Se si votasse oggi e altre quisquilie.
Il pippone del venerdì/94

Mar 29, 2019 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì






La dico brutalmente: una simulazione basata sulla media dei sondaggi attuali ci spiega che, se si votasse oggi per le politiche, una coalizione formata da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia arriverebbe a 383 seggi alla camera. Ben oltre la maggioranza. Ci beccheremmo, insomma, cinque anni di Salvini, senza sconti della pena.

Ecco, secondo me, qualsiasi considerazione politica deve partire da questo assunto. Non c’è al momento un recupero del centrosinistra tale da mettere in discussione quest’esito nefasto. Le ripetute sconfitte subite alle corse regionali, ultima la Basilicata domenica scorsa, sono soltanto la prova che i sondaggi non mentono. Non c’è – almeno al momento – un “effetto Zingaretti”. Il Pd viene dato in lieve recupero, è vero. Ma questo recupero non è sufficiente a tornare competitivo. Possiamo continuare a raccontarci stupidaggini, ma il centrosinistra non è in grado di vincere. E’ in grado di lottare per il secondo posto con i 5 stelle, ma questa non è una partita dove conta la medaglia di argento. Con quelle percentuali chi arriva primo si prende tutta la torta.

Fin qui siamo nell’ambito delle certezze, dei dati. Poi passiamo alle congetture. Ora, è facile immaginare che dopo le Europee la situazione politica tenda a precipitare. Sia nel caso di un risultato molto a favore della Lega che nell’ipotesi di un esito che faccia intravedere una possibilità di rimonta del centrosinistra, infatti, qualsiasi persona che abbia un minimo di conoscenza di tattica elementare capisce che a Salvini converrebbe dare la mazzata finale all’avversario, piuttosto che dargli tempo per riprendersi. Anche perché, con i dati sull’economia che peggiorano giorno dopo giorno, è facile prevedere la necessità di una manovra correttiva. Avrà, questo governo profondamente diviso su questioni fondamentali, la fermezza per attuare misure impopolari? Io credo che i soci pro tempore che hanno firmato il contratto di governo converranno che sia meglio tornare a dare la parola agli elettori.

Per essere prudenti diciamo che si voterà comunque entro primavera del 2020. Con questa linea di confine abbiamo a che fare e questo dobbiamo tenere presente nei nostri ragionamenti e nelle nostre prese di posizione. Altro elemento certo, le elezioni regionali dimostrano chiaramente due cose: la prima è che l’elettorato non crede al rinnovamento del Pd. Anche dopo le primarie, quando si esce dai sondaggi e si contano i voti, non si segnala alcun recupero. Anzi. Difficile dargli torto, del resto, basta leggere i nomi che compongono la direzione per capire quanto l’intento annunciato da Zingaretti (Cambiamo tutto) sia al momento al massimo una buona intenzione per il futuro. Se gli attori restano gli stessi difficile pensare che cambi davvero qualcosa. E del resto lo stesso neo segretario ha professato una sostanziale continuità con i governi Renzi e Gentiloni sulle questioni più calde. Lavoro e riforme istituzionali innanzitutto. Il secondo dato che emerge è che senza una seconda gamba della coalizione non si concorre a nulla. Nella migliore delle ipotesi, quella di un Pd intorno al 20 per cento, mettendo insieme tutti, ma proprio tutti, gli altri protagonisti della scena politica a sinistra si raggiunge a stento il 30 per cento.

Questo poteva essere il compito di Liberi e Uguali: mettere insieme una “massa critica” tale da diventare fattore di attrazione degli elettori delusi, dare una sponda politica ai tanti movimenti che sono tornati protagonisti in questi mesi. E poi andare a verificare con il Pd le condizioni di una alleanza di tipo nuovo. Guardate, la questione non è tanto di formule. E’ di idee: serviva una forza che dichiarasse apertamente la necessità di superare la stagione liberista e tornare a formule socialiste, a partire da tre temi fondamentali: lavoro, ambiente, stato sociale. Su questi temi non siamo in grado da anni di dire una parola di sinistra. E non bastano le battaglie, pur giuste, sui diritti civili, se non parliamo di questioni che toccano le tasche e le pance dei nostri concittadini. Un esempio su tutti: la questione migranti, come si smina? Con il “buonismo” – perdonatemi la semplificazione – alla Boldrini? No, si smina unendo la solidarietà necessaria a ricette serie per migliorare la condizione di vita degli italiani. Che non è che siano diventati razzisti all’improvviso. Hanno cominciato a rifiutare i disperati che vengono da noi, tra l’altro spesso soltanto di passaggio, nel momento in cui hanno visto sgretolate le proprie certezze. E hanno creduto al mantra populista che recita: “Stiamo peggio per colpa dei migranti, a cui vengono destinate le risorse che sarebbero necessarie per migliorare la situazione degli italiani”. Non è vero, ma non basta dirlo, occorre lavorare per ricostruire quelle certezze. Su lavoro e stato sociale innanzitutto.

Una forza di sinistra, insomma, aveva il compito di spostare l’asse della coalizione riportandolo vicino ai più deboli. Questo serviva e questo serve ancora. Le classi dirigenti dei vari partitini esistenti non lo hanno capito perché dedite soltanto a preservare le proprio certezze, fossero anche soltanto la segreteria di una forza che non ha i voti necessari manco per eleggere un amministratore di condominio. Ma da qui, secondo me, sarà necessario ripartire, quando, una volta passata la sbornia delle europee si potrà ricominciare a ragionare.

Nel frattempo cosa fare a maggio? Il richiamo unitario lanciato da Zingaretti è forte, inutile prenderci in giro. Perché nel popolo degli elettori che si dichiarano di sinistra il richiamo all’unità va di pari passo con quello alla necessità di un cambiamento profondo. E la sinistra dispersa non avrà la forza per opporsi. Perché quell’antidemocratico sbarramento al 4 per cento farà saltare qualsiasi buon proposito. Vedremo se il Pd e il suo segretario saranno in grado di mettere sul serio in campo un progetto unitario e non una lista di partito con qualche ospite illustre. Io avrei visto bene una lista che presentasse orgogliosa la rosa nel pugno dei socialisti europei. In quella casa, credo, c’è ancora lo spazio per progettare la sinistra che serve al nostro continente. La voglio dire ancora più chiaramente anche parlando ai vertici di Articolo Uno, in questi giorni in mezzo al gorgo: una cosa è una lista unitaria, un’altra è essere ospiti neanche tanto graditi nella lista del Pd. Un progetto di questo tipo, non una lista estemporanea dove l’unica cosa su cui si discute sono i candidati, potrei anche decidere di votarlo. Altrimenti torno all’ipotesi A: voto Salvini. Ma questa ve la spiego un’altra volta.








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