Il tormentone infinito della legge elettorale.
Il pippone del venerdì/25

Set 22, 2017 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì






Non rimaneteci male, ho deciso, intanto per una settimana ma chissà per quanto tempo: lasciamo la sinistra alle sue contorsioni e Pisapia ai suoi pigolii tentennanti. Forse se li ignoriamo i nostri (autonominati) dirigenti e leader si accorgeranno di quanto siano inutili, se non dannosi, per la causa che dicono di voler perseguire e si daranno una svegliata.

Vorrei, invece, in questo mio sproloquio settimanale, fare qualche rapida considerazione sulla legge elettorale e sull’ultimo cilindro tirato fuori dal capello del Pd. Capisco che di argomenti meno appassionanti ce ne sono pochi, ma mi pare un tema fondamentale per il futuro di tutti noi. E il fatto che si vorrebbe liquidare in poche settimane una partita così delicata ci dovrebbe far scattare subito in piedi. Non parlerò di inciucio, lo dico a beneficio dei grillini: le regole si fanno tutti insieme o almeno con una maggioranza più larga possibile, dunque parlare di inciucio è un vero e proprio ossimoro. Vorrei entrare più nel merito della proposta.

Intanto, diciamolo, viene da chiedersi chi siano i tecnici (chiamarli costituzionalisti o anche esperti di diritto pare un insulto a chi lo è davvero) che si inventano a rotta di collo sistemi elettorali da manicomio. Siamo almeno alla quinta proposta differente in pochi mesi che arriva da parte dei democratici e tutte hanno in comune due punti: per capirle ci vuole uno studio complicato e quando arrivi alla fine ti rendi conto che non sono sistemi elettorali pensati per garantire governo e rappresentanza, ma per far fuori il nemico di turno.

Il punto non è neanche tanto che con l’ultima trovata di Renzi e soci il numero dei nominati direttamente dai partiti arriva alla cifra record del 64 per cento, senza contare i collegi uninominali sicuri, altro rifugio tranquillo. Non è uno scandalo in sé, dicevo, perché se in questo paese ci fossero dei partiti, con una democrazia interna regolata da norme precise e uguali per tutti, verrebbe quasi naturale che fossero loro a selezionare la classe dirigente. E’ proprio questa, del resto, la funzione principale delle formazioni politiche. I partiti sono la democrazia che si organizza, come diceva Togliatti. E dunque nulla di strano. Peccato che ormai in Italia di partiti non ce ne siano più e dunque l’indicazione della classe dirigente spetterebbe nella sostanza a quattro leader. E visti i leader non c’è da stare allegri.

Ma a parte questo, sono altri gli aspetti inquietanti del cosiddetto “Rosatellum bis” (in altra sede ci sarebbe  da disquisire sugli improbabili nomi latineggianti che cercano di coprire imbrogli degni di un magliaro di basso livello). Provo a raccontarvi come funziona questa idea su cui ci sarebbe l’accordo di Pd, Lega, Forza Italia e cespugli vari. I due terzi dei parlamentari viene eletto su base proporzionale con liste bloccate, gli altri in collegi uninominali a turno unico, chi prende un voto in più entra in parlamento. Nella parte proporzionale ci sono le liste dei partiti (devono superare il 3 per cento per concorrere alla ripartizione dei seggi) che possono unirsi e presentare un comune candidato nel collegio uninominale. Lo sbarramento per le coalizioni è del 10 per cento, ma non è previsto un programma comune e neanche un leader, ciascuna lista ha il suo “capo”. Se una lista che fa parte di una coalizione non raggiunge il 3 per cento ma ha superato l’1, quei voti vengono spartiti fra gli alleati. Una norma strana, ma che potrebbe favorire la nascita di una serie di liste civetta in grado di spingere i candidati nell’uninominale. Il voto è unico: votando la lista nel proporzionale si attribuisce automaticamente la propria preferenza anche al candidato collegato nella parte uninominale. Se si vota solo il candidato all’uninominale, il voto va (in proporzione) anche alle liste collegate.

La prima cosa che balza agli occhi è che questa legge non garantisce minimamente la stabilità del governo, perché non aiuta a formare una maggioranza e neanche farà immediata chiarezza su chi ha vinto e chi formerà il governo. Anzi, è facile prevedere che da una legge così, visto il nostro attuale sistema, non nascerà alcun governo se non una “grande coalizione dei moderati”, a patto che ci siano i numeri. Sottolineo che questi due punti (stabilità e certezza sui vincitori) sono stati per anni il tormentone che ci ha propinato mattina e sera il segretario del Pd. Ora sono improvvisamente spariti dall’agenda politica.

