Appunti per il governo
del Lazio

Ott 26, 2012 by     4 Comments    Posted under: appunti per il futuro, dituttounpo', il pd






Un mio piccolo contributo all’elaborazione del programma per le prossime elezioni regionali. Non si tratta ovviamente, di un ragionamento articolato e complessivo, ma di alcuni spunti, secondo me essenziali, per governare davvero e non tirare a campare.

LAVORO
Secondo gli ultimi dati di Unindustria nel Lazio ci sono 251mila disoccupati, in forte aumento, il 39.4 per cento rispetto a un anno fa. Una valanga. Se si legge l’indagine congiunturale sulle piccole imprese che ha presentato di recente Cna, si nota, inoltre, come la maggioranza degli imprenditori (oltre il 57 per cento) è convinta che l’apice della crisi debba ancora arrivare. Meno di un quinto degli intervistati, infine, si dice disposto ad effettuare investimenti nel prossimo anno.

Se tutto questo è sicuramente effetto della crisi internazionale, bisogna dire che nel Lazio si somma anche la cura Polverini: bloccati gli investimenti, paralizzato il sistema di formazione professionale, unica iniziativa, peraltro già avviata dalla giunta Marrazzo, l’utilizzo dei Fondo sociale europeo per erogare Cassa integrazione. Iniziativa che, se da un lato dà un po’ di respiro a migliaia di famiglie in difficoltà, puzza di assistenzialismo se non è strettamente legate a politiche attive per il reinserimento nel mondo del lavoro.

Ci sono situazioni di crisi eccezionale: da quelle storiche (Distretto della ceramica di Civita Castellana, Videocon di Frosinone), caratterizzate da imprese che non reggono più il passo della concorrenza, a quelle recenti, basta pensare alla situazione di Cinecittà. Altra nota dolente è la situazione dei cassintegrati di Alitalia: dal 14 ottobre 4000 di loro sono in mobilità: si parla tanto di Fiat, ecco è come se chiudesse uno degli stabilimenti della Fiat.

L’unico distretto industriale vero, di grandi dimensioni, nel Lazio, resta quello di Castel Romano: ma anche qui la progressiva terziarizzazione sta trasformando un’area caratterizzata da insediamenti produttivi di grande valore (basti pensare al polo farmaceutico) nell’ennesima zona commerciale. Con l’apertura del parco giochi nella ex Dinocittà questa tendenza sarà ulteriormente accelerata.

Posto che nessuno ha la bacchetta magica, la Regione ha i poteri per mettere in campo politiche anticicliche e per attrarre nuovi investimenti. Ma per essere concorrenziali non basta, anzi è controproducente, la vecchia politica degli investimenti a pioggia. Perché si tengono in vita artificialmente aziende decotte invece di indirizzare energie e investimenti sulle tante eccellenze che ancora abbiamo. E questo è vero in tutti i settori: dalle nuove tecnologie all’agricoltura.

Bisogna rendere concorrenziale il Lazio dal punto di vista fiscale (siamo la Regione con le addizionali più alte d’Italia), dal punto di vista delle infrastrutture: basti pensare che l’ultimo progetto organico risale alla giunta Badaloni (1995-2000). Bisognerebbe anche mettere da parte la politica delle grandi opere, spesso inutili e dannose dal punto di vista ambientale, anche assumendo posizioni “forti”. Siamo convinti ad esempio che l’autostrada Roma-Latina serva davvero oppure sarebbe sufficiente mettere in sicurezza la Pontina, trasformandola in arteria moderna? Completare il collegamento trasversale con l’Adriatico e con il polo di Terni, per dare ulteriore linfa al porto di Civitavecchia: mancano sei chilometri per completare la Civitavecchia-Orte. Possibile che in trent’anni non si sia riusciti a completare una infrastruttura davvero strategica.  Il porto di Civitavecchia è oggi il secondo scalo crocieristico in Italia, uno dei primo cinque in Europa. Ci sono oltre 600 milioni di euro per potenziare la sua vocazione, realizzando un grande hub per le merci. Cosa si aspetta a dire a Trenitalia che la linea Civitavecchia-Capranica-Orte è essenziale, che i loro conti sono sbagliati e che, cari manager, vi diciamo noi cosa dovete fare?

Investire sul turismo, ancora troppo concentrato sulla Capitale e ancora troppo “mordi e fuggi”. Puntare sui distretti industriali innovativi (comunicazioni, audiovisivo). Sono soltanto i titoli, come è ovvio, per ricostruire una politica industriale di largo respiro nella Regione.

