Berlusconi santo subito.
Il pippone del venerdì/147
Ora, diciamolo, le temperature di questi giorni invitano più ad andare al mare che a mettersi di fronte a un computer per ragionare. E la tentazione di rinviare ulteriormente questo appuntamento settimanale è stata forte. Del resto, succede sempre arrivati a questo punto dell’anno, si comincia a provare un bisogno di distaccarsi dalle vicende quotidiane, che dal canto loro, nella pochezza della vita politica nostrana, non aiutano davvero. Quest’anno, malgrado l’emergenza coronavirus, non fa eccezione. La scarsa qualità complessiva della nostra classe dirigente emerge forse ancor di più proprio in virtù della situazione eccezionale. Che ci si metta a discutere delle presidenze delle commissioni parlamentari a metà luglio, con il Paese in mezzo a una crisi senza precedenti, la dice lunga. Ma questa è un’altra storia, che, diciamolo, non vale la pensa di una sudata davanti al pc.
Una riflessione, secondo me, vale la pena di farla su questa storia della persecuzione contro Berlusconi. Sarà breve, non temete. La vicenda è nota, ma la sintetizzo per dovere di cronaca. Spunta fuori dal cilindro di un prestigiatore mediocre una registrazione di una conversazione tra un magistrato della Cassazione e Berlusconi stesso. E’ di qualche anno fa. Il tema è la condanna del leader di Forza Italia. In sostanza il magistrato parla di una sorta di grande complotto che sarebbe stato ordito per pilotare quella sentenza (in realtà sono tre, una per ogni grado di giudizio) ed eliminare lo scomodo personaggio dalla vita politica italiana. Quella registrazione, sostengono i legali di Berlusconi, viene fatta trapelare soltanto ora per rispetto verso il giudice, allora ancora in servizio, che sarebbe stato sicuramente danneggiato da quelle parole. Viene da chiedersi perché farla uscire adesso allora: soltanto per amore di verità? Quella vicenda è ormai conclusa, Berlusconi è sempre al suo posto, non è stato nelle aule parlamentari per qualche anno, ma alla fine non pare che ne abbia risentito più di tanto. Il suo declino è dovuto più all’età che avanza anche per lui, che al lavoro dei magistrati del quale gli italiani non hanno mai tenuto gran conto nel dare il loro voto.
Viene il sospetto che sia stata tirata fuori adesso soltanto perché si tratta del momento più basso per la credibilità della magistratura italiana. E’ come un incastro perfetto nel puzzle che si sta costruendo con un processo di demolizione non dell’autorevolezza di un singolo magistrato, ma di tutto il sistema. Già che ci siamo, sembra di leggere tra le righe, avviamo anche il processo di santificazione del Berlusconi. Almeno per Craxi hanno aspettato che passasse qualche anno dalla morte, qua invece si parte con il protagonista ancora in vita. Meglio portarsi avanti con il lavoro, visto che il momento è propizio. Ora, si potrebbe ribaltare il ragionamento parlando di tutte le sentenze di prescrizione ottenute dall’anziano leader grazie al certosino lavoro di stuoli di avvocati, ma non è questo il livello di ragionamento che mi interessa affrontare. Berlusconi non può essere santo né ora, né fra vent’anni, non tanto per le sue vicende giudiziarie, sulle quali evito come sempre di intervenire, ma per quello che ha rappresentato nella storia d’Italia negli ultimi decenni.
Per la cultura del disprezzo delle regole, per l’opera di destrutturazione che ha sapientemente avviato e portato a termine nella nostra società, per aver governato questo nostro Paese facendo leva sulle divisioni, aizzando i poveri contro i più poveri, disprezzando la Costituzione e agendo da motore primo di quel populismo che alla fine ha finito addirittura per travolgerlo. L’eliminazione prima dei partiti, poi di tutti i corpi intermedi, l’avversione per le regole democratiche, nasce tutto da lì, da quella discesa in campo che già nella libreria di cartone alle sue spalle non prometteva davvero nulla di buono.
