Il coronavirus ci ha portato oltre la crisi di nervi.
il #pippone del venerdì/131
Ho scelto di aprire questo pippone con l’immagine dei deputati alla Camera (non so chi siano) con le mascherine perché mi sembrano emblematiche di un paese che ormai è andato oltre la crisi di nervi. È il risultato non tanto del coronavirus in sé, ma allo stesso tempo dei guasti provocati da questi anni di diffusione di odio e pregiudizi a pieni mani e di una gestione della crisi che, a essere buoni, lascia perplessi.
Permettetemi, intanto, una nota sarcastica: l’immagine degli italiani respinti alle frontiere fa sorridere. Quella dei vacanzieri rispediti indietro dalle Mauritius anche di più. Fino a poche settimane fa eravamo pronti a bloccare per mesi in mare qualche centinaio di disperati perché “portavano malattie”, ora gli stessi soloni di prima si indignano perché qualche decina di nostri connazionali sono stati fatti risalire in fretta e furia sull’aereo e sono stati rimandati a casa. Perché, appunto “portano malattie”. Ci hanno trattato come pacchi postali, tuonano oggi gli stessi che fino a ieri sostenevano che i porti andavano chiusi.
E’ una specie di legge del contrappasso che dovrebbe farci capire come, soprattutto nell’era della globalizzazione, la solidarietà dovrebbe essere un obbligo. E come chiudere le frontiere sia un’illusione che può andar bene per prendere qualche voto in più, ma alla fine sempre un’illusione resta. Viviamo in un mondo interconnesso, dove se starnutisci in Cina ti prendi il coronavirus a Codogno. Facciamocene una ragione e cerchiamo di essere meno provinciali. Valga come monito per il futuro.
Il coronavirus sfata anche una leggenda: quella dell’Italia che nelle emergenze dà il meglio di sé. In questo caso è avvenuto l’esatto contrario: la drammatizzazione iniziale dell’epidemia ha prodotto un’ondata di panico insensato e dannoso, amplificato ad arte da quei giornali che prima hanno fatto il conteggio in diretta del numero dei contagiati e poi si sono affrettati a dire che in fondo è poco più di un’influenza.
Al corto circuito mediatico ha dato fiato una reazione scomposta da parte di una classe dirigente che si è dimostrata nel suo complesso inadeguata. Chi chiude i musei, chi si rintana in casa, chi chiude le scuole senza avere neanche un caso di contagio, bloccate anche le gite scolastiche all’estero non si capisce bene per quale motivo. La famosa Italia dei mille comuni ha dimostrato la sua fragilità. Si sa, che i sistemi democratici affrontano le crisi con grandi difficoltà rispetto alle dittature. Si studia sui libri di scienza della politica. Ma nelle crisi le grandi democrazie si compattano, lasciano da parte le polemiche e si mettono a lavorare senza guardare alle distinzioni politiche. Da noi ci si divide ancora di più, mostrando tutti i guasti prodotti dal regionalismo di fine secolo. Venti sistemi sanitari non funzionano in tempo di pace, figuriamoci nelle emergenze.
Noi no, insomma. Non si è mai visto un presidente del Consiglio che va a accusare gli operatori sanitari, quelli esposti in prima linea, durante un’emergenza sanitaria. Non si è mai visto un presidente di Regione che prima accetta le misure disposte dal governo e poi fa di testa sua. In piena crisi non abbiamo trovato di meglio che combattere a colpi di ricorsi al Tar.
In tutto questo poco ha potuto un ottimo ministro della Salute come Roberto Speranza, che fin dalla sua presenza fisica si dimostra uno dei pochi ad avere la testa sulle spalle. Ha il fisico del bravo ragazzo, un’aria rassicurante e pacata: due ottimi in gradienti per evitare che si scateni il panico. Ci ha provato, lavorando giorno e notte, ma alla fine, si sa, in questo Paese emerge chi fa la voce grossa, non chi lavora e parla pacatamente.
