla francese
La dico subito, se fossi in Francia non avrei dubbi e farei due cose: fra due settimane voterei Macron, cominciando però a lavorare a una larga alleanza delle sinistre per le elezioni legislative dell’11 giugno. Ci sono, infatti, due diverse modalità di suicidio politico in questo scorcio di storia francese. Il primo è quello della sinistra del Partito socialista, che ha vinto – a sorpresa – le primarie interne, ma senza capire che l’eredità di questi cinque anni di Hollande all’Eliseo erano un fardello troppo grande per chiunque. Un bel pezzo di Ps è già scappato con Macron, non a caso sostenuto apertamente dai centristi di mezza europa. Occorreva lavorare a una coalizione unitaria, anche con i comunisti, fin dal primo turno delle presidenziali. Bisognava rinunciare ognuno a pezzo della propria identità per arginare le destre.
E invece ci ritroviamo con l’annunciato ballottaggio fra la fascista Le Pen e il liberista moderato Macron. Su cosa si debba fare fra due domeniche non si possono avere dubbi. E non ne avranno i francesi. Sbaglia, in questo caso, Mélenchon che non capitalizza il suo importante 19 per cento. Fossi stato in Francia lo avrei votato senza troppe esitazioni. Non mi ha mai convinto questa menata del cosiddetto “Piano B”, un eufemismo per non dire “vogliamo uscire dall’Euro”, che ritengo un errore di tattica (lo accumuna troppo alla Le Pen) e di prospettiva (senza una dimensione internazionale della politica e dell’economia, diventeremo irrilevanti). Ma per il resto non trovo nel suo programma distanze incolmabili da quello socialista. Lo avrei votato, dicevo, ma mi aspetto che da oggi assuma sulle sue spalle un ruolo di ricostruttore della sinistra.
Perché guardate che la vera notizia francese, come è già successo prima in Grecia e poi in Spagna è la scomparsa della sinistra “tradizionale”. Solo che qui non c’è nulla di pronto per sostituirsi al vecchio partito socialista e dare una risposta forte al liberismo e ai diversi populismi. E allora che fare? Per chi come me ha da sempre una grande ammirazione per la concretezza togliattiana non ci sono dubbi: per prima cosa si battono i fascisti, poi si prova a costruire un asse di sinistra per le elezioni di giugno. Macron al momento ha mostrato un campionario delle ricette classiche del liberismo: meno vincoli per le imprese, meno tasse. Ricette che non funzionano. E che una forte presenza della sinistra nell’Assemblea nazionale potrebbe correggere in maniera sostanziale. Le elezioni francesi, del resto, sono una sorta di partita andata e ritorno. Le presidenziali sono soltanto l’andata. Le legislative rappresentano il ritorno. Non un contentino, una competizione che può condizionare davvero l’Eliseo.
E quindi, dopo il primo suicidio politico avvenuto ieri, evitiamo di cadere ancora nell’errore. Il maggioritario a doppio turno, per chi non lo avesse ancora capito, funziona così: ci si conta al primo turno, si vota il meno peggio al ballottaggio. E chi invita a restare a casa non ha ben capito il rischio che si corre, neanche dopo la Brexit e dopo la vittoria di Trump negli Stati Uniti. A me questa “nuova” destra sovranista e xenofoba ricorda tanto il passato. Sarò anche vintage, ma per me sempre imperialisti rimangono.
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