E’ stata la personificazione della parte peggiore del nostro Paese. Per arrivare al potere ha solleticato le nostre fobie, dato spazio alla nostra parte peggiore, quella che cerca sempre una scorciatoia e passa sopra le regole per arrivare al risultato desiderato. Detta in breve è stato la voce dell’Italia peggiore che ha finito per travolgere ed emarginare le energie migliori di questo Paese.
Per questo non può essere né santo né, tanto meno, uno statista. E il giudizio non può cambiare per una sentenza. Certo, il nostro sistema giudiziario fa acqua da tutte le parti, per la lentezza dei processi, perché le nostre aule di tribunale sono ferme all’800. Forse anche per la scarsa preparazione di parte della magistratura. Che ci siano maneggioni anche fra i magistrati, del resto, non dovrebbe essere una sorpresa per nessuno. Non si vede proprio perché, dopo decenni in cui è stata esaltata la furbizia al posto dell’intelligenza, la capacità di arrangiarsi al posto del merito, la magistratura dovrebbe essere un’isola felice, avulsa dal contesto del Paese. Un contesto di cui, non da solo, è responsabile in primis proprio Berlusconi, quello che oggi taluni vorrebbero dipingere come vittima di un sistema che ha contribuito a creare con la sua opera culturale e politica. Ma del resto, non ho dubbi, in questo Paese a memoria ultracorta passerà anche la nuova immagine del Berlusconi immacolato e santo. Meglio il mare.
Tre mesi da vivere pericolosamente.
Il pippone del venerdì/34
Se la data delle elezioni sarà, come dicono, intorno a metà marzo abbiamo di fronte a noi tre mesi o poco più. Io non sono uno di quelli che considera questo appuntamento una sorta di armageddon dove si decideranno i destini dell’umanità. Tutt’altro. Anche perché, diciamolo chiaramente, con tutta probabilità non si avranno maggioranze certe, anche grazie a questa legge elettorale pasticciata che non prevede né coalizioni né un premio di maggioranza. Si è partiti dicendo che gli italiani avrebbero dovuto sapere fin dalla serata chi aveva vinto, finirà che avranno vinto tutti e non avrà vinto nessuno. All’italiana appunto. Fatta questa premessa, però, è ovvio che la nuova sinistra – che proprio in queste ora affronta il battesimo nelle assemblee che si stanno svolgendo in tutte le città d’Italia – dovrà affrontare una prova severa. Senza avere il tempo per farsi davvero movimento di popolo.
Possiamo anche prenderci in giro e mi direte che sono cinico e che con il cinismo non si prendono i voti. Ma un sano realismo serve proprio, invece, a prendere le misure del problema e a cercare le soluzioni. Breve analisi della situazione, dunque.
Punto primo: abbiamo perso 8 mesi appresso a Pisapia (peso elettorale 0.5 per cento) perché ci serviva una figura “federante” che non avesse l’immagine consumata dagli scontri, dalle sconfitte. Insomma la storia la sapete. Quando ci siamo accorti che ci stava prendendo in giro, abbiamo fatto una brusca accelerazione. Pronti, via. Ed è partito il fuoco “amico” dei cosiddetti civici riuniti nell’ormai mitico “percorso del Brancaccio” che ci hanno accusato di fare un percorso verticista, tutto di ceto politico eccetera eccetera. Insomma sapete anche questa di storia.
