Prove tecniche
di Grillocrazia
Quando non sai come cavartela “buttala in caciara”, si dice a Roma. E quando sei spiazzato dall’asse Renzi-Berlusconi, che ti relega da settimane nelle pagine interne dei giornali e fra le ultime notizie dei Tg, bisogna alzare il tiro dello scontro. Per cui arriva Casaleggio in visita e parte l’ordine: d’ora in poi si fa casino.
Si potrebbe anche spiegare così il crescendo di insulti e violenze messo in campo dal M5S in questi giorni. Un tentativo di riconquistare la centralità mediatica, tanto disprezzata quanto essenziale nella strategia di Grillo e Casaleggio. E del resto – dall’assalto alla presidenza della Camera fino ai libri di Augias bruciati – di materia a sostegno di questa tesi ce ne sarebbe in abbondanza.
Eppure c’è dell’altro. Perché quando guardi i grillini parlare capisci che – in molti di loro – non c’è un atteggiamento tattico, studiato a tavolino. Al contrario, c’è un sincero fastidio nei confronti di chi non soltanto non la pensa come loro, ma addirittura prova a dirlo apertamente. Nei loro interventi c’è una sincera sorpresa: non si capacitano del fatto che una persona per bene possa pensarla in maniera differente dalla loro. Nei loro occhi – basta pensare alla faccia del giovin deputato Di Battista che spiega alle telecamere “bisogna sbugiardarli così”, dopo aver impedito al capogruppo del Pd alla Camera di rilasciare un’intervista – si legge una convinzione, un ardore quasi religioso. Sono convinti di essere portatori della Verità. Non di una posizione politica, ma della Verità assoluta, quella con la V maiuscola. Non sono rappresentanti del popolo, sono “i” rappresentanti del popolo. Gli altri? Polli da batteria – nella migliore delle ipotesi – i maschi, dispensatrici di pompini, le donne. Non sono insulti, badate bene. E’ sincero disprezzo verso chi non “crede”. Non c’è manco la pietas cristiana, ma piuttosto la furia dell’inquisizione che pretende la confessione di chi ha peccato, del blasfemo, della strega.
E la stessa cosa succede in rete. Provate a scrivere qualcosa che non sia meramente elegiaco nei confronti di Grillo su un social network e subito compariranno quattro o cinque sacerdoti della verità che vi rimetteranno a posto. Del resto la forza del comico genovese sta proprio nella sua carica messianica. Un consumato uomo di spettacolo che usa un’indubbia bravura e un carisma spesso travolgente per abbagliare masse di fedeli. Non c’è il ragionamento, l‘informazione, l’approfondimento di un tema. Ci sono poche paginette di slogan ripetuti in maniera ossessiva. Quasi come un moderno rosario.
Non c’è soltanto la ricerca dell’uomo forte, sport sempre più praticato a destra come a sinistra, dove si stanno faticosamente cercando di recuperare decenni di “ritardo”. Grillo è qualcosa di più. La Grillocrazia è un mondo perfetto dove i politici sono “cittadini portavoce” che non hanno autonomia: neanche delegati, ma meri esecutori. E’ quel mondo perfetto dove “uno vale uno”, dove la democrazia si esercita sempre, ma solo fino a quando non si va contro il guru.
Perché sarà anche vero che “uno vale uno”, ma, come in una sorta di “fattoria degli animali” fatta realtà, c’è un “uno” che vale per tutti.
Ecco spiegata la gogna, gli insulti, i libri bruciati. Le religioni non tollerano chi la pensa diversamente. Le differenze diventano solchi profondi da non scavalcare mai. Barriere, muri nati non per proteggere, ma per escludere. Se è vero che la politica – e in particolar modo la democrazia – rappresenta la trasformazione del nemico in avversario, e quindi il riconoscimento della diversità come ricchezza, la Grillocrazia ritorna all’età dell’ascia e delle capanne. L’avversario non solo torna ad essere nemico e quindi un soggetto da abbattere, ma diventa addirittura infedele al quale, nella migliore delle ipotesi, può essere concesso il pentimento. A cosa può mai servire un “Parlamento”, luogo in cui si cerca di convincersi reciprocamente, quando c’è una verità incontestabile da seguire?
Ecco perché sono pericolose queste ultime giornate, non tanto per l’attacco sguaiato alla Boldrini o a Napolitano. Non sono loro, come non è la stampa, il vero obiettivo. Sono le istituzioni, le sgangherate istituzioni di questo sgangherato paese. Sgangherate, ma ancora terribilmente eretiche rispetto al verbo del duo Grillo-Casaleggio.
