Questo è il tempo per costruire
Le primarie nazionali ci dicono cose importanti. La prima, non mi stancherò di ripeterlo, è che c’è un popolo che guarda a noi come l’unica speranza di cambiamento per questo Paese. In un periodo di disgusto verso la politica, vedere migliaia di persone, milioni, che si registrano, si mettono in fila e pagano addirittura per poter esprimere il loro contributo dà un’iniezione di adrenalina fortissima. Che ti permette di superare la stanchezza delle settimane passate al circolo, delle alzatacce, delle polemiche inutili e faziose.
A questo popolo, vero, non teleguidato, non comandato dagli “apparati” come hanno provato a far credere, noi dobbiamo sincerità e concretezza: ci hanno dato fiducia e ci hanno rimesso al centro della scena politica. E’ chiaro a tutti che senza la coalizione di centro sinistra, questa volta, non sarà possibile nessun governo. Il popolo delle primarie ci ha dato questa forza. Un patrimonio immenso. Non disperdiamolo, facciamo vedere loro che la fiducia è ben riposta.
La seconda è che le campagne fatte tutte “contro”, tutta polemica e poco sostanza, alla lunga non pagano. A me lo hanno insegnato da piccolo. Mi dicevano i “vecchi”: anche quando fai un volantino ci devi mettere i no ma anche i per. Altrimenti non va bene, siamo all’opposizione ma vogliamo costruire non distruggere. Ecco penso che Renzi abbia sbagliato questo. Ha cercato di fare la parte di quello che mandava tutti a casa, di quello giovane e brillante, una sorta di Obama bianco, che avrebbe rimesso l’Italia a posto in quattro e quattr’otto. “Io ho contro l’apparato, ma ho il consenso dei cittadini”. In realtà del mago Zurlì non ne abbiamo bisogno, le sue ricette sono vecchie, affondano le radici in un neoliberismo bocciato dalla storia. E il popolo del centro sinistra, che condivide sicuramente una parte del suo messaggio, ha dimostrato di aver capito che si serve una persona seria, un lavoratore come Bersani, un centromediano alla Oriali, per rimettere insieme i cocci e ripartire. Per cui alla fine Renzi è stato bocciato proprio da quel voto di opinione su cui aveva puntato la sua campagna elettorale tutta fuochi d’artificio e lustrini televisivi. Verrebbe da dire che non è più tempo di format ma di concretezza. E la concretezza emiliana di Bersani, che magari non avrà un grande carisma, ha avuto la meglio. Come fu per Prodi contro Berlusconi.
Eppure di Renzi dobbiamo tener conto. Dobbiamo tener conto della voglia di rinnovamento che c’è nella gran parte di quel voto. Dei tanti che l’hanno scelto, magari non conoscendo nulla delle sue proposte, ma che esprimono un’ansia e una preoccupazione vera. Ci dicono chiaramente che non si può continuare sulla strada degli anni passati. Ci dicono che anche noi, anche il centrosinistra deve andare oltre i suoi vecchi schemi di pensiero e proporre persone diverse. C’è un tempo per tutti. E questo non è più il tempo delle vecchie facce. Qualcuno l’ha capito e si è messo a disposizione. Altri sgomitano per restare in pista. Bersani adesso ha la forza, la legittimazione necessaria, per promuovere una classe dirigente nuova e preparata. Non serve la rottamazione, non serve la delegittimazione di un partito che, nelle sue mille e mille contraddizioni, ha dimostrato ancora una volta tutta la sua forza.
Serve un lavoro di promozione di quei dirigenti, giovani e non, che in questi anno sono cresciuti, nell’amministrazione, nel partito. Sono tanti, questo è il loro tempo.
E questo va fatto, non solo in Parlamento. Va fatto nelle Regioni che vanno al voto, a partire dal Lazio, va fatto nella scelta dei candidati a tutti i livelli.