Punto secondo: malgrado tutto ci siamo. Assemblee in tutte le province, si discute, spero che ovunque si trovi un accordo non preconfezionato ma nell’assemblea stessa sui nomi delle persone da delegare all’appuntamento nazionale. E che tutto si svolga in un clima positivo. Ne abbiamo bisogno. Non sarà un percorso di popolo, ma non è neanche un percorso verticistico. In questo fine settimana ci saranno decine di migliaia di persone, in tutta Italia, che passeranno giornate a discutere sui contenuti. Persone che, in larga parte, non aderiscono a nessun partito esistente, non hanno interessi personali da mettere in gioco. Vogliono solo partecipare, ascoltare, dire la loro. Vogliono capire (perché in questa fase siamo) se è il caso di uscire dal bosco per impegnarsi. Chi, come me, non vive di soli social ma un po’ di antenne sul territorio ce l’ha, percepisce un clima di attesa, di grande interesse. Capisco che i giornali sono appassionati di polemicucce, ma questo non avveniva da decenni e dargli uno sguardo non sarebbe male. C’è chi fa le primarie, è vero, ma quelle non sono un momento democratico di partecipazione, sono una semplice conta fra chi ha le truppe più allenate. La partecipazione, la politica direi, è altra cosa. E’ un po’ come se un pezzo non piccolo dell’elettorato ci stesse dicendo: ora, io non mi fido di voi, grazie ai vostri errori ci troviamo sostanzialmente all’anno zero della sinistra in Italia, ma sto qui a vedere se questa volta avete capito davvero. Non mi fido di voi, ma sono qui. Fatemi vedere di cosa siete capaci.
Attenzione dunque a quello che facciamo.
Punto terzo: il percorso che siamo riusciti a mettere insieme fin’ora è comunque fragile. Mi sembra che la sinistra sia come quelle squadre di calcio che prendono sette goal in una partita e che perdono completamente la fiducia. Alla partita successiva non riescono a fare neanche un passaggio di quelli elementari. E dunque, essendo un percorso fragile, va maneggiato con cura. Va nutrito e protetto. Dobbiamo arrivare all’assemblea del 3 dicembre avendo posto le basi per creare una nuova comunità: quell’appuntamento dovrà dire cose chiare, dare linee programmatiche, scoprire il nostro simbolo e, mi pare di aver capito, indicare anche il nostro leader, una sorta di presidente di garanzia (e ho detto tutto). Bene. Ma dovrà dire una cosa chiara: ci impegnamo a non tornare indietro. Le nostre casette di provenienza stanno ancora lì, ma da oggi ne costruiamo una che sia di tutti quelli che sono qui oggi e di tutti quelli che arriveranno domani e dopodomani.
Questo secondo me resta il nodo di fondo e il mio cruccio di questi mesi. Non siamo riusciti – ancora – a fare questo passo in più, che sembra piccolo ma è fondamentale. Io ho deciso di uscire dal mio personale ritiro per questo. Perché quando è stato costituito Articolo Uno il mantra che ho sentito ripetere ossessivamente è stato: noi nasciamo non per costruire un nuovo partitino, ce ne sono già abbastanza, ma per ricostruire la sinistra italiana. Non ce l’abbiamo fatta – e forse era una sorta di missione impossibile – ma questa deve restare la nostra stella polare.
Ora, fatte queste brevi premesse, provo a spiegare il titolo di queste mie considerazioni settimanali: saranno tre mesi da vivere pericolosamente. Si capisce fin d’ora quale sarà tema di fondo di questa campagna elettorale. Malgrado i tentativi disperati del Pd di uscire dalla tenaglia scaricando su di noi le ragioni del disastro che lo attende, sarà la disfida fra Di Maio e Berlusconi. Nella sua senile ingenuità lo ha esplicitato bene Scalfari. Una sorta di tenaglia che cercherà di strangolare sul nascere la nostra nuova forza politica. Se ne esce con due mosse: intanto questa lista – lo so mi ripeto come un disco rotto – deve vivere non nelle istituzioni ma nei territori. Dalle nostra assemblee provinciali deve uscire forte un messaggio: costruire comitati unitari in tutti i quartieri delle città, in tutti i comuni delle province. Facciamoci vedere tutti i giorni, stampiamo migliaia di bandiere e chiediamo ai nostri militanti di metterle alle finestre. Ci siamo e dobbiamo farlo vedere. Seconda mossa: poche proposte chiare, secche. Direi radicali. Faccio un esempio: non possiamo dire l’alternanza scuola lavoro non funziona, la dobbiamo modificare e giù 4 cartelle per spiegare come. Dobbiamo dire: la scuola – salvo quelle professionali – non deve formare al lavoro, deve formare le coscienze. Dunque aboliamo l’alternanza scuola lavoro. E così sui diritti, sull’ambiente, sul lavoro. Chiarezza e radicalità della proposta. E poi i valori. Diamo un orizzonte ideale necessario a risvegliare le passioni. La politica è anche passione.