Cari 101 piccoli infami.
Lettera aperta ai franchi tiratori
Cari 101 piccoli infami, la razza di chi ti dice una cosa in faccia e poi ti pugnala alle spalle mi ha sempre dato fastidio. Ma poi ho imparato a riconoscervi da lontano. Siete di due specie differenti. La prima è fatta da quelli che sono i tuoi più grandi amici, quando ti incontrano sono i primi a venirti incontro,baci abbracci e sorrisi.
La seconda è fatta da quelli che non hanno ancora abbastanza pelo sullo stomaco ed evitano lo sguardo. In tutti e due casi siete persone piccole. Che di mestiere facciate il segretario di una sezione di periferia o i parlamentari, non importa. Non è la carica a qualificare la levatura morale di una persona.
Vedete, cari piccoli infami, io sono di quelli che le cose le dicono sempre in faccia. Che magari a volte esagerano. E che sanno chiedere scusa quando sbagliano. Sempre fieramente perché, mi diceva mia nonna, l’unico che non sbaglia mai è quello che non fa niente.
Insultiamoci, accapigliamoci, prendiamoci pure a parolacce, ma sempre in faccia mai alle spalle.
Voi, invece, siete quelli che inneggiate all’unità del partito, che fate la faccia schifata quando qualcuno dice la verità, magari brutalmente: “Non sono cose da dirsi, perché fanno male al partito”.
E invece, cari piccoli infami, al partito fanno male le vostre ineffabili facce di bronzo. Fanno male i vostri culi che –su questo ci metterei la mano sul fuoco – non s sposteranno mai da quelle poltrone. Perché non voi non esponete mai il petto di fronte all’avversario, tutt’altro. Ci mandate il vostro vicino di banco a combattere. Lo spronate, gli dite vai. E voi sempre imboscati. Non intervenite nelle assemblee, ci mancherebsebe altro. Non dite mai: caro compagno hai detto una cavolata. No, voi vi tirate di gomito con il vicino, con la mano davanti alla bocca per nascondere il vostro sorriso divertito.
Se siete persone, se volete dirvi degni di appartenere a una comunità politica, fatevi avanti per una volta e dite: “Sì non ho votato Prodi, mi dispiace ma non ero d’accordo”. Oddio, se lo aveste fatto stamani, magari avremmo evitato l’ennesima figura di merda, ma va bene lo stesso. Fate outing. Fateci capire perché avete messo l’ennesima pietra su un partito che soltanto nel 2008 era la grande speranza degli italiani.
Voi siete gli stessi che mentre votavano compatti per Veltroni alle primarie già cominciavano a preparare gli agguati. Siete quelli che hanno fatto cadere il governo Prodi.
Ora Bersani avrà anche fatto errori molto gravi. Ma perché non vi siete alzati in direzione nazionale? No, ma ti pare che fate vedere le vostre facce da becchino dell’800? No, mentre votavate sì, già pensavate: ”Tanto un mesetto e lo cuociamo”.
Adesso basta, cari piccoli infami. Non vi meritate la nostra passione. Le notti passate a discutere, le mattinate al freddo nelle cento campagne elettorali che abbiamo fatto. Non vi meritate manco i due spesi per votarvi alle primarie, figuriamoci le alzatacce all’alba per permettere a tutti di votarvi. Fatevi vedere. E, una buona volta, andatevene. Perché non ne possiamo più.
Ora per vincere serve il Pd. In campo per davvero
Finita la giostra delle primarie, bisogna dire che mediamente gli elettori del centrosinistra sono migliori di noi. Il quadro dei candidati in campo, dal Comune ai Municipi mi sembra complessivamente credibile, rinnovato, con alcune punte di eccellenza. Poi non tutto va come uno vorrebbe, ma la perfezione si sa…
Parto dal candidato Sindaco. Ripeto quanto ho detto in tutta la campagna per le primarie e provo ad andare oltre. Secondo me Marino da solo non basta per vincere Roma. Sicuramente ha il merito di averci evitato Sassoli – e non è poco – ma da oggi gli avversari si chiamano Berlusconi e Grillo. Sperando che il livello nazionale non ci sommerga, avremo i due leader schierati a Roma per un mese.