Il secondo aspetto che vorrei mettere in evidenza è questa bufala delle coalizioni elettorali. Il fatto che solo in Italia esistano dovrebbe accendere un campanello d’allarme. Nel resto del mondo, infatti, i partiti che hanno un programma comune non fanno coalizioni, presentano la stessa lista. Se hanno programmi differenti, invece, presentano liste concorrenti. Dopo le elezioni, questo sì, quando nessun partito raggiunge la maggioranza si formano delle coalizioni per governare fra i soggetti politici più vicini. In pratica: ci si pesa, le idee di ciascuno vengono giudicate dagli elettori e poi, solo dopo il voto, proprio in base al peso elettorale che i programmi hanno avuto, si indirizza l’azione politica del governo. L’invenzione italica delle coalizioni, invece, fa sì che partiti differenti e quindi con programmi altrettanto differenti, facciano una mediazione preventiva senza pesarsi prima. Gli elettori vengono di fatto, privati di un loro diritto fondamentale: scegliere il partito più vicino al loro modo di pensare. Nel caso di quest’ultima pensata dei democratici, non c’è manco il programma comune e dunque non si capisce per quale motivo si dovrebbero presentare insieme.

Raccontata così, è evidente come questa legge debba avere altri scopi, di certo non quello di creare un sistema politico rappresentativo del paese. Del resto, se le ultime due leggi elettorali, approvate da schieramenti opposti, sono state bocciate dalla Corte costituzionale, una ragione ci deve pur essere. Il motivo, secondo me, è evidente: non si pensa a una legge per rafforzare il sistema politico (e quindi che garantisca rappresentanza e aiuti la formazione di maggioranze), ma a una legge che favorisca alcune forze politiche rispetto ad altre. Il porcellum fu studiato da Berlusconi e soci per dimezzare la prevedibile vittoria di Prodi nel 2006, l’Italicum, secondo Renzi gasato dal 42 per cento delle Europee, doveva garantire al Pd una maggioranza solitaria. Non a caso fra le raccomandazioni del Consiglio d’Europa c’è quella di non fare leggi elettorali nell’ultimo anno del mandato delle Camere, proprio per evitare norme confezionate in base ai sondaggi del momento.

Ora, io non sono né un esperto né tantomeno un tecnico, solo un appassionato. Ma Lo scopo mi pare evidente, in questo caso: in primo luogo rendere marginale la forza del Movimento 5 stelle, che per la sua stessa natura non è disposto a partecipare a coalizioni, in secondo luogo ostacolare la formazione di una forza di sinistra che vedrebbe i suoi consensi potenziali messi a rischio dal consueto appello al cosiddetto voto utile. Supposto che la maggioranza potenziale regga alla prova del Parlamento e questa legge passi, a me sembra che Renzi, ancora una volta, abbia fatto male i suoi conti. Perché una legge con queste caratteristiche gli garantirebbe sicuramente di poter fare e disfare a suo piacimento il Pd. Ma il vero favorito sarebbe Berlusconi, che ottiene due vantaggi insieme: si può coalizzare con la Lega di Salvini ma non deve scegliere un leader, può infarcire le liste dei fedelissimi. Senza contare che già da tempo sta pensando a una serie di listarelle parallele a quelle principali cosa che, come abbiamo visto, questa proposta tende a premiare. Insomma, se lo scopo è quello di tornare a Palazzo Chigi anche come capo di un governo di grande coalizione, lo strumento non sembra essere adatto.

Ultima notazione e poi vi libero dal pippone settimanale: il voto utile. E’ un concetto che proprio non capisco. Utile a chi? Io dovrei votare un partito che di cui non condivido molto per evitare che ne vinca un altro di cui condivido ancora meno. Che poi sentire Renzi che evoca il rischio del populismo è anche divertente. Torniamo seri: l’equivoco sta nel concepire il governo come fine unico di una formazione politica. Io credo che non sia così. Sono convinto che un partito debba rappresentare interessi, organizzare un blocco sociale si sarebbe detto una volta. Arrivare al governo è uno dei modi per farlo, ma non l’unico. Continuo a pensare, ad esempio, che abbia influito di più il Pci stando sempre all’opposizione che i partiti suoi (indegni) eredi che nelle loro ragioni costitutive hanno sempre avuto scritta una vera e propria ossessione per il governo. Ecco, fossi nella testa degli (autonominati) dirigenti della sinistra sparsa, mi porrei questo come compito da svolgere per l’autunno: studiare come si fa a incidere nel paese senza per forza doversi alleare con Alfano e soci. Buon lavoro.








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