Guida al Pd del X Municipio
cap. VI: i rutellidi
La tribù dei rutellidi era molto sviluppata a Roma, meno nel X Municipio, dove seppero però primeggiare nella pratica “facciamo a chi ce l’ha più lungo”. Pare fossero virtualmente superdotati. Ma non si hanno notizie su un’effettiva rispondenza alla realtà. Pare che la diffusione di questa tribù nel territorio dell’antica capitale d’Italia sia dovuta alla presenza del loro leader indiscusso, Francesco detto “Cicciobello” Rutelli, che avrebbe ricoperto posizioni di rilievo nel governo di Roma. Pare addirittura sia stato eletto sovrano per due periodi di seguito. Poi tentò l’avventura sulla scena politica nazionale, con scarso successo a dire il vero. Alla fine tentò di riconquistare il trono romano, ma fu clamorosamente battuto da tal Lupomanno, figura alquanto oscura dello schieramento opposto.
I rutellidi si radicarono profondamente non nel territorio romano, ma nelle cosiddette “poltrone”. La loro caratteristica principale, infatti, era quella di non partecipare mai alla normale attività del partito (che si svolgeva, vale la pena ricordarlo nei cosiddetti circoli territoriali). Comparivano soltanto all’atto di decidere qualche carica da assegnare, le cosiddette poltrone. Pare che i rutellidi, in questo simili ai francomorgiani, fossero abili nell’occupare ogni posto libero. La politica, infatti, in questo scorcio di inizio millennio, veniva intesa non tanto nel senso moderno di progettazione del futuro, quanto in quello di occupazione di ogni settore dell’amministrazione. Nel Pd, come abbiamo già accennato questo veniva risolto con la pratica del bilancio e con quella della quadra. Il “ce l’ho più lungo” era invece la tattica adottata dai rutellidi nel raggiungere la quadra. Sembra che la tattica bellica fosse questa: facevano circolare la voce di essere superdotati e poi durante le trattative al grido di “allora lo mettiamo sul tavolo” riuscivano ad ottenere un discreto numero di postazioni da cui osservare e gestire.
Questa tribù, in realtà, era molto una sorta di confederazione di tribù diverse. Mentre nelle altre correnti, infatti, le famiglie concorrevano al governo della tribù, fra i seguaci di Cicciobello, al contrario, ciascun leader aveva la sua componente autonoma. Questo deriva dall’estrema eterogeneità dei rutellidi: parte veniva dai democristiani doc, parte da antiche formazioni di estrema sinistra, altri ancora si dichiarava orgogliosamente “radicali”, altra formazione della cosiddetta “Prima Repubblica”.
Impossibile, dunque, trovare punti programmatici di contatto, che non fossero legati a obiettivi concreti e a brevissimo termine.
Nel X Municipio, leader indiscussi e molto popolari nella saggistica dell’epoca furono i gemelli “Dinoi”, maschio e femmina. Secondo alcuni storici non si trattava di fratelli ma di moglie e marito. Ma pare sia una tesi da scartare, vista la completa sudditanza del gemello femmina, rispetto all’esemplare di specie maschile. In questa tribù, infatti, salvo rare eccezioni di cui poi diremo, era schiacciante la supremazia di quello che all’epoca veniva chiamato sesso forte, se non altro per ragioni meramente anatomiche.
Il “Dinoi” maschio aveva, a quanto raccontano diverse fonti dell’epoca raccolte sull’antica rete internet, origini fra i democristiani doc, dal quale si allontanò per diventare il capofila locale dei ruttelidi. Fedelissimo del sovrano Francesco detto Cicciobello, seguì abilmente le peripezie della tribù romana, schierandosi sempre con la fazione vincente. E così, nell’epoca detta “botanica”, in cui la maggior parte delle formazioni politiche adottarono stemmi che si rifacevano a fiori ed alberi fu fedelissimo dei vari responsabili romani del partito detto “la Margherita”, composizione floreale che rende benissimo l’idea dell’insieme di petali diversi l’uno dall’altro.