Sicuramente Marino è un candidato che ci garantisce su un fronte importante: moralità e trasparenza. Quell’aria da bravo ragazzo, la sua pacatezza nel rispondere, il modo di sorridere, sono gli elementi che ne fanno un candidato che buca nell’opinione pubblica. In primarie tutte concentrate sui municipi (una sorta di guardarsi l’ombelico e pensare che sia l’universo) c’è stato meno voto organizzato sul livello comunale. Il leit-motiv era: vota tizio per il municipio, per il Comune fai quello che credi. E se si confrontano seggio per seggio i risultati dei candidati municipali “sassolini” con il risultato al Comune di Marino, il tema è evidente. Marino capovolge i rapporti di forza delineati nei municipi.
La sua storia, il suo modo di fare politica, un po’ da esterno senza mai però alzare troppo i toni, ne fanno un candidato credibile per l’elettorato di centro sinistra. Si può ipotizzare un recupero di quel voto che alle politiche è andato a Grillo ma che, a distanza di pochi secondi, si era già indirizzato su Zingaretti.
Si dice: vabbeh ma Roma è la capitale del cattolicesimo. Faccio notare che alle Regionali del 2010 Emma Bonino, ovvero una sorta di Satana in gonnella, a Roma portò via il 54 per cento dei voti. Quindi non mi sembra questo il tema vero.
Il dato delle primarie ci dice Marino sfonda nelle periferie, proprio lì dove Grillo alle politiche è stato primo partito ovunque. E sfonda in quelle periferie che spesso sono state accusate di essere la patria del voto di scambio. Devo dire, è solo un inciso, che a me sono sembrate primarie generalmente corrette. Molto più che in passato. Abbiamo imparato a limitare ed emarginare i fenomeni clientelari che pur esistono. Si può ancora migliorare, ma siamo sulla strada giusta.
Il punto, secondo me, è che Marino, per vincere non deve essere solo e deve essere capace di allargare il campo. Bene, insomma, il suo essere personaggio civico più che politico. Ma adesso servono le idee, le persone, una squadra che, tutelando queste caratteristiche preziose, lo accompagnino in una sfida complessa, lunga. Roma è una città difficile. Che ti ama e ti odia. Ti coccola e ti prende a calci nel sedere. Non basta dire di amarla, devi imparare a sentirne il respiro, a capire in anticipo quale sarà l’emergenza di domani. Credo che Veltroni in questo fosse straordinario. Serve un campo di forze ampio, non tanto in senso politico, ma sociale. Serve un blocco che senta Marino come il proprio candidato. E questo si fa mettendo in campo, da subito una squadra larga, rappresentativa di questa città. Si fa uscendo dall’etichetta di candidato della sinistra e basta, mettendo le mani nei problemi quotidiani di questa città. Per fare il sindaco dei romani devi andare oltre. Altrimenti c’è il rischio di andare lindi e puliti contro un muro. A posto con la coscienza ma irrimediabilmente perdenti.
Marino deve dire cosa vuole fare sui grandi temi, dall’urbanistica, alla mobilità. Ricordandosi sempre, però, che questa è una città che ha fame. Che manca il lavoro. Che la disoccupazione giovanile è un livello intollerabile. Deve saper parlare al cuore della sinistra, deve far tornare in campo anche alle elezioni “vere” quel voto di opinione senza il quale si perde. Sempre. Ma deve dare anche risposte alle ansie quotidiane dei cittadini, dalle buche, ai rifiuti, agli autobus scalcinati. Al lavoro, lo dico ancora una volta.
Io credo che per fare questo serva l’unione fra forze sociali e partiti della coalizione. E serva innanzitutto il Pd. Che non si deleghi, ancora una volta, la campagna elettorale ai soli candidati al consiglio comunale. Mettiamo al servizio del candidato sindaco le nostre idee alle quali abbiamo lavorato in questi anni e le nostre persone migliori. Scelga lui. In assoluta libertà chi crede sia più utile a costruire un progetto per Roma. Ce la facciamo a fare questo? Questo, malgrado sia un po’ scassato, resta un partito grande, forte e generoso. Ricco di intelligenze. Mettiamole in campo.
I Municipi
Quello del voto municipale è l’aspetto che, diciamo la verità, ci ha occupato di più in tutta la campagna per le primarie. I risultati mi sembrano positivi, con una squadra di candidati, nel complesso, giovane, rinnovata e soprattutto all’altezza della sfida che ci attende.