Lasciamo perdere, e la finisco qui, la contesa quotidiana sul voto utile. C’è un sistema quasi interamente proporzionale. Siamo stanchi di votare il meno peggio per mera paura. Ognuno pesi la sua proposta nel modo più democratico possibile: con il voto. Poi non è che ricominceremo con le trattative, i caminetti. No. Poi ci ritroveremo nell’unico luogo dove si confrontano le proposte e – se si può – si trovano le sintesi: il Parlamento. Ecco, siccome il nostro compito era troppo semplice, secondo me ce ne dobbiamo assumere anche un altro: spiegare che dobbiamo tornare a dare centralità al Parlamento. A chi ci dice che servono decisioni rapide, che questo mondo, la globalizzazione e via dicendo, ce lo chiedono, possiamo rispondere che con questa strada siamo arrivati al disastro di oggi. Serve più politica e non meno politica.
Insomma, cari compagni, amici, simpatizzanti, abbiamo tre mesi complicati. Tre mesi in cui tutti passeranno le giornate a gettarci fango addosso (sono ottimista sulla natura della materia che ci pioverà da tutte le parti), quindi nervi saldi e scarpe comode. Avanti!
Me ne vado in vacanza, non fate danni.
Il pippone del venerdì/22
Arrivati ai primi di agosto, nella calura dell’estate più calda del secolo, tutto procede per il meglio.
Invece di combattere i moderni trafficanti di schiavi il governo italiano combatte le Ong che salvano i migranti dal mare, tanto fra un po’ non serviranno più, visto che ci prepariamo a pattugliare le coste libiche per ricacciarli all’inferno.
L’occupazione cresce come un soufflé, mai avuto così tante donne al lavoro. Peccato che poi se vai a leggere sono tutti posti precari. E mi piacerebbe anche capire quanti di questi sono lavori a tempo indeterminato a cui sono scaduti i benefici fiscali previsti dal jobs act.
Negli Stati uniti Trump ha licenziato tutto il suo staff e ne ha assunto uno nuovo. Anche quelli sono posti di lavoro in più, con il metodo di calcolo dell’Istat. E aiuta anche la Raggi che, finiti a quanto pare i posti nelle segreterie degli assessorati, pensa di assumere direttamente due nuovi assessori. Due donne, si legge sui giornali, una delle quali crede anche a Babbo Natale e quindi va benissimo per gestire i lavori pubblici a Roma. Argomento che rientra nella letturatura fantasy. Se questi sono gli assessori immagino i loro staff.
La sindaca, in un sussulto di efficientismo estremo, ha perfino varato il piano antincendi per la pineta di Castelfusano. La pattuglierà addirittura l’esercito. Peccato che nel frattempo sia ridotta a una landa desolata di tizzoni ardenti, ma non si può avere tutto.
Il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, per non essere da meno, ha risolto l’emergenza idrica che rischiava di assetare i cittadini romani. E’ bastato ritirare l’ordinanza che aveva fatto due settimane prima e tutto è tornato a posto.
Nelle zone devastate dal terremoto di un anno fa i lavori fervono. Ad Amatrice è stata perfino aperta la prima zona commerciale, con tanto di ristoranti. Torneranno i turisti, si dice. A guardare la distesa di macerie.
Per quanto riguarda la politica, Renzi ha superato tutti i record di vendite con il suo nuovo libro. E visto che le elezioni le perde tutte, almeno ha un futuro come scrittore. Pisapia ha fatto pace con Speranza. L’ex sindaco di Milano si è fatto un paio di settimane di ferie, non ha fatto interviste, non ha abbracciato nessuno. Gli italiani sono vissuti benissimo lo stesso. A ottobre nascerà “Insieme”. Insieme a chi non è ancora dato saperlo. Grillo nel frattempo si è rifatto la piattaforma web, subito preda degli hacker. Sul fronte della destra, infine, Berlusconi si è fatto l’ennesimo lifting. Ora tutto è pronto per le elezioni.
