Il pippone del venerdì/12.
Berlusconi-Renzi, un patto che si può sconfiggere
Tutto fatto, dicono i giornali. C’è l’accordo fra Renzi e Berlusconi sulla reintroduzione di un sistema elettorale quasi proporzionale, simile a quanto pare al modello tedesco, ci sarà sicuramente qualche correttivo per non creare guerre in Parlamento, gli Alfano, i Verdini, dovranno pur essere rassicurati. Resta incerta solo la data del voto. Insieme alle elezioni in Germania, come vorrebbe il neo segretario del Pd, più avanti dice il leader della destra. Particolari, briciole, che non andranno a rompere un abbraccio che regge ormai da anni, al di là delle scaramucce.
Andiamo con ordine. Intanto: sarà proprio proporzionale? Evidentemente non del tutto, si parla di uno sbarramento al 5 per cento, molto alto per un sistema frammentato come quello italiano. Faccio un paragone con la prima repubblica. Elezioni del 1979: avremmo avuto solo quattro partiti in parlamento: Dc, Pci, Psi, Msi, che rappresentavano all’epoca circa l’83 per cento degli elettori. In più è facile immaginare una sorta di effetto taglia partiti: ci sarà il richiamo a non disperdere il voto, che, di fatto, tenderà a concentrare il voto degli elettori su quelle forze politiche che sono sicure del 5 per cento. In politica conta molto l’effetto psicologico, se vieni percepito come perdente hai già perso.
Quindi ci sarà intanto un effetto aggregativo, si formeranno liste composte da più partiti. Funzionano? Secondo me no, se l’elettore ha la sensazione (ancora una volta entra in campo la psicologia) che siano soltanto aggregazioni elettorali, tenute insieme dalla mera voglia di mantenere qualche seggio in Parlamento. Ma di questo parleremo dopo, torniamo al cuore del ragionamento.
Dunque avremo un sistema con due forze fra il 25 e il 30 per cento, Pd e M5s, altre due intorno al 10 forse 15 per cento, Forza Italia e Lega. Fanno un totale di voti fra il 70 e il 90 per cento dell’elettorato. Probabilmente attorno ai due poli moderati, Pd e Forza Italia, si aggregheranno parte degli attuali cespugli parlamentari, da Alfano a Verdini, alle sigle varie che si compongono e si scompongono dalla mattina alla sera. Chiederanno qualche posto in lista per garantire la propria sopravvivenza. In qualche caso anche la libertà personale dei condannati vari ai quali non si potrà far mancare la protezione del seggio.
Per comodità, ma non credo che il dato finale sarà molto diverso, assumiamo come vero il dato centrale della forchetta: dunque quattro forze politiche rappresenteranno circa l’80 per cento dell’elettorato. Come negli anni ’70 del secolo scorso, viene da dire. E una di loro, il M5s, viene percepita come antisistema dagli altri attori del sistema politico. Un po’ come avveniva con il Pci, in passato, anche se il paragone è ovviamente è forzato. Ma il ragionamento è consequenziale e la conclusione, per chi guarda alla realtà senza pregiudizi è inevitabile: il prossimo governo dovrà necessariamente essere caratterizzato da un patto di ferro fra Berlusconi e Renzi, più qualche acquisto post elettorale per arrivare ad avere una, sia pur risicata, maggioranza parlamentare.
Io credo sia questa una delle ragioni per cui Renzi vuole andare a votare insieme alla Germania, dove, con tutta probabilità avremo un risultato simile, come avviene da due legislature a questa parte nessuna delle due forze principali, i democristiani e i socialisti, avrà i voti necessari a governare da sola. Votare qualche mese dopo significherebbe ammettere esplicitamente di fronte all’elettorato italiano questa eventualità e questo, sempre per lo stesso effetto psicologico, potrebbe indebolire Pd e Forza Italia. Non dimentichiamo che si tratta di partiti che, nel recente passato, hanno convinto una fetta consistente del proprio elettorato proprio in ragione della reciproca contrapposizione. Meglio non rischiare dunque, non instillare ragioni di incertezza in un elettorato di per sé parecchio disorientato.
E allora, riassumiamo. Si approva questo benedetto modello simil tedesco, poi si va al voto. Secondo me alla fine l’avrà vinta Berlusconi. Sia il presidente della Repubblica che Confindustria hanno più volte fatto capire che sarebbe bene fare la legge di stabilità prima di andare alle urne. Altra cosa che Renzi vorrebbe evitare. Ma anche alzare l’Iva al 25 per cento, cosa che avverrebbe in virtù di quel marchingegno infernale di adeguamento automatico che scatta se non vengono rispettati determinati parametri economici, potrebbe non essere esattamente salutare per aumentare il proprio consenso elettorale. Comunque sia, si andrà alle urne. Il M5s sarà il primo partito – l’appello renziano al voto utile servirà a poco – Mattarella, dopo le consultazioni, affiderà a un grillino un incarico esplorativo, come si diceva un tempo. Durerà poco, non hanno la maggioranza e non sarà possibile un governo grillino, poi si arriverà alla ciccia. E sarà, con i numeri che ho provato a descrivere, necessariamente un governo di larghe intese. Ci prenderanno in giro con i soliti ragionamenti che ormai conosciamo a menadito: la responsabilità, i mercati, il rischio di speculazioni sui titoli di stato, la necessità urgente di riforme. Ci sarà la chiamata a tutti le persone “che hanno a cuore l’Italia”. Salviamo il paese dal rischio instabilità, serve un governo autorevole che ci rappresenti in Europa. Si sa, storia già vista.