Ci mancavano gli avvoltoi che si sono avventati sul governo pronti a spartirsene le spoglie. Salvini che si dice pronto a un esecutivo di emergenza nazionale. Renzi che gli dà di spalla, salvo poi andare in tv con la faccia seria (che poi proprio non gli riesce) a dire che adesso si lavora uniti, del futuro della maggioranza si parlerà poi. Poche ore prima si messaggiava con il presidente della Regione Lombardia per esprimergli la sua solidarietà contro Conte.
Nel mezzo del dramma, creato in primo luogo da tutta questa confusione, è arrivato il dietrofront, dicevamo. Qualcuno deve essersi reso conto che un’altra settimana a conteggiare i contagiati e della nostra economia sarebbero rimaste poche briciole. Turismo a Roma a quota meno 90 per cento, solo per dare un dato. I mercati si sono incazzati e allora tutti in televisione a minimizzare, a dire che in fondo si guarisce, muoiono soltanto anziani e persone con altre patologie. Basta lavarsi le mani con il sapone e stare sereni.
Mi è sembrato un po’ come voler rimettere il dentifricio nel tubetto spremuto a fondo. Perché fino a poche ore prima impazzavano i Burioni di turno a dire: tappatevi in casa, disinfettate tutto. E fino a poche ore prima giravano immagini come questa dei due deputati alla Camera con la mascherina.
Contenti di tutto questo solo i produttori di Amuchina e roba del genere. E ora che si fa? Attendiamo l’estate, magari passa da solo. Tanto il campionato di calcio va avanti, prima o poi la gente penserà ad altro. Resto con un forte senso di nausea. Ma non temete, credo sia soltanto una reazione psicosomatica.
Renzi, il nostro mal di testa quotidiano.
Il pippone del venerdì/130
Ho resistito a lungo alla tentazione di parlare dell’attualità politica (se di politica si può parlare), ma alla fine cedo. Anche per rivendicare, ormai alcuni mesi fa, di aver definito l’ex segreterio del Pd un “Bertinotti moderato”. Affermazione che mi ha provocato una marea di critiche dalla presunta sinistra, ma che vedo essere entrata oggi nel lessico quotidiano di molti autorevoli commentatori. Come dire, ogni tanto ci azzecco anche io, fosse pure per sbaglio.
Quello che sta succedendo, torniamo alle cose di oggi, è divertente quanto una sfilza ininterrotta di calci nelle parti basse. E il solo leggere la rassegna stampa ogni mattina – cosa che, purtroppo, mi tocca per doveri d’ufficio – mi provoca un forte giramento delle stesse parti, con conseguente mal di testa che si palesa arrivati a pagina 5 dei principali quotidiani nazionali. Esaurite, cioè, le sfilze infinite di articolesse su retroscena, presunti responsabili che in cambio del mantenimento della poltrona sono disposti a tutto, battute e controbattute.
Ora, tutta questa roba ha l’unico scopo di riempire qualche pagina, tanto, si sa, i quotidiani dopo poche ore sono buoni soltanto a incartare le uova. Se sono online manco per questo nobile utilizzo. Di quello che succede davvero nel Paese, va ribadito, frega poco a quasi tutti. Renzi, in particolare, ha un’unica strategia: Renzi. Cito Bersani, lo confesso, uno che pur con tutte le sue contraddizioni ha una capacità di analisi non comune.
La battuta, di quelle fulminanti, racchiude in sé tutta l’essenza del rignanese, la sua forza e la sua debolezza allo stesso tempo. La sua forza perché all’italiano medio, si sa, il bullo piace. La sua debolezza perché è talmente preso da sé che alla fine si schianta sempre contro un muro che non riesce a vedere.
Entrando nel merito – si fa per dire – Renzi fa due proposte “bomba”, così le hanno definite i giornali: eliminare il reddito di cittadinanza e introdurre il cosiddetto “Sindaco d’Italia”. In pratica propone di sfasciare il governo e di avviare un percorso di revisione costituzionale che a occhio durerebbe un paio di anni. Che le due cose siano in palese contraddizione non gli interessa, vuole soltanto sparigliare le carte. Poco importa che le proposte siano, nel merito, due colossali idiozie.