La Camera ha perfino approvato una serissima norma che ridimensiona i vitalizi degli ex parlamentari. E che diamine basta con i privilegi della casta. Poi ci sono amministratori delegati che se ne vanno con liquidazione che sono più cospicue del bilancio del Molise, ma quelli producono mica sono parassiti come deputati e senatori. Certo lo Jus soli è stato rinviato a tempi migliori, ma non si può avere tutto. Certo la legge sul fine vita è scomparsa dal radar, ma tanto non sono annunciati altri suicidi assistiti di personaggi famosi. Non sarebbe carino in campagna elettorale.
Insomma, in questa Italia che si prepara a chiudere per ferie, va tutto bene. Non fate i gufi come al solito. Il calcio mercato procede, tra colpi da centinaia di milioni e onesti pedatori che cercano un contratto per allungarsi la carriera di un anno. Non avremo più a quanto pare la tessera del tifoso, si farà lo stadio della Roma, sarà tre volte natale e festa tutto l’anno.
E allora, sapete che c’è? Me ne vado anche io. Verso il mare, verso le pinete della Versilia, verso gli ombrelloni schierati in parata militare. Non fate danni, tra un mese torno e vorrei ritrovare qualcosa.
Il pippone del venerdì/12.
Berlusconi-Renzi, un patto che si può sconfiggere
Tutto fatto, dicono i giornali. C’è l’accordo fra Renzi e Berlusconi sulla reintroduzione di un sistema elettorale quasi proporzionale, simile a quanto pare al modello tedesco, ci sarà sicuramente qualche correttivo per non creare guerre in Parlamento, gli Alfano, i Verdini, dovranno pur essere rassicurati. Resta incerta solo la data del voto. Insieme alle elezioni in Germania, come vorrebbe il neo segretario del Pd, più avanti dice il leader della destra. Particolari, briciole, che non andranno a rompere un abbraccio che regge ormai da anni, al di là delle scaramucce.
Andiamo con ordine. Intanto: sarà proprio proporzionale? Evidentemente non del tutto, si parla di uno sbarramento al 5 per cento, molto alto per un sistema frammentato come quello italiano. Faccio un paragone con la prima repubblica. Elezioni del 1979: avremmo avuto solo quattro partiti in parlamento: Dc, Pci, Psi, Msi, che rappresentavano all’epoca circa l’83 per cento degli elettori. In più è facile immaginare una sorta di effetto taglia partiti: ci sarà il richiamo a non disperdere il voto, che, di fatto, tenderà a concentrare il voto degli elettori su quelle forze politiche che sono sicure del 5 per cento. In politica conta molto l’effetto psicologico, se vieni percepito come perdente hai già perso.
Quindi ci sarà intanto un effetto aggregativo, si formeranno liste composte da più partiti. Funzionano? Secondo me no, se l’elettore ha la sensazione (ancora una volta entra in campo la psicologia) che siano soltanto aggregazioni elettorali, tenute insieme dalla mera voglia di mantenere qualche seggio in Parlamento. Ma di questo parleremo dopo, torniamo al cuore del ragionamento.
Dunque avremo un sistema con due forze fra il 25 e il 30 per cento, Pd e M5s, altre due intorno al 10 forse 15 per cento, Forza Italia e Lega. Fanno un totale di voti fra il 70 e il 90 per cento dell’elettorato. Probabilmente attorno ai due poli moderati, Pd e Forza Italia, si aggregheranno parte degli attuali cespugli parlamentari, da Alfano a Verdini, alle sigle varie che si compongono e si scompongono dalla mattina alla sera. Chiederanno qualche posto in lista per garantire la propria sopravvivenza. In qualche caso anche la libertà personale dei condannati vari ai quali non si potrà far mancare la protezione del seggio.