Alfonsi, Torquati, Santoro, Veloccia, Marchionne. Cito solo quelli che conosco un po’, nessuno si offenda. Mi soffermo, in conclusione sul risultato del VII Municipio (ex IX e X) dove le cose sono state complicate dall’accorpamento “a freddo” deciso dalla destra proprio alla vigilia delle primarie. Io credo che possa rappresentare un modello di cosa il Pd non deve fare. Nessuna selezione delle candidature, troppi candidati competitivi. Non è un giudizio di valore. Ma faccio notare che, soltanto limitandosi ai due candidati ex Ds, Franco Morgia e Fabrizio Patriarca, la somma dei loro voti doppia il risultato della candidata vincente, Susanna Fantino di Sel. Che ha avuto una buona affermazione, ma che sarebbe rimasta lontana dal primo posto se fossimo riusciti a fare sintesi. Mi ci metto anche io, anche se ho provato fino all’ultimo a trovare una soluzione più unitaria. Non ci sono riuscito e quindi sono parimenti responsabile rispetto agli altri.
In sintesi e per non annoiarvi oltre, Io credo che di quella squadra larga i primi attori debbano essere proprio i candidati presidenti. Sono loro che sentono il respiro della città più da vicino. Mettiamoli in condizione di lavorare da subito per il nostro Bene Comune, Roma.
Con Bersani e Zingaretti.
E con Flavia alla Regione
Brutta o bella che sia stata, ormai la campagna elettorale è agli sgoccioli. Due sole notazioni su questo. A Roma è stata l’ennesima campagna elettorale dove il partito è stato quasi del tutto assente. La campagna elettorale è stata come di consueto subappaltata ai candidati alla Regione. Come si sono comportati? Un po’ meglio rispetto al solito. Ma neanche tanto. Invasioni di manifesti, mega cene. Il tutto in calo rispetto al passato, ma c’è stato. Andava eliminato alla radice, secondo me, perché quando si spendono centinaia di migliaia di euro per essere eletti alla Regione, oltre ad essere fuorilegge, si dovrà anche rispondere ai finanziatori. E quindi, almeno questa volta, si potevano evitare le cene da duemila persone, le centinaia di migliaia di manifesti affissi in tutta Roma e Provincia, le pubblicità ossessive sulle fiancate degli autobus. Si poteva e si doveva evitare perché se magari porterà qualche preferenza in più all’aspirante consigliere, al tempo stesso ce ne fa perdere fra le tante persone che sono stanche di una politica dai costi milionari. Qualche commissione di garanzia prima o poi dovrà capire quanto si spende in una campagna per le regionali. Magari prima che lo faccia qualche procura.
Serviva il partito, serviva una regia romana e regionale che, come avviene ormai da anni, è mancata.
I dirigenti si sono limitati a partecipare alle iniziative dei candidati. Non può bastare. Soprattutto con lo sguardo rivolto agli appuntamenti che ci aspettano nei prossimi mesi. Riuscirà il Pd di Roma a mettere in piedi un ragionamento collettivo, una campagna di comunicazione comune, oppure si limiterà a tirare la volata a qualcuno? Riuscirà a porsi alla testa di un movimento di popolo per liberare la città da questo sindaco deprimente?
Detto questo, ci siamo. Fra poche ore si vota. E, con tutte le nostre pecche abbiamo la concreta possibilità di cambiare, sia in regione che a livello nazionale. Da ragazzino mi emozionavo quando Pajetta finiva i comizi del venerdì dicendo: Ricontattate gli incerti, telefonate a tutti i vostri amici e parenti. Ricordate che bisogna continuare a lavorare fino alla fine, perché anche un voto può essere decisivo.
Nessun messaggio può essere più efficace in queste ore.
Cosa votare e come votare: Senato e Camera solo una croce sul simbolo del Pd. Alla Regione una croce sul simbolo vale anche come voto a Nicola Zingaretti. E poi si può esprimere una preferenza, badate una sola, altrimenti si rischi di annullare la scheda.
A chi dare questa benedetta preferenza?
Francamente non mi permetto di dirvi chi votare, chi sarebbero i presunti migliori. Ognuno di noi ha la testa per scegliere. Vorrei, più umilmente, dire chi ho scelto e perché.
Fin dall’inizio di questa avventura ho lavorato e sostenuto Flavia Leuci. Per tre ragioni.
La prima è che di Flavia mi fido. La conosco da anni, siamo stati spesso dalla stessa parte della barricata, ma anche quando non siamo stati d’accordo è sempre stata leale e trasparente. E in Regione di lealtà e trasparenza ne abbiamo davvero bisogno.