All’interno del Pd cercò dapprima un’alleanza con i veltroniani, poi giudicò più forti i talebani e gli ubiqui e, forte della sua esperienza da democristiano doc, pensò di poterli dominare a piacimento. Partecipò in prima persona alla pratica della campagna elettorale, usando il suo famoso grido di guerra “Uno Dinoi”, che giocava sul nome della famiglia. Pare che in realtà il piano non abbia ottenuto un gran successo, neanche nella spartizione delle cariche, che furono appannaggio dei francomorgiani.
Alla famiglia dei “Dinoi”, appartenevano anche altre curiose specie, come la famiglia della “chiappetta” e quella degli “ingrassini”. Furono incaricati di ampliare l’influenza della specie, spostandosi dalla zona detta “Cinecittà Est”, luogo natale dei rutelliani del X Municipio, verso le zone di Morena e di Capannelle. Nel primo caso, le condizioni avverse del tempo non giovarono a quello che abbiamo già descritto come il “circolo balneare”, nel secondo caso incontrarono la ferma opposizione dei lucidi, come abbiamo già ampiamente descritto nel capitolo dedicato ai “capannellidi”.
Altra specie autonoma che si mosse nella zona dei capannellidi, fu quella dei “mazzitellidi”. Originata dai democristiani doc, nella seconda generazione si spostò verso il rutellidi. Pare avesse inizialmente manifestato l’intenzione di rompere con la tradizione della tribù e di partecipare alle pratiche tipiche di un partito. Ma dopo l’iniziale entusiasmo, delusa anche lei dall’andamento delle elezioni, si ritirò, in attesa della successiva attribuzione delle poltrone.
Infine nella zona di Cinecittà” agivano i “pizzutelli” e i “ruggieresi”, anche queste due specie a lungo presenti nella storia politica locale. Soprattutto i primi furono soggetti a repentini cambiamenti di fronte. Tutto sommato si integrarono bene con i “marcianensi”, ala veltroniana che dominava quest’area, dimostrarono uno spirito di adattamento non presente in altre famiglie della stessa tribù. Il loro radicamento sul territorio dei marcianensi veniva da molto lontano. Cresciuti nell’area denominata San Gabriele, dal nome di un sito dedicato alla preghiera,di cui però non restano altre tracce se non un’immenso scavo, legarono il loro destino politico alle scelte dei fedeli del luogo e si prodigarono nell’erogazione di servizi di più vario genere allora conosciuti come “730, Visure, REC ecc ecc.
Del tutto simili, nelle pratiche di avvicinamento al popolo elettorale, ai marcianensi si ritiene che la loro estinzione sia stata determinata dalla loro infaticabilità. Infatti si prodigarono tanto e così a lungo nella risoluzione dei problemi del popolo elettore che alla fine li risolsero tutti e la loro ragion d’essere venne meno.
I ruggieresi, altrimenti appelati con il termine cavalieri, pare avessero una congregazione a parte stanziata dai tempi dei tempi sull’antico sito denominato Oratorio Don Bosco. Il loro motto era “Facciamo il Cha Cha Cha” ad indicare un movimento continuo del corpo, probabilmente elettorale, per scongiurare la staticità del Pd. Eleganti seduttori stabilivano durature alleanze politiche attraverso la pratica del fidanzamento in cui erano signori indiscussi. Lavorarono a lungo alla realizzazione di un fantomatico progetto proposto dal capo Francesco Cicciobello all’inizio del suo primo regno cioè “Roma Capitale”. Si racconta che la feroce offensiva lanciata dal cavaliere mascarato, acerrimo nemico dei ruggeresi, e poi da Lupomanno su Roma Capitale contribuì al crollo del faraonico progetto e i cavalieri ruggeresi si immolarono tutti nella difesa della santa causa.
Nell’insieme la tribù dei rutellidi, ondeggiando tra veltroniani e francomorgiani, sopravvisse molti e molti anni nelle aree del X Municipio. Si ritiene che dopo una rivolta cittadina degli iscritti al Pd, rimasta negli annali come la rivolta degli autoconvocati, i rutellidi preferirono ritirarsi nel dubbio che gli venisse chiesta la misurazione delle parti di cui sopra.
Da allora se ne sono perse le tracce, ma nuovi studi ci indicano la possibilità che siano sopravvissuti senza integrarsi, rifugiandosi in luoghi sicuri posti al di sotto della superficie costruiti dai francomorgiani per la difesa e la ritirata, all’epoca conosciuti con il nome di Pup.
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