Il bisogno di porre una nuova questione morale.
Il pippone del venerdì/106
Il caso Lotti-Palamara ha riempito le pagine dei giornali nelle settimane scorse negli stessi giorni in cui, coincidenza davvero singolare, la sinistra ricordava la morte di Enrico Berlinguer, il dirigente politico che con più forza pose il tema della questione morale. Un ricordo, lo dico subito, che molti farebbe meglio a evitare, per non cadere nel ridicolo. Quando si parla dell’esempio di Berlinguer sarebbe bene averlo presente quell’insegnamento e non declamarlo una volta l’anno. Ma passiamo oltre, tra l’altro a me i santi non sono mai piaciuti, tanto meno i santi laici.
Chiariamo subito, quando si parla di questione morale non si pone semplicemente un problema di rispetto della legalità. Non è questo un tema di cui si deve occupare la politica, spetta alla magistratura che deve essere messa nelle condizioni di fare il suo lavoro. Berlinguer intendeva un’altra cosa quando parlava di questione morale. Intendeva il rispetto che i partiti devono avere per le istituzioni che non devono essere sottomesse a interessi di parte, ma devono restare terze, poste su un livello superiore.
Per questo fa quasi sorridere che la difesa (politica) di Lotti e soci sia tutta basata su due pilastri: il primo è “così fan tutti”, il secondo è “non hanno commesso alcun reato”. Sul secondo, proprio per il ragionamento che facevo prima, non spetta a noi valutare eventuali profili penali. A me il comportamento dell’allegra combriccola proprio al di sopra di ogni sospetto non sembra, ma è una mia opinione e vale zero. E’ sul primo postulato che mi si accappona la pelle. Perché la sinistra italiana, almeno quella che viene dalla tradizione comunista, aveva fatto della sua diversità su questi temi la sua bandiera grazie a Berlinguer. E Berlinguer poneva con grande forza comunicativa un tema molto chiaro fin da Gramsci e Togliatti.
Ecco, questo secondo me è uno dei punti su cui rifondare una cultura di sinistra nel nostro Paese. Torniamo a insegnare ai giovani il rispetto della sacralità laica delle istituzioni che non devono entrare nelle beghe di partito. Capisco che quello di Berlinguer è un mondo che non c’è più. Ma forse anche per questo gli elettori non ci danno più fiducia.
E allora, proprio in questi giorni in cui si torna con forza a parlare di unità del centrosinistra mi sento di porre questa esigenza che sento molto forte, quella di una nuova questione morale. Io non mi sento di poter stare non solo nello stesso partito, ma neanche nella stessa alleanza, con personaggi che si giocano le istituzioni come fossero una partita di poker. Quello di Lotti è solo l’ultimo esempio, neanche il peggiore forse.
E guardate che non è un tema di regole. In questo Paese di regole ne abbiamo fin troppe. Tante che bloccano la nostra economia, il nostro sistema giudiziario. Ce ne sono anche per garantire la separazione tra i partiti e la magistratura, non facciamoci ingannare da chi ci spiega che un buona parte del Csm viene eletto dalle Camere. E’ vero, ma è anche vero che esistono quorum talmente elevati per l’elezione dei cosiddetti membri laici del Consiglio superiore da garantire la qualità e il prestigio degli stessi. Hanno provenienza di “parte”, ma i voti necessari li fanno diventare autenticamente espressione del sistema politico nel suo complesso e non dei partiti.
E’, invece, un tema di come si sta nel sistema politico e di come ci si comporta dentro un partito quando si hanno ruoli di responsabilità. Faccio sommessamente notare che, neanche tanti anni fa, mettemmo in croce Piero Fassino, allora segretario dei Ds, per una frase infelice su una fusione tra banche. Badate bene, non stava brigando, stava semplicemente informandosi, da dirigente di uno dei principali partiti italiani su un processo di concentrazione di gruppi di credito che avrebbe condizionato pesantemente il sistema economico italiano. Nulla di illegale, ma neanche di poco chiaro dal punto di vista etico, insomma. Eppure quel suo “abbiamo una banca”, suonò a molti, me compreso, come una frase sgrammaticata, sia pure in un contesto colloquiale e informale come quello di una chiacchierata telefonica.
I temi su cui ricostruire una sinistra popolare, forte e autorevole sono sicuramente tanti e differenti. Dal rapporto con i lavoratori, alla necessità di un patto con sindacati e associazioni per ricostruire un tessuto diffuso, sociale prima ancora che politico, alla questione ambientale e dei sistemi i produzione. Di sicuro, però, non si va da nessuna parte se non pratica un taglio netto, a colpi di accetta, con quella cultura politica che predica la sottomissione di qualsiasi istituzione agli interessi di parte. Interessi di lobby, neanche di partito. Diceva bene Bersani qualche anno fa, quando parlò di una eccessiva concentrazione di potere in pochi chilometri quadrati. Era una delle caratteristiche del renzismo, si decideva tutto fra fiorentini. Manco tutti interni al Pd. Basta pensare al potere acquisito in quel periodo da Verdini. Io credo che questa sia una delle caratteristiche peggiori di quella stagione.
Ecco quindi, ben venga l’unità, come la racconta anche oggi in una lunga intervista Massimo D’Alema. Anche se io mica ho ancora ben capito fra chi dovrebbe nascere questa unità, visto che le elezioni hanno stabilito che ormai esiste solo – e anche bello ammaccato – il Partito democratico (su questo sapete tutti come la penso e quindi non mi ripeto). Ben venga l’unità, dicevo, ma che almeno nasca da un bagno purificatore collettivo. Non si può soltanto sostituire un cerchio magico con un altro. Non basta cambiare la latitudine alla quale avviene la gestione del potere, occorre tenersi lontani da quelle pratiche nefaste che avranno anche permesso di entrare nei salotti che contano ma ci hanno portati lontani dai nostri elettori.