La seconda è che la l’esperienza necessaria per poterci rappresentare in Regione. E quando dico rappresentare intendo un rapporto continuo con militanti e cittadini che riporti questo ente così distante a una dimensione umana. Dico l’esperienza perché chi vi propone il rinnovamento e basta in un ente complesso come questo vi racconta una emerita baggianata. Il rinnovamento si fa nei municipi, nei comuni. Lì ci si deve fare le ossa, lì va selezionata la classe dirigente che poi verrà candidata a livelli più alti. Arrivare in Regione senza aver fatto “la gavetta” significa fallire il proprio compito, quello principale di un partito: mettere i migliori candidati possibili a ogni livello. Flavia ha fatto la consigliera in circoscrizione, poi è stata dieci anni in Provincia. E’ una che conosce, approfondisce i problemi e quando non capisce chiede consiglio. Ha l’esperienza e l’umiltà necessaria per essere una buona consigliera.
La terza è che è una donna. Ora, come è noto io sono un maschilista doc, del resto diffidate dai maschi che vi dicono di avere la cultura delle donne. Vi stanno per fregare. Ma anche da maschilista mi rendo conto che in una società in cui le donne sono più del 50 per cento è ridicolo pensare con nel gruppo del Pd non ci sia neanche una donna. E guardate che il rischio c’è tutto. Basta leggere la liste provinciali per capire come siano state costruite così, per avere tutti uomini. Io credo che Flavia sia l’unica donna che ha la concreta possibilità di essere eletta.
Le altre candidate saranno anche rispettabili e brave ma non ce n’è una che abbia la militanza e le capacità di Flavia Leuci. Anche la storia di partito. E io che sono vecchio voglio una consigliera che risponda al suo partito e ai suoi elettori, non che vada a fare la battitrice libera.
Ce la possiamo fare, dicevo. Sarebbe una vergogna, dopo il successo delle donne nelle primarie un gruppo Pd fatto di soli maschi. Ce la possiamo fare, basta ricordarselo domenica e lunedì. E ricordarlo a tutti i nostri contatti. Prendere le agendine, le rubriche sul palmare, sull’ipod, sull’ipad, su quello che vi pare, ma attaccatevi al telefono. C’è tempo fino a lunedì. Per far vincere Bersani e Zingaretti. E anche, se vi avanza tempo, per far eleggere una donna, una compagna vera, nel consiglio regionale del Lazio.
Buone elezioni a tutti.
Questo è il tempo per costruire
Le primarie nazionali ci dicono cose importanti. La prima, non mi stancherò di ripeterlo, è che c’è un popolo che guarda a noi come l’unica speranza di cambiamento per questo Paese. In un periodo di disgusto verso la politica, vedere migliaia di persone, milioni, che si registrano, si mettono in fila e pagano addirittura per poter esprimere il loro contributo dà un’iniezione di adrenalina fortissima. Che ti permette di superare la stanchezza delle settimane passate al circolo, delle alzatacce, delle polemiche inutili e faziose.
A questo popolo, vero, non teleguidato, non comandato dagli “apparati” come hanno provato a far credere, noi dobbiamo sincerità e concretezza: ci hanno dato fiducia e ci hanno rimesso al centro della scena politica. E’ chiaro a tutti che senza la coalizione di centro sinistra, questa volta, non sarà possibile nessun governo. Il popolo delle primarie ci ha dato questa forza. Un patrimonio immenso. Non disperdiamolo, facciamo vedere loro che la fiducia è ben riposta.
La seconda è che le campagne fatte tutte “contro”, tutta polemica e poco sostanza, alla lunga non pagano. A me lo hanno insegnato da piccolo. Mi dicevano i “vecchi”: anche quando fai un volantino ci devi mettere i no ma anche i per. Altrimenti non va bene, siamo all’opposizione ma vogliamo costruire non distruggere. Ecco penso che Renzi abbia sbagliato questo. Ha cercato di fare la parte di quello che mandava tutti a casa, di quello giovane e brillante, una sorta di Obama bianco, che avrebbe rimesso l’Italia a posto in quattro e quattr’otto. “Io ho contro l’apparato, ma ho il consenso dei cittadini”. In realtà del mago Zurlì non ne abbiamo bisogno, le sue ricette sono vecchie, affondano le radici in un neoliberismo bocciato dalla storia. E il popolo del centro sinistra, che condivide sicuramente una parte del suo messaggio, ha dimostrato di aver capito che si serve una persona seria, un lavoratore come Bersani, un centromediano alla Oriali, per rimettere insieme i cocci e ripartire. Per cui alla fine Renzi è stato bocciato proprio da quel voto di opinione su cui aveva puntato la sua campagna elettorale tutta fuochi d’artificio e lustrini televisivi. Verrebbe da dire che non è più tempo di format ma di concretezza. E la concretezza emiliana di Bersani, che magari non avrà un grande carisma, ha avuto la meglio. Come fu per Prodi contro Berlusconi.
