Il #pippone del venerdì/8.
C’era una volta l’industria italiana
Cominciammo con l’Iri. Che li facciamo a fare i panettoni? Poi ci fu Alfa Romeo. Bisogna creare un grande polo italiano dell’auto, regaliamola a Fiat. Poi ci fu Telecom. E che le comunicazioni sono strategiche? Poi fu la volta di Alitalia. Con lo Stato perde, ci costa troppo, diamola ai privati e per ripagarli del favore gli regaliamo pure le autostrade va.
Avete appena letto: breve storia triste dell’industria italiana. In mezzo ci sono acciaierie, petrolchimico, farmaceutica, informatica. Tutto sparito. Della sesta o settima potenza economica mondiale cosa resta? Il turismo mordi e fuggi e poco altro. Perfino Fiat, oggi gruppo Fca, appena ha potuto ha portato la sede fiscale in un paradiso fiscale (europeo). Ma come, verrebbe da chiedersi, dopo tutto quello che abbiamo fatto per loro? Abbiamo fatto strade, eliminato i tram, concesso bonus a chi rottama le auto, per anni sono state Fiat tutte le auto della pubblica amministrazione e poi ti arriva un Marchionne e se ne va, tra gli applausi dei nostri governanti.
Però, ragazzi, stiamo tranquilli che va tutto bene. C’è Matteo che pensa a tutto. E che ti fa? Il Jobs Act: detassazione per le imprese che assumono a tempo indeterminato, tanto poi vi do libertà di licenziare e tolto l’articolo 18. E non basta. Ragazzi, arriva industria 4.0. Una scoppola da 13 miliardi di contributi in varie forme per gli imprenditori che investono in robotica. E così i contributi previdenziali non li paghi proprio più. Quando il robot è vecchio mica lo devi liquidare, dargli il welfare e la pensione al massimo serve una discarica. Quindi tu elimini lavoratori con il finanziamento statale. Una genialata.
E poi torna ancora Alitalia, riassumiamo per chiarezza. Partiamo da un dato: nel 2001 un’azione di Alitalia (all’epoca lo Stato aveva più del 60 per cento) valeva circa 10 euro. Nel 2006 circa 1.57. Che si fa? Vendiamo, mi pare ovvio. Ora, io non sono un economista, ma c’è qualcosa di strano: io venderei a dieci semmai, non a 1.57. Comunque sia, un paio di “bandi”, interessamenti vari. Alla fine Alitalia sceglie: il nostro partner sarà Air France-Klm. Partono le trattative, non si chiude l’accordo con le parti sociali sulla ristrutturazione che il socio straniero pretende prima di firmare l’intesa. E poi arriva a gamba tesa il Berlusconi che dice: dopo le elezioni, che vinco io, di vendere agli stranieri Alitalia non se ne parla proprio. Air France capita la malaparata si tira indietro.
Ma che bravo il Berlusca, tra l’altro dentro Air France c’è una bella percentuale pubblica, dello stato francese, e che vendiamo la nostra compagnia di bandiera a uno stato estero? Non sia mai. Morale della favola Berlusconi la regala a un gruppetto di amici suoi che convoca ad Arcore e convince a suon di regali (autostrade comprese). In cambio si prendono Alitalia senza debiti (quelli li paga lo Stato), ricordate la bad company e la good company? Ecco, il senso era quello: a voi i debiti a noi il capitale. Questi benemeriti del popolo li chiameranno “i capitani coraggiosi”. Alitalia continua a perdere, perché sono pippe, e i capitani prendono il largo. Il governo Renzi si inventa allora la soluzione araba. Arriva Etihad. E cavolo questi sono arabi, gente che gli affari li sa fare. E poi negli ultimi anni il volume di affari legato al trasporto aereo continua a crescere, vuoi che non si aggancino a questa tendenza? E infatti, annuncia Renzi con il solito tuitte: “Presentati i nuovi aerei, sembrava impossibile due anni fa. Ma Alitalia torna in pista, pronta su nuove rotte. Vola Alitalia, viva l’Italia”. Secondo me porta male. Ma questa è un’altra storia, fatevela raccontare dalla nazionale femminile di pallavolo.