Per comodità, ma non credo che il dato finale sarà molto diverso, assumiamo come vero il dato centrale della forchetta: dunque quattro forze politiche rappresenteranno circa l’80 per cento dell’elettorato. Come negli anni ’70 del secolo scorso, viene da dire. E una di loro, il M5s, viene percepita come antisistema dagli altri attori del sistema politico. Un po’ come avveniva con il Pci, in passato, anche se il paragone è ovviamente è forzato. Ma il ragionamento è consequenziale e la conclusione, per chi guarda alla realtà senza pregiudizi è inevitabile: il prossimo governo dovrà necessariamente essere caratterizzato da un patto di ferro fra Berlusconi e Renzi, più qualche acquisto post elettorale per arrivare ad avere una, sia pur risicata, maggioranza parlamentare.
Io credo sia questa una delle ragioni per cui Renzi vuole andare a votare insieme alla Germania, dove, con tutta probabilità avremo un risultato simile, come avviene da due legislature a questa parte nessuna delle due forze principali, i democristiani e i socialisti, avrà i voti necessari a governare da sola. Votare qualche mese dopo significherebbe ammettere esplicitamente di fronte all’elettorato italiano questa eventualità e questo, sempre per lo stesso effetto psicologico, potrebbe indebolire Pd e Forza Italia. Non dimentichiamo che si tratta di partiti che, nel recente passato, hanno convinto una fetta consistente del proprio elettorato proprio in ragione della reciproca contrapposizione. Meglio non rischiare dunque, non instillare ragioni di incertezza in un elettorato di per sé parecchio disorientato.
E allora, riassumiamo. Si approva questo benedetto modello simil tedesco, poi si va al voto. Secondo me alla fine l’avrà vinta Berlusconi. Sia il presidente della Repubblica che Confindustria hanno più volte fatto capire che sarebbe bene fare la legge di stabilità prima di andare alle urne. Altra cosa che Renzi vorrebbe evitare. Ma anche alzare l’Iva al 25 per cento, cosa che avverrebbe in virtù di quel marchingegno infernale di adeguamento automatico che scatta se non vengono rispettati determinati parametri economici, potrebbe non essere esattamente salutare per aumentare il proprio consenso elettorale. Comunque sia, si andrà alle urne. Il M5s sarà il primo partito – l’appello renziano al voto utile servirà a poco – Mattarella, dopo le consultazioni, affiderà a un grillino un incarico esplorativo, come si diceva un tempo. Durerà poco, non hanno la maggioranza e non sarà possibile un governo grillino, poi si arriverà alla ciccia. E sarà, con i numeri che ho provato a descrivere, necessariamente un governo di larghe intese. Ci prenderanno in giro con i soliti ragionamenti che ormai conosciamo a menadito: la responsabilità, i mercati, il rischio di speculazioni sui titoli di stato, la necessità urgente di riforme. Ci sarà la chiamata a tutti le persone “che hanno a cuore l’Italia”. Salviamo il paese dal rischio instabilità, serve un governo autorevole che ci rappresenti in Europa. Si sa, storia già vista.
E passeranno cinque anni così. Poi Berlusconi si ritirerà per limiti di età, si sarà garantito nel frattempo le sue aziende, uscirà di scena serenamente viene da dire. Il suo partito si dividerà e il Pd ingrosserà le proprie file con buona parte dei transfughi di quel campo. Avremo finalmente la nuova Democrazia cristiana di cui tanto sentiamo la mancanza. In questo tempo, siete avvertiti, ci saranno almeno una decina di ultimatum di Gianni Cuperlo, che poi, però troverà inevitabilmente un accordo con la sua nemesi Renzi.