Eppure di Renzi dobbiamo tener conto. Dobbiamo tener conto della voglia di rinnovamento che c’è nella gran parte di quel voto. Dei tanti che l’hanno scelto, magari non conoscendo nulla delle sue proposte, ma che esprimono un’ansia e una preoccupazione vera. Ci dicono chiaramente che non si può continuare sulla strada degli anni passati. Ci dicono che anche noi, anche il centrosinistra deve andare oltre i suoi vecchi schemi di pensiero e proporre persone diverse. C’è un tempo per tutti. E questo non è più il tempo delle vecchie facce. Qualcuno l’ha capito e si è messo a disposizione. Altri sgomitano per restare in pista. Bersani adesso ha la forza, la legittimazione necessaria, per promuovere una classe dirigente nuova e preparata. Non serve la rottamazione, non serve la delegittimazione di un partito che, nelle sue mille e mille contraddizioni, ha dimostrato ancora una volta tutta la sua forza.
Serve un lavoro di promozione di quei dirigenti, giovani e non, che in questi anno sono cresciuti, nell’amministrazione, nel partito. Sono tanti, questo è il loro tempo.
E questo va fatto, non solo in Parlamento. Va fatto nelle Regioni che vanno al voto, a partire dal Lazio, va fatto nella scelta dei candidati a tutti i livelli.
Il caso Roma
Entro più nello specifico del caso Roma. Emigrato Zingaretti verso la conquista della Regione si è aperta una voragine. E’ mancato un lavoro di sintesi da parte del gruppo dirigente che si è fidato troppo delle primarie prossime venture. Ai cittadini dobbiamo presentare una sintesi, candidati in grado di governare una città umiliata dagli anni di Alemanno. Non dobbiamo presentare un campionario delle nostre debolezze, ma delle nostre energie migliori. Deve essere una sfida in positivo per far tornare a correre la Capitale. Ecco che allora i vari Sassoli, Gentiloni, Prestipino, Marroni, non sono sufficienti. Serve un sindaco, non un ex giornalista emigrato a Bruxelles o un ex assessore della giunta Rutelli. Neanche la candidatura del capogruppo in consiglio comunale, che in questo quadro è sicuramente la più legittima, quella che segue un percorso logico, secondo me è sufficiente a rappresentare una svolta per Roma. Nomi non ne faccio, perché questo corsa che si scatena ogni volta ci fa soltanto male. Segnalo però un’esigenza, un’urgenza: che il gruppo dirigenti largo del Pd romano si faccia carico di trovare questa sintesi: non lasciamola ad altri, perché quando Roma ha rinunciato alla sua autonomia si sono prodotti disastri.
Il X Municipio e mezzo
Chiudo queste brevi considerazioni sulla situazione del territorio dove faccio politica tutti i giorni o quasi. Con l’accorpamento annunciato fra X Municipio e una parte del IX, questa diventa una città da oltre 200mila abitanti. Ci sono capoluoghi di Regione più piccoli in Italia. Una grande città che continua a crescere e ha problemi diversi dal suo “centro” alla sua periferia. Per quanto riguarda il X io ribadisco che la sinistra, il PD in primo luogo, ha la necessità di chiudere la negativa esperienza dell’ultima consiliatura di Medici e di guardare oltre. Ho in passato ampiamente spiegato perché ritengo sia un’esperienza da chiudere al più presto.
Le candidature presentate al momento non sono sufficienti. Su un versante abbiamo una continuità preoccupante con il malgoverno di questi anni, dall’altro manca la “brillantezza” che serve per fare una battaglia vera, non di testimonianza. Se non altro almeno da questa parte c’è la consapevolezza della necessità di ampliare il quadro e di non presentare una candidatura slegata da un percorso condiviso.
Da luglio in poi non ho sostanzialmente più parlato del X Municipio, rispondendo con i fatti alla richiesta che il gruppo con cui ho lavorato in questi mesi mi ha fatto. Non ho portato avanti quel programma di rottura radicale che avevo abbozzato, con la proposta di una mia candidatura. Eppure sono ancora molti – e non solo nel partito – che mi chiedono di mettermi in gioco in prima persona. Da quelli che non considerano il PD locale e il suo attuale gruppo dirigente un interlocutore credibile, a quelli che avvertono, come me, il bisogno di una rottura non solo generazionale, ma di contenuti. Di una cesura netta. Che vogliono parlare di qualità della vita e non di nuove costruzioni. Di smart city, di raccolta differenziata, di zone pedonali e non di nuove inutili strade.
