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Grazie presidente Mattarella, ci ha reso orgogliosi.
Il pippone del venerdì/128

Feb 7, 2020 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Un gesto semplice, con lo staff che avverte la preside appena un’ora e mezzo prima. Ma un gesto che ci riconcilia con l’essere italiani. Mattarella, in piena emergenza coronavirus, prende la macchina e va in una scuola multietnica per eccellenza, all’Esquilino, il quartiere che i giornali della destra definiscono con disprezzo la Chinatown romana. E ci sono anche le parole semplici della dirigente scolastica, Manuela Maferlotti: “Noi facciamo da anni il nostro lavoro senza pensare a dove sono nati gli studenti”. E anche queste sono parole che fanno bene. E ci sono anche le facce dei bambini, mischiati senza pensare al colore, ci danno qualche speranza in più.

Già anni fa ero rimasto colpito da un gesto di mio figlio: allora era alle elementari (sob) e per farmi capire chi fosse un suo compagno di classe con cui voleva andare a giocare al parco mi aveva detto “quello con la giacca marrone”. Quel bambino era di origine africana, ma loro non lo indicavano con il colore della pelle, perché non solo non era un problema, ma neanche una cosa a cui facevano caso.

Il gesto di Mattarella, insomma, parla agli adulti, perché i bambini non ne hanno bisogno. Non nascono razzisti, ce li facciamo diventare noi. Noi che evitiamo i negozi e ristoranti cinesi, che ci tiriamo su il maglione sulla bocca se qualcuno di origine asiatica tossisce. Che poi, a naso, la maggior parte di loro, soprattutto i bambini, la Cina l’ha vista soltanto sulla carta geografica: come fa ad avere il coronavirus? Mica si prendono le malattie in base al colore della pelle.

Mi ha ricordato, nella sua semplicità, quello che fece un grande sindaco di Roma, Luigi Petroselli: dopo un attentato che aveva gettato nel panico i pendolari che prendevano la metro, non fece dichiarazioni rassicuranti, comunicati stampa, uscì di casa, abitava sull’Appia, e salì sulla linea A. Senza troppo clamore, non era abituato a essere seguito dalle fanfare, quello che usava il trasporto pubblico era un cittadino comune non il sindaco.

Sono cose piccole, che non costano nulla, ma che ci riportano all’essenza stessa dell’agire politico che tanti presunti leader dimenticano o forse non hanno mai conosciuto:  fare politica, avere un ruolo istituzionale in particolare, non vuol dire leggere i sondaggi e cercare di girarli a proprio favore, vuol dire in primo luogo essere di esempio per i cittadini e risolvere i problemi anche attraverso il proprio agire. Un tempo ce lo insegnavano da piccoli nelle sezioni del Pci. Non soltanto dovevamo dare i volantini, ma essere irreprensibili in tutti i comportamenti, sia pubblici che privati, perché i comunisti dovevano essere di esempio. Cose che si sono perse.

Ecco, gesti come quello di Mattarella non risolvono i problemi dei cittadini, ma sicuramente aiutano a creare un clima differente, in un momento difficile. E riconciliano il Paese con la sua classe dirigente che non guida il popolo, ma si mischia con il popolo e capisce le paure, le attutisce non le alimenta.

Io credo che un cambiamento vero nel nostro Paese non sia una cosa di un giorno, ci vorranno anni per riparare ai guasti di una stagione gridata e basata sull’odio e tornare al confronto civile, a tutti i livelli. Perché il nostro è un Paese ferito, incattivito, lo scrivevo giusto la settimana scorsa. Ed è spesso difficile cercare di guardare oltre la nebbia che ci avvolge e vedere qualche luce nitida.

Il presidente Mattarella ci ha dimostrato, con un piccolo gesto lo ripeto, che ci può essere qualcosa di diverso. Che c’è un’Italia differente, solidale e accogliente. Dobbiamo darle forza e visibilità, far crescere i sentimenti positivi. Magari raccontando le realtà come questa scuola “di frontiera” invece che dare sempre e soltanto spazio agli episodi negativi. C’è anche la responsabilità nostra, dei giornalisti, che invece di mettere in pagina le cose più “facili”, che fanno vendere il prodotto, dovremmo tornare a fare il nostro lavoro e andare a cercare le storie più difficili, quelle che si vedono meno, ma rappresentano una ricchezza da proteggere e promuovere. Mattarella ci ha regalato un sorriso e a me un po’ di sincera commozione. Va trasformata nel nostro agire quotidiano. Di tutti noi.

La guerra dei mondi e il voto utile.
Il pippone del venerdì/102

Mag 24, 2019 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Siamo a due giorni dalle elezioni europee (e amministrative), come non parlare del voto utile? Se ne sentono di tutti i colori, compresi calcoli astrofisici quanto del tutto fantasiosi che assegnano seggi come fossero caramelle. Andiamo con ordine. L’appello al voto utile è un classico di tutte le elezioni. E qualche volta ha anche un senso. Penso ad esempio a competizioni con il turno unico e il premio di maggioranza. Lì devi per forza schierarti su uno dei contendenti principali, altrimenti rischi di fare il gioco dei tuoi avversari. Altre volte, quando si vota con il doppio turno o addirittura con il proporzionale ha molto meno senso.