Il caso Roma
Entro più nello specifico del caso Roma. Emigrato Zingaretti verso la conquista della Regione si è aperta una voragine. E’ mancato un lavoro di sintesi da parte del gruppo dirigente che si è fidato troppo delle primarie prossime venture. Ai cittadini dobbiamo presentare una sintesi, candidati in grado di governare una città umiliata dagli anni di Alemanno. Non dobbiamo presentare un campionario delle nostre debolezze, ma delle nostre energie migliori. Deve essere una sfida in positivo per far tornare a correre la Capitale. Ecco che allora i vari Sassoli, Gentiloni, Prestipino, Marroni, non sono sufficienti. Serve un sindaco, non un ex giornalista emigrato a Bruxelles o un ex assessore della giunta Rutelli. Neanche la candidatura del capogruppo in consiglio comunale, che in questo quadro è sicuramente la più legittima, quella che segue un percorso logico, secondo me è sufficiente a rappresentare una svolta per Roma. Nomi non ne faccio, perché questo corsa che si scatena ogni volta ci fa soltanto male. Segnalo però un’esigenza, un’urgenza: che il gruppo dirigenti largo del Pd romano si faccia carico di trovare questa sintesi: non lasciamola ad altri, perché quando Roma ha rinunciato alla sua autonomia si sono prodotti disastri.
Il X Municipio e mezzo
Chiudo queste brevi considerazioni sulla situazione del territorio dove faccio politica tutti i giorni o quasi. Con l’accorpamento annunciato fra X Municipio e una parte del IX, questa diventa una città da oltre 200mila abitanti. Ci sono capoluoghi di Regione più piccoli in Italia. Una grande città che continua a crescere e ha problemi diversi dal suo “centro” alla sua periferia. Per quanto riguarda il X io ribadisco che la sinistra, il PD in primo luogo, ha la necessità di chiudere la negativa esperienza dell’ultima consiliatura di Medici e di guardare oltre. Ho in passato ampiamente spiegato perché ritengo sia un’esperienza da chiudere al più presto.
Le candidature presentate al momento non sono sufficienti. Su un versante abbiamo una continuità preoccupante con il malgoverno di questi anni, dall’altro manca la “brillantezza” che serve per fare una battaglia vera, non di testimonianza. Se non altro almeno da questa parte c’è la consapevolezza della necessità di ampliare il quadro e di non presentare una candidatura slegata da un percorso condiviso.
Da luglio in poi non ho sostanzialmente più parlato del X Municipio, rispondendo con i fatti alla richiesta che il gruppo con cui ho lavorato in questi mesi mi ha fatto. Non ho portato avanti quel programma di rottura radicale che avevo abbozzato, con la proposta di una mia candidatura. Eppure sono ancora molti – e non solo nel partito – che mi chiedono di mettermi in gioco in prima persona. Da quelli che non considerano il PD locale e il suo attuale gruppo dirigente un interlocutore credibile, a quelli che avvertono, come me, il bisogno di una rottura non solo generazionale, ma di contenuti. Di una cesura netta. Che vogliono parlare di qualità della vita e non di nuove costruzioni. Di smart city, di raccolta differenziata, di zone pedonali e non di nuove inutili strade.
Non nascondo che l’avventura non mi dispiacerebbe affatto. Del resto bastano 750 firme fra i cittadini per candidarsi alle primarie del centro sinistra. Come dire: una mezza giornata con tre banchetti nelle zone di maggior aggregazione.
E questo, lo ripeto, è il nostro tempo. Non è il tempo delle candidature “conservative”. E’ il tempo di osare, di provare sul campo una nuova classe dirigente.
Eppure sento che una mia candidatura sarebbe insufficiente. Sento che non è il momento delle avventure, degli uomini soli al comando. E’ il tempo, anche nel X Municipio e mezzo, di fare squadra. Di proporre agli elettori, un candidato presidente, ma soprattutto una squadra unita, al di là e oltre le correnti, per fare una rivoluzione democratica anche in quella città che si distende fra Ponte Lungo e Vermicino. A questo lavorerò nelle prossime settimane: alla costruzione di un percorso condiviso, che porti non solo e non tanto a un candidato in netta discontinuità con il passato, ma alla costruzione di una nostra squadra che rappresenti a pieno il percorso fatto in questi anni e che dica chiaramente queste sono le nostre idee per fare del X Municipio e mezzo la casa della trasparenza e della partecipazione.
Perché questo viaggio va fatto assieme. Non c’è un uomo solo al comando.
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