Non nascondo che l’avventura non mi dispiacerebbe affatto. Del resto bastano 750 firme fra i cittadini per candidarsi alle primarie del centro sinistra. Come dire: una mezza giornata con tre banchetti nelle zone di maggior aggregazione.
E questo, lo ripeto, è il nostro tempo. Non è il tempo delle candidature “conservative”. E’ il tempo di osare, di provare sul campo una nuova classe dirigente.
Eppure sento che una mia candidatura sarebbe insufficiente. Sento che non è il momento delle avventure, degli uomini soli al comando. E’ il tempo, anche nel X Municipio e mezzo, di fare squadra. Di proporre agli elettori, un candidato presidente, ma soprattutto una squadra unita, al di là e oltre le correnti, per fare una rivoluzione democratica anche in quella città che si distende fra Ponte Lungo e Vermicino. A questo lavorerò nelle prossime settimane: alla costruzione di un percorso condiviso, che porti non solo e non tanto a un candidato in netta discontinuità con il passato, ma alla costruzione di una nostra squadra che rappresenti a pieno il percorso fatto in questi anni e che dica chiaramente queste sono le nostre idee per fare del X Municipio e mezzo la casa della trasparenza e della partecipazione.
Perché questo viaggio va fatto assieme. Non c’è un uomo solo al comando.
Appunti per il governo
del Lazio
Un mio piccolo contributo all’elaborazione del programma per le prossime elezioni regionali. Non si tratta ovviamente, di un ragionamento articolato e complessivo, ma di alcuni spunti, secondo me essenziali, per governare davvero e non tirare a campare. Read more »
La regola dell’emerita cippa
Leggo in questi giorni di un nervosismo (per dirla così) fra amministratori, eletti, nominati vari. Si dimettono, si autocandidano a incarichi dei quali non sanno assolutamente nulla, si propongono, si promuovono, cenano, telefonano, inguacchiano. Read more »
Fatevene una cazzo di ragione
Alla vigilia della direzione regionale del Pd di oggi, permettetemi alcune considerazioni su quello che è successo in questi giorni. Mi sembra di poter dire, intanto, che non abbiamo capito la lezione. Ci si divide fra chi vorrebbe ricandidare solo alcuni dei consiglieri regionali uscenti, chi vorrebbe azzerare il tutto e chi sostiene che il gruppo del Pd alla Pisana, pur avendo sbagliato in passato ha fatto una opposizione rigorosa e, in fondo, ha mandato a casa la Polverini. Read more »
Polverini, ma se intanto ti dimettessi davvero?
Tracotante, immacolata, gli indegni sono altri. Cara presidente falla finita. Dici ai consiglieri del Pd che hanno annunciato le loro dimissioni e non le hanno mai date. Ma tu hai convocato una conferenza stampa, hai riempito le pagine di giornali, mi hai invaso il telecomando. Per tutti ti sei dimessa. Ma de che? Read more »
Rivoluzioniamo il Pd. Per cambiare davvero
In questi giorni, dopo la mia lettera ai consiglieri regionali, in tanti mi avete chiesto. “Ma come fai ancora a stare nel Pd”. Altri addirittura come faccio a occuparmi di politica.
La politica è un pezzo della mia vita. Del resto uno dei libri più belli che ho mai letto è “Una scelta di vita” di Giorgio Amendola. Sono cresciuto a pane e Berlinguer. Politica per me non sono le ostriche e le Bmw e neanche i regali di natale dei consiglieri pagati con i soldi dei contribuenti. Politica è pensare il futuro, cercare di ridurre quella drammatica frattura fra i deboli e i potenti che nella nostra società assume connotati sempre più inquietanti. E il Pd, con tutte le sue contraddizioni, rimane il partito che più si avvicina a questo concetto. Non ci sono soltanto le spese faraoniche di pochi, ci sono i sacrifici e le passioni di molti. Che adesso, forse, devono uscire dal guscio e “fare massa” per cambiare davvero. Provo a scrivere alcuni punti che spero di poter discutere presto. L’assenza di dibattito ieri in direzione regionale era giustificata dall’emergenza, ma di cose da dire ce ne sono eccome. E vanno dette a viso aperto, se non vogliamo essere travolto da quella valanga di disgusto che cresce in tutto il Paese.
Siamo tutti d’accordo che le responsabilità principali siano della destra. Ma dobbiamo dire chiaramente che non sono tollerabili comportamenti come quelli che hanno caratterizzato questa legislatura. Non è pensabile che si aumenti l’Irpef ai cittadini, si taglino i servizi e non si dia l’esempio. Per primi. Perché questo è il primo dovere di chi amministra. Così non è stato.