Intanto, in una situazione di profonda crisi economica – e il coronavirus di certo non aiuterà – tira fuori la brillante idea di togliere qualche miliardo ai disoccupati per darlo ai padroni (si chiamano così, a me tutto sto politically correct dà il voltastomaco). Così si darebbe una forte iniezione di soldi freschi all’economia, sostiene il genio della finanza. Peccato che mancherebbe il mercato a cui rivolgersi, ma mica può risolvere tutto il rignanese, che diamine. Renzi si preoccupa soltanto di infilare un dito nell’occhio, diciamo così, ai grillini che su quel provvedimento hanno battuto da sempre. E che, del resto, segue la strada tracciata dal “Rei”, introdotto proprio dal governo Renzi. Insomma, una cosa di sinistra aveva fatto, ora la vorrebbe togliere soltanto per creare scompiglio. Servirebbe uno dei fratelli Guzzanti in gran forma, ne sentiamo davvero la mancanza.
La seconda ideona, che non c’entra nulla con la prima, è, tradotta in termini comune, l’elezione diretta del premier, al quale si affiderebbe non più un ruolo di primus inter pares all’interno del Consiglio dei ministri, ma diventerebbe un vero e proprio potere a parte. A quali conseguenze porti tutto questo, al lungo lavoro di architettura istituzionale che servirebbe, Renzi non pensa. Lui le riforme le fa in tv. Anche perché anche in questo caso, mica fa sul serio: vuole solo bloccare l’intesa, che i suoi avevano sottoscritto, sulla legge elettorale proporzionale. Perché quello sbarramento al 5 per cento lo taglia automaticamente fuori dal Parlamento. E voi ve lo immaginate un Parlamento senza Renzi? Io francamente sì, lui un po’ meno. L’idea lo terrorizza.
Come andrà a finire? Secondo me male. Perché in tutto ciò il governo resta paralizzato, bloccato da schermaglie parlamentari incomprensibili a tutti, perché il motivo è sempre lo stesso. Logorare l’esecutivo guidato da Conte. Che poi l’abbia fortemente voluto lo stesso Renzi è un particolare irrilevante.
Ma qual è, e mi avvio alla conclusione, non temete, la colpa del povero Conte? E’ semplice: potrebbe occupare lo stesso spazio a cui ambisce l’ex segretario del Pd. Quel centro politico a cui tutti ambiscono, salvo poi ritrovarsi sempre con un pugno di mosche in mano. Terre affollate di gente in cerca di poltrone, meno di elettori, che tendono a polarizzarsi sugli schieramenti maggiori. A Renzi non importa, gli basta di essere al centro dell’attenzione. Alla faccia degli italiani che non arrivano al 15 del mese.
Contro la politica della noia serve una sinistra modello Schlein.
Il #pippone del venerdì/129
Ecco, secondo me, uno dei male peggiori della politica italiana è proprio questo: la noia. Ci sono settimane in cui è perfino complicato trovare un argomento su cui ragionare. Il confronto non avviene mai o quasi mai sui temi decisivi per il nostro Paese, ma soltanto sulle tattichette che si reputano necessarie per garantire visibilità, ovviamente a sé stessi. Renzi in questo caso è un po’ un caso di scuola: non fa mai nulla con sincero slancio, tutto è in funzione del suo sviluppatissimo io che non ama stare lontano dal centro dei riflettori.
La stessa vicenda di questi giorni è esemplare: ci si scontra su un tema, quello della prescrizione, che sarà anche importante, ma del quale al 99 per cento degli italiani non frega assolutamente nulla. La prescrizione, i tanti paroloni usati spesso a sproposito, il garantismo contrapposto al giustizialismo: tutte scuse. E’ evidente che lo scopo è un altro: Renzi non crede – non ci ha mai creduto – che questa maggioranza possa diventare un’alleanza strutturale. Anche perché in quello schema non c’è posto per lui, altra cosa abbastanza evidente: una coalizione fra Pd e 5 stelle ha bisogno semmai di una copertura sul fronte sinistro. Di moderati ne abbiamo a bizzeffe. E allora che si fa? Si usa il “trattamento Letta”, quello altrimenti detto della goccia cinese: si logora il presidente del Consiglio con una dichiarazione al giorno, con le trattative infinite che quando sembrano arrivate a un punto di equilibrio vengono fatte saltare e si ricomincia da capo. Poi si sussurrano i nomi delle possibili alternative, senza che ovviamente gli interessati ne siano informati.
