Lo spiegone del lunedì/2
Il sistema proporzionale e la formazione del governo
Una premessa doverosa, perché girano troppe balle: non abbiamo la attuale legge elettorale, anzi le attuali leggi elettorali visto che sono diverse per Camera e Senato, perché c’è stato il referendum del 4 dicembre e il relativo trionfo del no. Non c’entra nulla, il referendum riguardava la riforma della Costituzione e non la legge elettorale. Il cosiddetto Italicum, a detta del suo ideatore la legge più bella del mondo che tutti ci copieranno, è stato ampiamente bocciato dalla Corte costituzionale perché illegittimo. E quindi, abbiamo la attuale legge elettorale per l’incapacità di una classe politica che manco è stata in grado di capire che la sua proposta andava contro la Costituzione. Ricordate i gufi e professoroni polverosi? Ecco non li avete ascoltati e i risultati sono questi.
Fatta doverosamente chiarezza, le norme attualmente in vigore sono sostanzialmente proporzionali. Non si venga a dire che c’è il premio per il partito in che supera il 40 per cento. Intanto perché tale premio è previsto solo alla Camera e in più perché in un sistema in cui i poli saranno almeno 4 se non 5, è praticamente impossibile che qualcuno superi il 40 per cento.
Dunque, se si votasse oggi, l’attribuzione dei seggi avverrebbe in maniera proporzionale. E qui si leggono in giro cose davvero fantasiose per spingere a un nuovo voto utile. Si dice, infatti: se arriva primo il M5s il presidente della Repubblica darà a loro l’incarico di formare il nuovo governo, dunque bisogna turarsi il naso e votare Pd. A parte il fatto che ormai manco non basterebbe manco la maschera antigas a coprire la puzza di marcio, ma in realtà questa ricostruzione è del tutto falsa.
In realtà il presidente della Repubblica, dopo le elezioni, comincia le sue consultazioni, sente i partiti rappresentati in parlamento e poi decide non in base a chi è arrivato prima, ma a chi ha la possibilità di avere la maggioranza dei voti necessari per ottenere la fiducia delle camere.
Anche se, per ipotesi, seguisse questa idea di affidare un primo incarico esplorativo a un esponente del partito di maggioranza relativa, poi questo dovrebbe cercare la maggioranza. E i grillini, fermi intorno al 30 per cento non ci arriverebbero neanche con un’alleanza (impossibile) con Salvini che veleggia intorno al 10. Dunque dovrebbero rinunciare all’incarico e si andrebbe a un nuovo giro di consultazioni e a un nuovo presidente incaricato.
Certo continuare a votare per garantire l’impunità dei parlamentari come nel caso Minzolini non aiuta a smontare i 5 stelle, ma questo, di certo, non è colpa di chi ha lasciato il Pd, semmai di chi ci è rimasto.
Qual è dunque, lo scenario più probabile stante questo quadro istituzionale? Difficile dirlo, le elezioni sono lontane, il Pd sta facendo in questi giorni la conta per il segretario, movimenti e partiti di sinistra sono in fase di costruzione. Se si votasse domani cosa succederebbe? Con ogni probabilità nessuno schieramento, neanche allargato a parenti e amici avrebbe la maggioranza. E dunque si andrebbe verso un governo di responsabilità nazionale: una grande coalizione da Pisapia a Berlusconi, tagliando le ali estreme, con un presidente del Consiglio che garantisca tutti. Per fare cosa? Si spera per arrivare almeno a una legge elettorale condivisa e fare quelle riforme costituzionali necessarie per semplificare il sistema, senza snaturare, possibilmente la Costituzione.
Tutto questo, per la precisione.
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