Questa è la prima discussione che il Pd deve fare. Intanto un appello: i consiglieri regionali, una volta che la Polverini avrà formalizzato le sue dimissioni, resteranno in carica fino all’insediamento della nuova assemblea per l’ordinaria amministrazione. Indennità compresa. Poi avranno una corposa liquidazione e il vitalizio. E in più hanno a disposizione ancora molti dei fondi erogati ai gruppi nel 2012. Non so quanto, Montino dice circa 600mila euro.
E’ possibile fare finta che non sia successo nulla? Io non credo.
Ecco il primo punto da affrontare, per il Pd è cosa fare con quei soldi. Restituirli al Consiglio regionale potrebbe essere una buona idea. Che i consiglieri regionali destinassero buona parte dell’indennità che percepiranno nei prossimi mesi per la campagna elettorale del partito potrebbe essere un’altra idea.
E poi dobbiamo dircelo chiaramente: serve una scelta chiara, decisa, senza compromessi: nessuno dei consiglieri uscenti può essere ricandidato. Lo so che non sono tutti uguali. Capisco bene la discussione che c’è stata in questi giorni fra chi approvava la linea Gasbarra e chi ha resistito fino in fondo. Ma in questo caso non si possono fare distinzioni. Serve una scelta di forte rinnovamento, radicale. Serve una rivoluzione. E questa deve partire dall’opzione zero. Zero ricandidati in lista. Montino, devo ammettere con grande stile, ha indicato la strada, la seguano anche gli altri.
Ancora. Servono idee di rottura per la nostra Regione, senza guardare in faccia a vecchi privilegi: sulle società, non servono tagli e riorganizzazioni. Serve una legge di due righe: tutte le società in house, le Spa a totale partecipazione regionale sono abolite. Allo stesso tempo ne serve un’altra nella quale si descrive la nuova organizzazione, si creano le strutture necessarie alla gestione dei servizi. Perché ci sono carrozzoni, ma anche enti che funzionano e anche bene.
In questa maniera si cambia passo, si disbosca una rete di clientele le cui radici corrompono profondamente i territori. Bisogna cambiare passo sulla sanità, andando a colpire quello che non si è mai voluto toccare, il settore privato rimasto sempre a margine dei tagli. Bisogna investire sulle tecnologie, ma davvero. Dire parole chiare sul tema dei rifiuti, dicendo che una discarica, nel terzo millennio, è davvero antistorica. E ancora sui trasporti, sul lavoro. Mettiamo a lavorare le nostre energie migliori, guardiamo alle tante esperienze cresciute in questi anni. Apriamoci. Ma davvero.
Sono solo i titoli, anche provocazioni, ma non è questa la sede per entrare nel merito. Lo faremo nei prossimi mesi. Spero tutti insieme.
E poi serve una cura da cavallo sul piano della trasparenza. A partire dalle liste e dalla campagna elettorale. Liste nuove, pulite, trasparenti. E deve essere una campagna elettorale tirchia: serve un limite di spesa bassissimo, penso a una cifra che non superi 10mila euro. Nessun manifesto con i faccioni, torniamo alle cene di sottoscrizione, evitiamo che i candidati debbano andare a pietire finanziamenti dagli imprenditori perché in consiglio regionale servono uomini liberi. Il partito torni a essere protagonista della campagna elettorale. Spese e finanziamenti dovranno essere messi on line in tempo reale.
E così una volta insediato il nuovo Consiglio le prime misure dovranno essere sulla trasparenza totale, sul funzionamento della macchina. Vanno dimagriti i gruppi e creati servizi efficienti istituzionali. Solo un esempio per rimanere al mio campo: oggi ogni consigliere, o quasi, ha il suo addetto stampa. E poi sul Consiglio regionale, salvo scandali, non esce nulla sui giornali. Sono una sorta di status symbol, come le auto blu. Fosse per me darei a ogni consigliere regionale un abbonamento intera rete per i mezzi pubblici, così, magari, si accorgerebbero di cosa vuol dire fare il pendolare e di come funziona male quel “Tpl” di cui tanto discutono e su cui tanto pontificano.
Ho voluto scrivere un po’ di idee alla rinfusa per dire una cosa: se la sinistra vuole governare davvero, a tutti i livelli deve mettere in atto questa “rivoluzione gentile”. Io credo che il Pd abbia le energie per essere il motore di questo grande processo. Bisogna andare oltre le correnti, gli schieramenti precostituiti. Alziamo la testa e prendiamo in mano questo partito. Io ci sto.
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