Eppure, almeno in Italia, l’appello c’è sempre. Si comincia da lontano: basta ricordare il famoso “Nel segreto dell’urna Dio ti vede, Stalin no”, della Democrazia cristiana del dopoguerra. Un voto utile ad accaparrarsi addirittura l’aldilà. E questa cosa di schierarsi per allontanare l’incubo del comunismo ha funzionato per mezzo secolo buono. Ricordate il proverbiale “turatevi il naso” di Montanelli? Poi il comunismo si è sciolto da solo e ci crede ormai soltanto Berlusconi. C’è stato poi il voto utile di Veltroni, quello che voleva il partito a vocazione maggioritaria.  Ebbe a dire il vero un certo successo il suo appello lo ebbe anche, fino a spingere il Pd oltre il 30 per cento alle politiche. Non fu sufficiente per vincere, ma bastò per eliminare tutti i possibili alleati, ridotti a cespugli insignificanti. Ci ha provato anche Renzi alle scorse politiche, ma non gli è andata proprio bene, diciamo.

Adesso torna, con accenti differenti: da chi invita a votare una lista di sinistra perché secondo fantomatici calcoli se supera lo sbarramento del 4 per cento toglierà seggi solo alla destra, a chi invita a scegliere il “listone” Zingaretti-Calenda-Pisapia, perché sarebbe l’unico antidoto all’avanzare delle destre (o dei populisti a seconda della versione). Devo dire che le due versioni opposte non sono convincenti per nulla. Quanto ai calcoli fatti da aspiranti matematici è presto detto: si vota con il proporzionale, se non raggiungi il quorum non partecipi alla divisione dei seggi, non togli o regali niente a nessuno, semplicemente sei ininfluente. Quanto al baluardo nei confronti delle destre (europee, in questo caso) c’è da dire che non è che i socialisti abbiano proprio brillato nelle scorse legislature, tant’è che hanno governato insieme ai popolari avallando le politiche neo-liberiste che hanno affamato i paesi più fragili. Il voto al Pd pare più una questione locale, un segno di esistenza in vita dell’opposizione al Salvini- Di Maio che una questione europea. Europa della quale, va notato, non si parla proprio. Pare una vicenda marginale. Eppure si vota proprio per il Parlamento continentale, ne sono certo, mi sono documentato.

Varrebbe la pena, più che parlare di tassazione italiana, di sapere cosa ne pensano i partiti nostrani su un sistema fiscale omogeneo nei paese dell’Unione che impedisca la concorrenza sporca interna alla Ue a cui abbiamo assistito in questi anni. Oppure sarebbe interessante sapere cosa ne pensano delle proposte su una riforma del sistema di governo dell’Ue, sulla questione della politica estera e della difesa comune. Così per mera curiosità. Niente di tutto questo, il nostro provincialismo è arrivato al punto che, in piena campagna elettorale Zingaretti non ha trovato di meglio che presentare il proprio “progetto per salvare l’Italia”. Di Salvini e Di Maio non ne parliamo, sono occupati a rubarsi decimi di percentuale per rivendicare la guida del governo un minuto dopo la chiusura delle urne. Per portarsi avanti con il lavoro girano già i candidati a far le scarpe al povero Conte.

Tra l’altro segnalo sommessamente che mentre noi, come al solito, ci stiamo a scannare sul nulla è iniziata una vera  e propria guerra dei mondi fra Cina e Trump. Hanno cominciato a litigare sui dazi, ora la battaglia riguarda il colosso Huawei. Quella che si sta combattendo in realtà non è una scaramuccia qualsiasi, ma una vera e propria guerra globale per la supremazia in campo tecnologico. Non a caso si cerca di colpire una azienda per limitare la corsa cinese al controllo sulla nuova rete di comunicazione, il famoso 5G. E chi controlla le reti ha in mano il vero potere. Come andrà a finire non è dato sapere. Probabilmente malgrado l’apparente follia di Trump si arriverà a una qualche forma di mediazione. Il semplice protezionismo, in un mercato sempre più globale, è una follia. Per restare al caso specifico, basta pensare al fatto che tra i fornitori di Huawei ci sono colossi dell’industria americana, colpire i cinesi potrebbe avere ripercussioni pesanti anche a casa Trump. Senza contare che molti grandi marchi a stelle strisce fanno ampiamente ricorso a industrie cinesi per produrre gran parte dei componenti dei loro prodotti. Il concetto stesso di supremazia, insomma, è parecchio più intricato che in passato, quando bastava avere un paio di testate nucleari in più e tutti si inchinavano.

La cosa che volevo sottolineare, al di là del merito stesso della vicenda, è la nostra totale irrilevanza, nostra non tanto come Italia – cosa abbastanza scontata – ma come Europa. Troppo divisi, troppo occupati a guardare ciascuno al nostro orticello per capire che in questa partita sarebbe bene starci e starci con una posizione comune. Per sedersi al tavolo dei grandi bisogna cominciare a ragionare da grandi, altrimenti ti ritrovi al tavolino dei ragazzi, con Cocacola e patatine.

Di questi temi mi sarebbe piaciuto discutere. Ne ho sentito qualche accenno in qualche convegno, ad esempio quelli di Italianieuropei. Ma quando c’era da tradurre le idee in proposte concrete, magari affidandole a una lista socialista, sono spariti tutti. Alla ricerca del voto utile. A se stessi.

Insomma, per farla breve, questa del voto utile è una grande balla. Votate la lista che preferite, senza aver bisogno di turarvi il naso, scegliendo magari persone competenti e preparate per rappresentarvi. Questo è l’unica cosa che conta. Io farò così.

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