E passeranno cinque anni così. Poi Berlusconi si ritirerà per limiti di età, si sarà garantito nel frattempo le sue aziende, uscirà di scena serenamente viene da dire. Il suo partito si dividerà e il Pd ingrosserà le proprie file con buona parte dei transfughi di quel campo. Avremo finalmente la nuova Democrazia cristiana di cui tanto sentiamo la mancanza. In questo tempo, siete avvertiti, ci saranno almeno una decina di ultimatum di Gianni Cuperlo, che poi, però troverà inevitabilmente un accordo con la sua nemesi Renzi.
Lo scenario è grigio, ne converrete con me. Resta però, quel campo, quel 20, forse 30 per cento di elettorato che non si riconosce negli attuali quattro partiti maggiori. Più una parte dell’elettorato grillino che vota 5 stelle per disperazione. E vista la situazione non bisogna neanche stupirsi troppo. Una cosa è certa, una sinistra frantumata fra quattro, cinque sigle, non ha alcuna possibilità di incidere su questo quadro. È destinata fatalmente ad un ruolo di testimonianza fuori dal parlamento o ad essere attratta dal partitone renziano del futuro coprendo il fianco sinistro dello schieramento.
E poi, diciamoci la verità: se si guarda al peso politico dei quattro, cinque partiti comunisti esistenti, di Sinistra italiana, Possibile, Articolo Uno, si capisce bene come l’esistenza di buona parte di queste forze ha come unico scopo quello di creare qualche carica inutile. Si ha come la sensazione che qualcuno fondi un partito solo per potersi fregiare del titolo di segretario nazionale. C’è un mondo fuori dalle nostre casette scalcinate. C’è un popolo che ci chiede di essere rappresentato. L’ho già detto e scritto e non mi stancherò di ripeterlo: bisogna superare i rispettivi egoismi, basta con i tatticismi, basta con le incertezze di qualche presunto leader, il cui unico consenso deriva dall’appoggio di qualche potente gruppo editoriale. E basta, mi dispiace dirlo ma tocca farsene una ragione, con la favoletta dei compagni che sono rimasti nel Pd e con cui bisogna comunque costruire un rapporto. Ora, se ancora non hanno capito cosa sta succedendo, vuol dire che sono rimasti nel Pd perché gli sta bene. Porte aperte quando decideranno cosa fare da grandi, ma per il momento stanno lì, sono avversari politici.
Ha ragione D’Alema. Posso dire con un certo compiacimento narcistico di averlo proposto due anni fa, ma ovviamente se lo dice lui ha un altro peso: basta con gli accordicchi dei gruppi dirigenti, lanciamo assemblee in ogni città, chiamiamola alleanza per il cambiamento, chiamiamola Giovanna, i nomi contano poco, servono i contenuti. Con Fondamenta, la settimana scorsa, Articolo Uno qualche paletto ha cominciato a metterlo. Ci sono elaborazioni interessanti di Sinistra Italiana, di Possibile. Ci sono le proposte di legge sui diritti dei lavoratori della Cgil. Ripartiamo da qui.
Insomma, andiamo oltre le nostre siglette. Chiamiamo i sindacati e diciamogli: ma a voi vi sta bene questa roba qui? O avete bisogno di costruire con noi un fronte progressista che possa difendere le istanze dei lavoratori? Chiamiamo l’associazionismo diffuso, il volontariato, chiamiamo quelli che sono tornati a casa negli anni scorsi. Chiamiamo quegli studenti che sono scesi in campo per difendere la costituzione. Chiamiamo quel pezzo di popolo che è convinto che la questione morale, il rispetto della legalità siano valori fondanti per uno Stato moderno. Casa per casa, quartiere per quartiere. Prenderemo il tre per cento come dicono i soloni della politica? Non lo so. Il nostro non è un lavoro che possa concludersi in qualche mese, anche in questo sto diventando ripetitivo, sarà l’età. Stiamo lavorando per non farci trovare impreparati dopo le elezioni. Per costruire un campo autonomo, non una stampelletta parlamentare destinata a estinguersi. Bisogna avere chiaro questo. E aprire anche gli occhi. Assemblee programmatiche in ogni quartiere, troviamo i candidati alle elezioni con le primarie, facciamo scegliere a quelli che non vogliono far carriera, non in qualche stanza chiusa, mettiamoci sempre uomini e donne pronti a una lunga traversata. Facciamo scendere in campo una nuova classe dirigente. Abbiamo sperimentato quelli fedeli che dicono sempre così, proviamo a mettere in campo persone libere. Così, non con aggregazioni mordi e fuggi, possiamo ricostruire la sinistra, il centrosinistra, chiamatelo come vi pare, va bene anche Giovanna. Torniamo a essere quelli che “noi veniamo da lontano e andiamo lontano”. Tre per cento? Echissenefrega.
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