SANITA’
La Giunta Marrazzo non ha portato a compimento la riorganizzazione della rete ospedaliera. Abbiamo rimesso in ordine i conti, coperto il “buco” trovato a inizio legislatura. Ma il sistema continua a produrre deficit (oltre un miliardo e 200 milioni l’anno, nel periodo governato dal centro sinistra) e non basta lasciare i conti in ordine trovando, sempre più a fatica, le risorse per coprire quel disavanzo. La giunta Polverini, malgrado le sparate della governatrice, ha trovato risolta la parte “A” del problema: non c’era una lira di disavanzo lasciato scoperto, e non è riuscita a trovare la soluzione per la parte “B”, ovvero come evitare di generare nuovi debiti, salvaguardando il diritto alla salute del cittadino. I tagli decisi dalla destra hanno riguardato sostanzialmente le Province, aumentando quel gap fra territori del Lazio e Capitale che era già uno dei mali della nostra Regione. I tagli inoltre hanno riguardato in pratica solo il settore pubblico. In una Regione dove i posti letto privati accreditati sono quasi il 60 per cento del totale non si può intervenire solo sul 40 per cento della spesa. Perché in questa maniera si ottiene un sistema più ingiusto, meno efficiente e comunque sbilanciato. Il disavanzo, infatti,  rimane intorno agli 800 milioni di euro l’anno. E le prestazioni hanno perso qualità. Modernizzare la sanità vuol dire investire sul territorio più che sugli ospedali. Vuol dire chiudere i vecchi ospedaletti di Provincia che non garantiscono livelli di assistenza adeguati, creando moderni policlinici. E’ una politica di lungo periodo e impopolare, ma che, nel lungo periodo appunto, crea un sistema in equilibrio e un servizio sanitario efficiente. Basta guardare alla Toscana dove questo processo è durato più legislature, e dove adesso, per coprire i tagli ai fondi che avvengono di anno in anno, si possono permettere un sistema di ticket progressivo che garantisce i più deboli e prevede una forte compartecipazione alle spese di chi se la può permettere.

URBANISTICA
Invece di proseguire nel lavoro di riordino delle norme iniziato con la giunta Marrazzo (vedi legge Pompili su delega poteri di controllo alle Province), di lavorare alla semplificazione, con la destra al governo, abbiamo assistito a una deregulation mascherata sotto il nome di Piano Casa. Un piano che, in realtà, neanche ha più gli aspetti populistici della vecchia proposta di Berlusconi (una stanza in più per tutti) ma che ha rappresentato una serie impressionante di “sospensioni della legalità”: viene messa a rischio tutta la catena di controlli sul territorio, vengono derogati gli strumenti urbanistici ordinari, per dare il via libera indiscriminato a cambi di destinazione d’uso degli immobili, invasione delle aree protette, interventi di demolizione e ricostruzione con premi di cubatura allucinanti. Per non parlare della densificazione delle zone già costruite con la scusa dell’housing sociale. Il centro sinistra deve assumere due impegni chiari: abrograre il Piano casa di Ciocchetti, una rivisitazione complessiva della normativa, che deve essere resa semplice e comprensibile. In  maniera da creare un sistema di certezze, in cui tutti, compresi gli imprenditori, siano più garantiti.

CASA
Diciamo subito che da 30 anni nel Lazio non si costruiscono più case popolari. Si è preferito procedere con l’edilizia agevolata, le cosiddette 167 in particolare, privilegiando la proprietà dell’abitazione rispetto al mercato dell’affitto. Un mercato che, con le vendite delle case degli enti, nel Lazio è diventato pressoché nullo. Prezzi alle stelle, dunque, con la conseguenza che l’emergenza casa non riguarda più soltanto chi rientra nei canoni delle case popolari, ma anche quel ceto medio che non trova più case a prezzi accessibili. Dunque serve un doppio livello di intervento: il primo sull’edilizia popolare classica, il secondo sul mercato vero e proprio, immettendo case a canone agevolato, in maniera da svolgere quella positiva funzione di soggetto calmieratore di cui, negli altri paese europei, lo Stato si fa carico. Una politica degli affitti ha inoltre una funzione ambientale, permettendo di avvicinare casa e luogo di lavoro, una funzione sociale, perché si metterebbero in campo strumenti per contrastare il progressivo spopolamento del centro storico di Roma e l’emigrazione verso i comuni della fascia metropolitana.