Lo scenario è grigio, ne converrete con me. Resta però, quel campo, quel 20, forse 30 per cento di elettorato che non si riconosce negli attuali quattro partiti maggiori. Più una parte dell’elettorato grillino che vota 5 stelle per disperazione. E vista la situazione non bisogna neanche stupirsi troppo. Una cosa è certa, una sinistra frantumata fra quattro, cinque sigle, non ha alcuna possibilità di incidere su questo quadro. È destinata fatalmente ad un ruolo di testimonianza fuori dal parlamento o ad essere attratta dal partitone renziano del futuro coprendo il fianco sinistro dello schieramento.
E poi, diciamoci la verità: se si guarda al peso politico dei quattro, cinque partiti comunisti esistenti, di Sinistra italiana, Possibile, Articolo Uno, si capisce bene come l’esistenza di buona parte di queste forze ha come unico scopo quello di creare qualche carica inutile. Si ha come la sensazione che qualcuno fondi un partito solo per potersi fregiare del titolo di segretario nazionale. C’è un mondo fuori dalle nostre casette scalcinate. C’è un popolo che ci chiede di essere rappresentato. L’ho già detto e scritto e non mi stancherò di ripeterlo: bisogna superare i rispettivi egoismi, basta con i tatticismi, basta con le incertezze di qualche presunto leader, il cui unico consenso deriva dall’appoggio di qualche potente gruppo editoriale. E basta, mi dispiace dirlo ma tocca farsene una ragione, con la favoletta dei compagni che sono rimasti nel Pd e con cui bisogna comunque costruire un rapporto. Ora, se ancora non hanno capito cosa sta succedendo, vuol dire che sono rimasti nel Pd perché gli sta bene. Porte aperte quando decideranno cosa fare da grandi, ma per il momento stanno lì, sono avversari politici.
Ha ragione D’Alema. Posso dire con un certo compiacimento narcistico di averlo proposto due anni fa, ma ovviamente se lo dice lui ha un altro peso: basta con gli accordicchi dei gruppi dirigenti, lanciamo assemblee in ogni città, chiamiamola alleanza per il cambiamento, chiamiamola Giovanna, i nomi contano poco, servono i contenuti. Con Fondamenta, la settimana scorsa, Articolo Uno qualche paletto ha cominciato a metterlo. Ci sono elaborazioni interessanti di Sinistra Italiana, di Possibile. Ci sono le proposte di legge sui diritti dei lavoratori della Cgil. Ripartiamo da qui.
Insomma, andiamo oltre le nostre siglette. Chiamiamo i sindacati e diciamogli: ma a voi vi sta bene questa roba qui? O avete bisogno di costruire con noi un fronte progressista che possa difendere le istanze dei lavoratori? Chiamiamo l’associazionismo diffuso, il volontariato, chiamiamo quelli che sono tornati a casa negli anni scorsi. Chiamiamo quegli studenti che sono scesi in campo per difendere la costituzione. Chiamiamo quel pezzo di popolo che è convinto che la questione morale, il rispetto della legalità siano valori fondanti per uno Stato moderno. Casa per casa, quartiere per quartiere. Prenderemo il tre per cento come dicono i soloni della politica? Non lo so. Il nostro non è un lavoro che possa concludersi in qualche mese, anche in questo sto diventando ripetitivo, sarà l’età. Stiamo lavorando per non farci trovare impreparati dopo le elezioni. Per costruire un campo autonomo, non una stampelletta parlamentare destinata a estinguersi. Bisogna avere chiaro questo. E aprire anche gli occhi. Assemblee programmatiche in ogni quartiere, troviamo i candidati alle elezioni con le primarie, facciamo scegliere a quelli che non vogliono far carriera, non in qualche stanza chiusa, mettiamoci sempre uomini e donne pronti a una lunga traversata. Facciamo scendere in campo una nuova classe dirigente. Abbiamo sperimentato quelli fedeli che dicono sempre così, proviamo a mettere in campo persone libere. Così, non con aggregazioni mordi e fuggi, possiamo ricostruire la sinistra, il centrosinistra, chiamatelo come vi pare, va bene anche Giovanna. Torniamo a essere quelli che “noi veniamo da lontano e andiamo lontano”. Tre per cento? Echissenefrega.
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