Appunti per il futuro: la questione della casa
L’urbanistica è da sempre una materia calda a Roma. Nel X Municipio, ormai, se ne discute al bar insieme agli acquisti della Roma e della Lazio.
Il piano regolatore approvato dalla giunta Veltroni prevede un netto ridimensionamento rispetto al precedente strumento urbanistico, prevede norme precise sulla mobilità, prevede strumenti innovativi rispetto al passato, in particolare le cosiddette centralità. Pensate come aggregati urbani, fatti soprattutto di servizi, per garantire gli standard urbanistici a quei territori che non li raggiungono.
Partiamo dall’inizio: Sull’urbanistica va fatta una premessa d’obbligo: senza una legge nazionale sull’uso dei suoli che attenui la proprietà privata e metta al centro i diritti della collettività rispetto agli interessi del singolo costruttore, senza questa riforma radicale, governare Roma è un’impresa molto complessa. Basta leggere la recente sentenza della Cassazione che ha stabilito che il prezzo di esproprio per i terreni su cui sono state edificate le 167 non può essere il prezzo medio di mercato, ma quello più alto, per capire quanto sia complesso attuare manovre di argine alla speculazione.
Per di più il piano regolatore sta mostrando oggi tutte le sue fragilità: le centralità non partono, con il combinato disposto del piano casa regionale e della giunta Alemanno è partito un nuovo attacco violento all’agro romano. Se si fanno le somme fra quanto previsto dal Prg, quello che prevede il piano casa, le densificazioni delle 167 e la manovra sul cosiddetto housing sociale, le previsioni di nuove costruzioni tornano molto vicine a quelle del prg del ‘62. Un assurdo se si pensa che la nostra città continua a perdere migliaia di residenti ogni anno.
Io credo che si debba prendere atto dei punti critici del nuovo piano regolatore, dobbiamo rivederlo integrandolo con una nuova politica della casa.
Parto proprio da qui perché mi sembra il tema più caldo. Con il centro sinistra al governo della Regione, era il 2009, per la prima volta si era tornati a ragionare in termini strutturali: prevedendo un finanziamento certo di cento milioni di euro l’anno. Da allora non sono stati mai impiegati. Manco un euro. La destra che governa attualmente sostiene che quei soldi in bilancio ci sono. E quindi, nel Lazio, abbiamo le risorse cper costruire case pubbliche (300 milioni non saranno tantissimi, ma neanche pochi). Se calcoliamo in 200mila euro il prezzo di un alloggio (il costo è ovviamente minore se lo costruiamo, ma mi voglio tenere largo) insomma, in questi anni avremmo potuto avere 1.500 nuove case pubbliche. Se a questo sommiamo i piano di vendita dell’Ater, la cifra a disposizione potrebbe anche aumentare. Non basta per risolvere l’emergenza, ma, insomma, almeno alleviarla. Non si usano perché i Comuni, Roma, in particolare, dice di non avere le aree a disposizione. Falso, come dimostra il regalo di ampi terreni edificabili ai privati per realizzare la metro. E’ che la destra si è messa in testa questa presa in giro dell’housing sociale (Qui trovate un articolo di Giovanni Carapella che spiega tutto molto chiaramente. Qui invece un dettagliato comunicato stampa di Legambiente più specifico sul nostro territorio). In pratica si regalano circa 20milioni di metri cubi a costruttori privati per realizzare case con canone di affitto concordato. Non case popolari, si badi bene, ma destinate a quel ceto medio espulso dal mercato degli affitti grazie alla vendita delle case degli enti (altra cazzata che abbiamo fatto per fare cassa).
Che questo sia uno dei corni roventi del problema è indubbio: come ridare fiato a quel mercato degli affitti massacrato dai provvedimenti degli ultimi 20 anni e definitivamente ucciso dalla mancata costruzione di case pubbliche e dalla privatizzazione del patrimonio degli enti previdenziali. Io credo che, però, la soluzione sia differente dal consumo di nuovo territorio. E sta, in particolare, in quei 200mila e rotti appartamenti sfitti che si stima sia presenti a Roma. Sta qui perché a fronte di una liquidità certa della Regione, comprarli e rimetterli sul mercato con canoni accessibili sarebbe non solo più semplice e meno invasivo, ma sicuramente anche più rapido. Che l’Ater possa intervenire in questo senso lo dice la legge. Non si fa perché Alemanno e Polverini devono pagare le loro cambiali elettorali passate e future.
Sarebbe tra l’altro una grande operazione sociale, urbanistica e di rilancio dell’economia. Perché questi appartamenti non si trovano tutti in periferia e quindi si potrebbe riportare “popolo” nel cuore della città, perché non si consuma territorio e perché si potrebbe comprare parte di quell’invenduto che lamentano i costruttori, ridando fiato all’edilizia, strozzata dalla crisi.
Questo si può fare subito, vorrei ribadirlo. E si potrebbe anche avviare, attraverso l’iniezione di risorse fresche, quel grande piano di riqualificazione urbana di cui ha bisogno la nostra città.
Se mi dovessero chiedere un slogan su queste materie io direi “Si alle case, no al cemento”. Sembra un paradosso, ma non è solo possibile, va fatto per non distruggere ancora questa nostra città.
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