MOBILITA’
Come già accennato parlando di lavoro, i due anni e mezzo della giunta Polverini saranno ricordati per il blocco totale degli investimenti, sia per quanto riguarda le strade, che per quanto riguardo il trasporto pubblico locale. C’è un nodo fondamentale da sciogliere: va semplificata la gestione del tpl, attualmente in mano a troppi soggetti che agiscono in maniera del tutto scoordinata. Bisogna scegliere innanzitutto quale sia il livello di gestione (area metropolitana, regione, singoli comuni) e progettare la modalità pensando all’interconnessione dei diversi sistemi. Bisogna pensare ad incentivare la mobilità sostenibile, favorire il trasporto collettivo e penalizzare l’utilizzo delle auto private. Pensare, insomma, a un sistema, in cui lasciare la macchina e utilizzare il mezzo pubblico sia davvero un diritto. Del resto viviamo una Regione caratterizzata da fortissimi flussi di pendolari verso la Capitale (circa 500mila persone ogni giorno). Non pensare a un sistema di mobilità integrato vuol dire ridurre la concorrenzialità delle imprese, ma vuol dire anche peggiorare drasticamente la qualità della vita dei cittadini. Io credo che questo possa essere uno dei compiti da gestire a livello regionale: non gestire direttamente il tpl, ma gestire in maniera centralizzata e coordinata con gli enti locali, la programmazione degli interventi e lo sviluppo della rete.

RIFIUTI
Il fallimento di Polverini e Alemanno è sotto gli occhi di tutti. Ma è anche il fallimento nostro, abbiamo deciso di non scegliere quando potevamo farlo, preferendo tirare a campare sulla discarica di Malagrotta, che ci ha garantito per decenni costi bassi. Non abbiamo calcolato il costo ambientale altissimo del ritardo in cui ci troviamo e che dovremo pagare per i prossimi decenni. Differenziata, politica industriale dei rifiuti, educazione ambientale, riduzione della produzione stessa dei rifiuti. Tutti temi che in Regione sono stati sfiorati dal piano rifiuti di Marrazzo (mai approvato) e cancellati dall’agenda Polverini Alemanno. Roma produce circa la metà dei rifiuti di tutto il Lazio. Per questo la politica positiva avviata dalla Provincia, che ha portato la differenziata a circa un milione di abitanti, rischia di essere inutile se non si crea, anche in questo caso un livello di gestione più grande.
LA RETE DELLA CONOSCENZA
La nostra è una Regione che ha straordinarie potenzialità se riesce a mettere in rete tutte le eccellenze che ha dal punto di vista della ricerca, della conoscenza, della cultura. Nel Lazio hanno sede i centri di ricerca, le università, i centri studi più importanti del nostro Paese. Si tratta di fare rete, è forse l’investimento “infrastrutturale” più importante che non abbiamo avuto la capacità di costruire. E si tratta di mettere in campo le risorse necessarie per fare crescere questa nostra ricchezza, per attirare e non far fuggire i cervelli.

 

ISTITUZIONI
Gli ultimi scandali che hanno attraversato il Lazio mettono in evidenza come la Regione sia il grande malato del nostro sistema istituzionale. Enti che con la riforma del titolo V hanno assunto poteri enormi. E che con il governo della destra sono addirittura aumentati, accentrando competenze che dovrebbe essere delegate a Comuni e Province, restituendo alla Regione il suo vero ruolo, quello di ente legislativo e di programmazione. E’ essenziale riequilibrare il rapporto fra Giunta e Consiglio regionale, attualmente troppo sbilanciato, bisogna rivedere drasticamente la catena decisionale. Eliminare i troppi livelli di governo del territorio (comunità montane, consorzi di bonifica, università agrarie, enti parco ecc. ecc.). Bisogna inoltre considerare le conseguenze della costituzione dell’area metropolitana di Roma: senza un riequilibrio dei poteri delle province si rischia di aumentare ulteriormente quella frattura fra la Capitale e il resto della Regione che è una delle cause della nostra crisi. Senza interventi correttivi alla sciagurata finta riforma del sovrastimato governo dei tecnici avremo una area metropolitana di Roma e una Regione contrapposte, con le province residue a far da contorno.

Occorre, infine, una nuova legge elettorale regionale, eliminando le preferenze, eliminando quel sistema che, a partire da campagne elettorali costosissime, costituisce una sorta di brodo di cultura per clientele e corruzione. Io sono per i collegi uninominali a doppio turno, a tutti i livelli, garantendo il cosiddetto “diritto di tribuna” ai partiti minori. Ciascun sesso non può superare il cinquanta per cento dei candidati. E’ un sistema semplice e comprensibile, che garantisce la stabilità delle maggioranze, senza soffocare il diritto dei cittadini a scegliere il candidato. Collegi piccoli riducono i costi della campagna elettorale e garantiscono il controllo da parte degli elettori sull’operato degli amministratori. Controllo che va agevolato, mettendo on line non solo l’anagrafe degli eletti, con patrimoni e dichiarazione dei redditi, ma anche l’anagrafe di quello che fanno. Per me l’onestà di chi mi rappresenta è una sorta di minimo sindacale: voglio anche sapere in tempo reale cosa fa nelle istituzioni. Credo che questo debba essere un impegno prioritario per il Pd, a tutti i livelli istituzionali.