Morale della favola, l’unica cosa nuova che fanno gli arabi sono le divise, pare peraltro di tessuto che raschia la pelle. Nuove rotte, piano per il lungo raggio, integrazione con Etihad? Nulla. La compagnia è di nuovo sull’orlo del fallimento. Si tratta, i sindacati firmano l’intesa, è storia recente. Altri tagli al personale, altre diminuzioni di stipendio, con la prospettiva di mettere in vendita nuovamente la società. Questa volta i lavoratori non ci stanno e votano no all’accordo. Finisce quasi 70 a 30, non si tratta di un esito sul filo di lana, malgrado l’intervento a gamba tesa del presidente del Consiglio, Gentiloni: “Se votate no, l’azienda fallisce”, dice. Una specie di invito subliminale a votare no due volte.
E adesso che si fa? Prestito ponte per avviare le trattative e vendere a qualcuno. Si dice ai tedeschi. Perché i soldi per salvare Mps (10 miliardi) ci sono. I soldi per regalare i robot agli industriali ci sono (13 miliardi). Alitalia costa troppo, c’abbiamo già rimesso 7.4 miliardi. E poi è colpa dei lavoratori che si sono suicidati. Io tengo a pensare che si siano semplicemente rotti le scatole di essere presi in giro. Ma forse vivo su un altro pianeta. E poi, ma a nessuno viene il dubbio che la colpa sia di manager pagati milioni e liquidati a peso d’oro? Possibile, lo ripeto, che il traffico aereo continui ad aumentare e i passeggeri di Alitalia a diminuire?
Siccome non credo che il personale Alitalia, nel suo complesso, emani odori insopportabili, non è che qualcuno ha sbagliato la strategia aziendale? Sempre che ve ne sia mai stata una. L’attuale amministratore di Alitalia, tal Crames Ball guadagna nel complesso 2.2 milioni di euro l’anno, solo per restare all’attualità. Ma velo ricordate, per fare un altro esempio, Giancarlo Cimoli? Si prese 3 milioni come buonuscita. E mi fermo per carità di patria. Solo un altro: Montezemolo. Basta il nome.
Come sempre tendo a essere curioso, apro parentesi. Abbiamo salvato Mps o abbiamo salvato i suoi debitori, dei quali per questione di privacy non si può avere la lista? Io propendo per la seconda. E chi vi racconta che sono stati salvati migliaia di correntisti vi dice una balla, quelli sono garantiti comunque.
Su Alitalia, invece, il governo ha una brillante strategia: 300 milioni per garantire la continuità aziendale, due spiccioli, e nel frattempo si vende. In pratica, visto che gli aerei sono per la maggior parte in affitto che si vende? Gli slot, detta in parole povere il diritto di partire da un aeroporto ad una determinata ora, le rotte. Poco altro. I dipendenti? I tedeschi ne vogliono solo 3mila su 12mila. Insomma si smantella quel poco che resta di Alitalia. Come sempre.
Cosa resta di Alitalia l’abbiamo capito e dell’industria in genere? Poco. Non produciamo praticamente più nulla. I capitalisti coraggiosi hanno venduto a multinazionali o hanno de localizzato le proprie imprese. La nostra rete commerciale è in mano a multinazionali. Che ci resta? Turismo e pastorizia? E come si regge un paese solo sul turismo? Qualcuno si ricorda che fine hanno fare alla Grecia? Del resto siamo un paese dove un paio di anni fa il presidente del Consiglio spiegò che elaborare un piano di sviluppo industriale per l’Italia non era compito del Governo, questa è la logica conseguenza.
Io resto convinto che alcuni settori siano strategici per un paese che vuole essere competitivo. Quelli bravi li chiamano asset. Letteralmente vuol dire “beni”. Trasporti e reti di comunicazione, l’industria pesante. E in questi settori ci deve essere la mano pubblica. Lo fanno i francesi a piene mani, con qualunque governo e nessuno pensa che siano dei pericolosi bolscevichi. In Italia no, siamo ancora vittime della balla anni ‘90° per cui privato è bello e il pubblico non funziona.
Ecco, io la vedo così: cambiamo rotta in fretta, magari proprio a partire da Alitalia. Non sta scritto da nessuna parte e soprattutto in nessuna regola europea (e chi ve lo racconta dice balle) che lo Stato non possa essere azionista di società private o proprietario di industrie. L’economia da noi riparte soltanto se riprendono gli investimenti. Così si creano i posti di lavoro, non eliminando i diritti. Le imprese assumono se hanno bisogno di produrre. E lo Stato può dare il primo segnale, ricominciando a investire nel futuro del Paese. Lo diceva Keynes, un liberale, non un pericoloso comunista.
Questa furia antipubblica ci ha portato a svendere il nostro paese. Abbiamo privatizzato anche l’acqua, ci manca solo l’aria, ma state sereni…
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