Potrebbe sembrare un paradosso perché Renzi di questo governo è stato uno dei principali sponsor. Ricordate quanto Zingaretti fosse inizialmente contrario? Fu proprio il bullo di Rignano a convincerlo, lo ha dichiarato lui stesso in una lunga intervista al direttore del Tempo. Ma Zingaretti, da politico scaltro quale è, ha fiutato l’aria e si è messo a lavorare per fa trasformare un incidente momentaneo in una possibile alleanza di lungo respiro. Le difficoltà, Renzi a parte, non mancano comunque, ma difficile dar torto al segretario democratico.
A Renzi il Conte bis, invece, serviva soltanto a prendere tempo. Doveva organizzare la sua scissione, per mettersi in salvo insieme ai fedelissimi che, in caso di elezioni anticipate, di certo non sarebbero tornati in Parlamento. Subito dopo sono cominciati i distinguo, i veti alle misure più innovative proposte nella legge di stabilità, quel lavoro di logoramento che vorrebbe condurre il governo alla paralisi in maniera da poterne proporre un altro più comodo per i disegni del rignanese.
Il tutto, su questo credo ci sia davvero ampio consenso nel Paese, è una noia mortale. Non appassiona manco i peggiori conduttori di talk show. Le elezioni, in realtà, secondo me le vogliono in pochi. A maggior ragione in una situazione di incertezza, aggravata dal taglio dei parlamentari senza aver ridisegnato i collegi né tanto meno aver messo mano alla legge elettorale.
Mi sembrano scene di una politica che non capisce più la situazione che stiamo vivendo. Per di più si applicano i trucchi e le astuzie di un mondo che non c’è più a un mondo che si muove a velocità impensabili in passato. Tanto per dire: Conad annuncia 5mila nuovi cassintegrati. E non si tratta di una notizia isolata, sono decine ogni giorno le situazioni di questo tipo. L’Italia è ferma, non ne può più di una politica inconcludente che fa solo annunci e non riesce a essere concreta.
In questo panorama scialbo, fa piacere la notizia di Elly Schlein che viene nominata vicepresidente della nuova giunta in Emilia Romagna. La ragazza, lo confesso, mi piace molto e non da adesso. Intanto è stata la candidata più votata. E con quel cognome complicato ha fatto una vera impresa. Ci sarebbe da chiedersi perché. Da sola ha portato il 25 per cento dei voti dati a tutta la lista “Coraggiosa”. La risposta è semplice, quasi banale se volete: è una che, al contrario di tanti suoi colleghi, non insegue il consenso, lo raccoglie.
La sinistra dovrebbe andare a lezione da lei, servirebbe un corso intensivo. Ecco: il tema non è tanto replicare l’esperienza di “Coraggiosa” a livello nazionale, che poi sarebbe nient’altro che una riedizione di Leu. Il tema è replicare la Sclhein, ovvero crescere una generazione di dirigenti che non inseguono il consenso ma lo generano. E come si fa? Non la conosco di persona, ma mi sembra una persona semplice, competente, che dice quello che pensa in maniera comprensibile, diretta, senza politichese.
E’ stata fantastica dalla Bignardi, un’intervista in cui ha parlato di un tema delicato come la sua bisessualità in una maniera così bella da renderla una cosa naturale, scontata, sulla quale non ci deve essere nulla da eccepire. In un minuto ha spezzato un tabù ben radicato in noi italiani. Ho amato uomini, ho amato donne. Adesso sto con una ragazza che ha il pregio di sopportare i miei difetti. Semplice, diretta, senza fronzoli, senza retorica di alcun tipo.
Ecco, a me piacerebbe una sinistra così, modello Schlein, non modello Renzi.
Grazie presidente Mattarella, ci ha reso orgogliosi.