ORGANIZZAZIONE REGIONALE
La Regione ha attualmente una miriade di enti, agenzie, società, osservatori, consulte. Molti dei quali non solo inutili, ma anche dannosi. Perché creano centri di comando che si sovrappongono, competenze che si intrecciano. Provocatoriamente si può dire che servirebbe una legge che all’articolo 1 dichiarasse aboliti tutti questi enti, società ecc. E dall’articolo 2 in poi riorganizzasse in maniera trasparente e funzionale, la “macchina”. Sostituire i Cda con amministratori unici, ridurre gli stipendi di manager e dirigenti, internalizzare nuovamente funzioni attribuite a società esterne con il solo scopo di evitare concorsi e bandi.
Per quanto riguarda, infine, il Consiglio regionale, dobbiamo far dimagrire le strutture a disposizione della politica, dai gruppi consiliari all’ufficio di presidenza, creando servizi “istituzionali” efficienti e indipendenti dalla politica stessa. Solo un esempio tanto per essere concreti: alla Camera una legge che non ha il “visto” dell’ufficio legislativo, viene immediatamente corretta. In Regione va avanti, fino a quando il governo la impugna, accrescendo ulteriormente il contenzioso.








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  • “…Modernizzare la sanità vuol dire investire sul territorio più che sugli ospedali. Vuol dire chiudere i vecchi ospedaletti di Provincia che non garantiscono livelli di assistenza adeguati, creando moderni policlinici.”

    Ritengo che una più (semplice) revisione dell’esistente, con una diversa “territorializzazione” rappresenti un percorso di percorribilità, francamente più immediato rispetto alla creazione di nuove “cattedrali”; tra l’altro alcuni “ospedaletti” sono stati dotati nel corso degli anni di locali e logistica sufficienti a garantire una più che sufficiente risposta alle esigenze del territorio. Semmai io mutuerei (anche) esperienze vissute in altre realtà, laddove cioè si è “pezzata” l’offerta e si è accolta la domanda di salute secondo specialità. Per la devoluzione delle competenze sanitarie ai Comuni, come scriveva Zingaretti recentemente, io sarei cauto. Possibilista, certo, ma cauto. Devolvere materia sanitaria postula identificazione di risorse, economiche, umane, produttive. Devolvere, poi, non deve coniugarsi con “campanilerie” pur presenti…
    Un saluto.
    Giuseppe

    • penso che anche il problema della sanità vada affrontato da un punto diverso. Per cominciare vedere di eliminare il malcostume; è inutile investire se non si vanno a correggere tali comportamenti perchè non si fa altro che aumentare il bacino di sprechi e ruberie. Costi standard per tutte le strutture sanitarie pubbliche per eliminare corruzione e tangenti, controllo di gestione con la contabilità analitica e monitoraggio permanente dei processi ottimizzati e di ogni loro fase quindi solo dopo nuovi investimenti.

      Una formuletta facile a dirsi per chi ha una base di economia, ma molto diffiicile da far capire agli attuali politici!!!!!

  • Manca la professionalità a chi dovrebbe occuparsi di questi problemi!!!! non finirò mai di dirlo. Al governo delle istituzioni del paese ci sono incompetenti!!! ora finalmente lo dice anche il Presidente dei giovani imprenditori, ma non basta!!! bisogna candidare solo persone che sanno disegnare i processi produttivi per poter ottimizzare quelli esistenti e crearne di nuovi più efficaci. Bisogna dire basta all'onnipotenza di chi pensa di potersela cavare con quattro cosette per mantenere o conquistare la poltrona.

  • … non è un "piccolo contributo" come dici, ritengo che sia un'ottimo "manifesto", una base seria su cui lavorare… E qui si pone, però, il "problema delle risorse unane" perché non vedo "troppe" persone impegnate nella gestione della "cosa pubblica", con le capacità di sviluppare e rendere esecutivo questo tuo "contributo", non solo condivisibile, ma anche moderno e ambizioso. Per cui la prima cosa da fare sarebbe "riporre nell'armadio" gli incompetenti e comporre "un tavolo" con persone che abbiano le idonee capacità… comunque bravo!…

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