Non fu mafia capitale, breve cronistoria di come ti distruggo una città.
Il #pippone del venerdì/118
Magari fuori dal Raccordo anulare non desterà un grande interesse, ma credo che la notizia della settimana sia la sentenza della Cassazione sulla cosiddetta inchiesta “Mondo di mezzo”. Senza entrare nel merito della giudizio, non ne ho gli strumenti e considero sempre un errore commentare le sentenze, va rilevato che quella inchiesta provocò un terremoto istituzionale incredibile che, per la natura di Roma, non può essere circoscritto a fatto locale. E adesso non mi pare che il clamoroso capovolgimento avvenuto in Cassazione sia stato recepito per quello che davvero rappresenta.
Riassumiamo per i non romani. L’inchiesta comincia nel 2014, al Comune c’è uno strano sindaco, Ignazio Marino, scelto dal Pd per le sue caratteristiche più civiche che politiche. L’inchiesta fu un terremoto, vengono coinvolti assessori e consiglieri comunali e regionali, funzionari, dirigenti delle due amministrazioni, l’ex sindaco Gianni Alemanno. Non faccio l’elenco, sono una trentina di persone che, secondo le accuse della Procura, avrebbero costituito una vera e propria struttura di carattere mafioso per gestire, attraverso una cooperativa sociale, appalti e affari vari. Viene addirittura ventilata l’ipotesi di commissariare il Comune per mafia. Alla fine il provvedimento tocca soltanto a un Municipio, quello di Ostia, già per altro commissariato dal Sindaco. Un provvedimento contorto, insomma, una sorta di capro espiatorio per salvare Roma. L’ho detto all’epoca, attirandomi gli strali dei giustizialisti a senso unico, lo ripeto adesso.
Da quella vicenda, in breve, comincia la crisi infinita della giunta Marino. Come è finita lo sappiamo tutti. Ora, non è che Marino fosse un grande sindaco, tutt’altro, ma si meritava di concludere il suo mandato, i progetti presentati (non erano pochi) e di essere poi giudicato dagli elettori, che secondo me dovrebbero essere gli unici a poter dire la loro su chi hanno eletto. Di sicuro non il notaio da cui andarono alla chetichella i consiglieri del Pd per firmare la sfiducia al loro primo cittadino.
Anche la storia successiva la conosciamo tutti. Il Pd candida l’impresentabile Roberto Giachetti alle elezioni. Una sorta di resa annunciata ai 5 Stelle, bravissimi a cavalcare l’ondata giustizialista che in quegli anni era costantemente montata. Viene eletta a furor di popolo Virginia Raggi, una vera disgrazia ambulante.
Ora, si dice, ma la Cassazione ha confermato in sostanza l’impianto accusatorio, riconoscendo l’esistenza di corruzione e mazzette. A parte che si potrebbe discutere anche di questo, perché a mio modesto avviso rimangono lati oscuri in tutta la vicenda. Mi astengo in base al principio enunciato all’inizio di questo mio ragionamento. La cosa che dovrebbe essere, però, condivisa da tutti è che questa sentenza declassa tutta la vicenda a una questione marginale di corruzione, per giunta di modesta entità. Non che non sia grave, ma di certo non meritava mesi e mesi di paginate indignate dei principali quotidiani italiani. Secondo me, se si andasse a scandagliare un po’ in profondità il settore edilizio del Comune di Roma ci sarebbe da divertirsi di più. Lo dico così, a naso, senza avere alcuna certezza, tanto per buttare lì una provocazione. Di sicuro se il metodo di “mafia capitale” fosse applicato in tutta Italia ci troveremmo senza più un sindaco il carica.
L’accusa di mafia ha distrutto una intera classe dirigente, non solo gli indagati, che in quegli anni stava provando sul serio a cambiare la città, consegnando, di fatto, Roma all’incompetenza e al pressappochismo che oggi dilagano e hanno nella Sindaca Raggi soltanto l’esempio più eclatante. Ora quella accusa viene cancellata definitivamente.
Eppure non ho visto nessuno cospargersi il capo di cenere. Non solo per rispetto per le persone accusate, per una cooperativa storica costretta alla chiusura, per il fango buttato sull’intero movimento cooperativo. Quell’accusa fu usata per smantellare un partito, il Pd romano (con le persone per bene costrette alla fuga). Era poco renziano e questo non andava bene. Ricordo ancora chi tuonava indisturbato affermando che avrebbe fatto pulizia a tutti i costi. Ecco, la pulizia non l’ha fatta, ma ha cavalcato l’onda di mafia capitale per consolidare il proprio potere personale, calpestando persone e istituzioni.
Quell’accusa è stata il grimaldello usato per capovolgere il giudizio degli elettori e, alla fine, ha portato Roma allo stato attuale. Mi chiedo se la coscienza di questi sedicenti dirigenti, a patto che ne abbiano una, oggi non sia un po’ in subbuglio, se non pensino di ritirarsi a vita privata, se non sentano almeno il bisogno di chiedere scusa. Non tanto alle persone che hanno coinvolto e non se lo meritavano, ma a tutti i cittadini romani. Ecco, sarebbe bello che invece di arrampicarsi su specchi scivolosi, per una volta, dicessero un chiaro: “Ragazzi, ci dispiace, abbiamo fatto una cazzata”. Speranza vana, stanno ancora tutti lì, tranquilli a pontificare sui massimi sistemi, magari addirittura promossi in Parlamento.
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