Il pippone del venerdì/128
Un gesto semplice, con lo staff che avverte la preside appena un’ora e mezzo prima. Ma un gesto che ci riconcilia con l’essere italiani. Mattarella, in piena emergenza coronavirus, prende la macchina e va in una scuola multietnica per eccellenza, all’Esquilino, il quartiere che i giornali della destra definiscono con disprezzo la Chinatown romana. E ci sono anche le parole semplici della dirigente scolastica, Manuela Maferlotti: “Noi facciamo da anni il nostro lavoro senza pensare a dove sono nati gli studenti”. E anche queste sono parole che fanno bene. E ci sono anche le facce dei bambini, mischiati senza pensare al colore, ci danno qualche speranza in più.
Già anni fa ero rimasto colpito da un gesto di mio figlio: allora era alle elementari (sob) e per farmi capire chi fosse un suo compagno di classe con cui voleva andare a giocare al parco mi aveva detto “quello con la giacca marrone”. Quel bambino era di origine africana, ma loro non lo indicavano con il colore della pelle, perché non solo non era un problema, ma neanche una cosa a cui facevano caso.
Il gesto di Mattarella, insomma, parla agli adulti, perché i bambini non ne hanno bisogno. Non nascono razzisti, ce li facciamo diventare noi. Noi che evitiamo i negozi e ristoranti cinesi, che ci tiriamo su il maglione sulla bocca se qualcuno di origine asiatica tossisce. Che poi, a naso, la maggior parte di loro, soprattutto i bambini, la Cina l’ha vista soltanto sulla carta geografica: come fa ad avere il coronavirus? Mica si prendono le malattie in base al colore della pelle.
Mi ha ricordato, nella sua semplicità, quello che fece un grande sindaco di Roma, Luigi Petroselli: dopo un attentato che aveva gettato nel panico i pendolari che prendevano la metro, non fece dichiarazioni rassicuranti, comunicati stampa, uscì di casa, abitava sull’Appia, e salì sulla linea A. Senza troppo clamore, non era abituato a essere seguito dalle fanfare, quello che usava il trasporto pubblico era un cittadino comune non il sindaco.
Sono cose piccole, che non costano nulla, ma che ci riportano all’essenza stessa dell’agire politico che tanti presunti leader dimenticano o forse non hanno mai conosciuto: fare politica, avere un ruolo istituzionale in particolare, non vuol dire leggere i sondaggi e cercare di girarli a proprio favore, vuol dire in primo luogo essere di esempio per i cittadini e risolvere i problemi anche attraverso il proprio agire. Un tempo ce lo insegnavano da piccoli nelle sezioni del Pci. Non soltanto dovevamo dare i volantini, ma essere irreprensibili in tutti i comportamenti, sia pubblici che privati, perché i comunisti dovevano essere di esempio. Cose che si sono perse.
Ecco, gesti come quello di Mattarella non risolvono i problemi dei cittadini, ma sicuramente aiutano a creare un clima differente, in un momento difficile. E riconciliano il Paese con la sua classe dirigente che non guida il popolo, ma si mischia con il popolo e capisce le paure, le attutisce non le alimenta.
Io credo che un cambiamento vero nel nostro Paese non sia una cosa di un giorno, ci vorranno anni per riparare ai guasti di una stagione gridata e basata sull’odio e tornare al confronto civile, a tutti i livelli. Perché il nostro è un Paese ferito, incattivito, lo scrivevo giusto la settimana scorsa. Ed è spesso difficile cercare di guardare oltre la nebbia che ci avvolge e vedere qualche luce nitida.
Il presidente Mattarella ci ha dimostrato, con un piccolo gesto lo ripeto, che ci può essere qualcosa di diverso. Che c’è un’Italia differente, solidale e accogliente. Dobbiamo darle forza e visibilità, far crescere i sentimenti positivi. Magari raccontando le realtà come questa scuola “di frontiera” invece che dare sempre e soltanto spazio agli episodi negativi. C’è anche la responsabilità nostra, dei giornalisti, che invece di mettere in pagina le cose più “facili”, che fanno vendere il prodotto, dovremmo tornare a fare il nostro lavoro e andare a cercare le storie più difficili, quelle che si vedono meno, ma rappresentano una ricchezza da proteggere e promuovere. Mattarella ci ha regalato un sorriso e a me un po’ di sincera commozione. Va trasformata nel nostro agire quotidiano. Di tutti noi.