Storia di un vasetto di yogurt greco.
Il #pippone del venerdì/119

Nov 8, 2019 by     No Comments    Posted under: Il pippone del venerdì

Ora, dopo una settimana di assenza sarebbe scontato parlare di Ilva, di Renzi e Di Maio che continuano a fare i pierini, di Salvini e della Segre, magari tornare a parlare di elezioni regionali, dall’Umbria all’Emilia. Deluderò le aspettative di chi pensava di leggere una tirata contro il fiorentino o un pezzo sull’antifascismo. Su tutti questi argomenti trovate chi scrive e pensa molto meglio di me.

Parlerò di un vasetto di yogurt greco. Allora la scena è questa: saranno circa le due di una tranquilla giornata. Tranquilla… Esci dall’ufficio, arriva di corsa a casa, porta fuori la cucciola, convincila a fare rapidamente i suoi bisogni che devi tornare al lavoro, che se non fai una quindicina di ore di straordinario mensile non arrivi a fine mese, poi dalle da mangiare sperando che sia in giornata buona e non faccia la difficile. Poi riprendi la moto e ti fermi in un noto supermercato per comprarti gli yogurt per pranzo. Fai la fila alla cassa uno ti dà una leggera gomitata e dal castelletto che avevi fatto casca una confezione e si spacca. E’ plastica (sob), non va in mille pezzi, ma si apre irrimediabilmente.

E allora che fai? Per me la cosa più normale del mondo, raccolgo il vasetto e lo metto comunque sul nastro della cassa. Quando arriva il mio turno spiego al commesso che mi è caduto e gli chiedo di conteggiarlo comunque, visto che era colpa mia.

La cosa sorprendente è la reazione del ragazzo. Faccia stupita come se avesse visto un marziano. Mi risponde che non me lo avrebbe messo in conto, ma che era la prima volta che gli succedeva una cosa del genere, perché di solito non solo non vogliono pagare, ma tendono a nascondere questi fatti, magari riportando il pezzo rotto nello scaffale e facendo i vaghi. Lo stupito questa volta sono io, perché mi sembrava la cosa più naturale del mondo. Per di più si tratta di pochi centesimi, perché rischiare una figuraccia?

In realtà ogni tanto mi sento un po’ un coglione, soprattutto in questa città martoriata anche dai troppi furbi. Sono uno di quelli che si mette in fila in ogni occasione e puntualmente viene sorpassato da tutti i lati, fa la raccolta differenziata e cerca ostinatamente i cassonetti liberi (a Roma è come cercare un ago in un pagliaio), paga le tasse e quando arriva una multa si sente pure un po’ in colpa. Magari mi fermo sulle strisce quando sono in moto per evitare in faccia i tubi di scappamento delle macchine, ma mediamente sono un cittadino decisamente non adatto a vivere a queste latitudini.

Non volevo, comunque, autoincensarmi. L’episodio raccontato sopra, per quanto insignificante, mi ha riportato alla mente com’era la politica qualche decennio fa. In più poi c’ha pensato D’Alema sull’Huffington a rendermi il collegamento naturale. Dice D’Alema: ho nostalgia del Pci e non dell’Urss. Mi chiedo come mai siamo in tanti, fra quelli che hanno vissuto quell’epoca e quel partito, a pensarla allo stesso modo. E mi chiedo perché quell’esperienza non sia ripetibile, da cosa fosse caratterizzata.

Quelli bravi risponderebbero che era la prospettiva di superamento del capitalismo a tenerci insieme, che ci faceva essere davvero una comunità a tutto tondo, non solo politica. Sicuramente c’è questo elemento. E andrebbe ritrovato. Ma c’era qualcosa di speciale in quel partito che non è ripetibile nella società di oggi. Ed era il rigore morale. Quella era la vera diversità dei comunisti italiani. Quell’essere profondamente onesti, quasi bacchettoni direi. E per questo non solo eravamo rispettati da tutti, ma siamo stati un fattore importante nella società italiana. Un esempio di come poteva essere il nostro Paese praticato ogni giorno in ogni luogo,  dai posti di lavoro, alla famiglia, alle istituzioni per le quali avevamo un sacro rispetto.

Per questo abbiamo anche preso delle cantonate e spesso non abbiamo capito i cambiamenti che avvenivano nella società. Penso al fastidio con cui abbiamo guardato ai vari movimenti studenteschi, dal ’68 in poi. Gli espropri proletari, la violenza nei confronti della polizia, non erano nelle nostre corde. Le splendide parole di Pasolini che, un po’ scandalosamente, si schierava dalla parte dei poliziotti dopo i fatti di Valle Giulia sono un altissimo esempio di cosa fossero i comunisti italiani. Più modestamente ricordo la severità di mio nonno, per il quale dovevo solo studiare senza pensare alle gonnelle che agitavano i miei sogni di adolescente. Studiare non solo per la propria realizzazione personale, ma per poter contribuire alla crescita della nostra società.

Ecco, quel vasetto di yogurt greco fa parte di quella cultura, bacchettona, ma rispettosa delle regole e soprattutto delle altre persone. Di questo io ho nostalgia, di un partito che formi i propri dirigenti con questa severità, con questa cultura delle regole e delle istituzioni che non trovo da nessuna parte.

Adesso è tutta una rincorsa alla poltrona, alla carica sia pure insignificante, si fa politica pensando al proprio tornaconto e non alla crescita, ai diritti. Secondo me è anche per questo che la sinistra è rimasta senza popolo. Non solo perché le sue idee troppo spesso sono state distanti da quel blocco sociale che si vorrebbe rappresentare, ma perché non viene più percepita come esempio positivo da seguire. Siamo caduti in pieno in quel “sono tutti uguali” che un tempo consideravamo, a ragione, come un’offesa gratuita.

La finisco qui, capisco che sono un vecchio bacchettone e che in questa società non è facile vivere con le mie convinzioni. Però sto bene così e almeno mi evito gastriti da senso di colpa.

Ps: mio figlio è molto più bacchettone di me, ne sono molto orgoglioso.

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