Non capisco che avete da ridere.
Il pippone del venerdì/103
Facce sorridenti, visi rilassati. C’è addirittura chi parla di vittoria e chi, più prudente, si limita al pareggio. Io mica vi capisco. L’Italia che esce dalle urne è il paese europeo più a destra, si supera anche la Francia. Salvini e Meloni insieme, una somma tutt’altro che arbitraria, arrivano al 40 per cento dei voti. La lega, nel giro di un paio di anni, è passata da essere partito locale, che valeva il 3 per cento a livello nazionale, a fenomeno radicato in tutto il Paese. Fa da attrattore a tutte le forze disperse messe in crisi dal crepuscolo di Berlusconi.Una vera e propria impresa: nati come secessionisti, contro i terroni del sud, ora riescono a essere addirittura secondi nell’odiata Sicilia. Va bene avere la memoria corta, ma qui si esagera. La sinistra non esiste più. Fra tutte le listarelle sparse arriva a stento al 5 per cento. Il Pd, sommando tutto il sommabile, riesce a dare un segnale di esistenza in vita e supera il 22 per cento. Un dato che non ci consente di essere ottimisti. Ancora meno, considerando il successo dei candidati renziani in tutta Italia.
Sinistra Italiana e Articolo Uno sono praticamente estinti. La prima, sommata a Rifondazione, non arriva al 2 per cento, mentre i bersaniani segnano un bello zero nella casella degli eletti. A meno che non ci si voglia appropriare del boom di preferenze di Bartolo, ma davvero sarebbe un’operazione ridicola. Perfino lo stentato 3,4 per cento di Liberi e uguali alle politica adesso sembra un miraggio lontano. E anche qui, sia gli uni che gli altri rivendicano la strada scelta, quella della divisione e della subalternità al Pd: si tira avanti. Ingenuamente chi aveva previsto il disastro attuale pensava che una volta arrivati a zero, gli attuali gruppi dirigenti si sarebbero fatti da parte. Manco per sogno. Chissà verso quali sconfitte ci vogliono ancora condurre. Sinistra italiana giura di voler andare avanti con Rifondazione, Articolo Uno pare ormai avviato a una lenta ma inesorabile confluenza nel Pd. Basta leggere l’intervista di D’Alema su Repubblica di ieri: si parla solo dei democratici, visti come unico punto da cui ripartire. Auguri.
Meno peggio di quanto ci si poteva aspettare visti i dati delle elezioni europee, questo va detto, sono andate le amministrative. Ma anche qui, i Comuni vinti sembrano sempre più fortezze residuali sotto assedio che reali segnali di riscossa. Perché se è vero che nella destra chi traina è la Lega di Salvini, è anche vero che non ha ancora una struttura territoriale così ramificata da arrivare nei Comuni. Vincono nel voto di opinione, non riescono ancora a essere competitivi, in molte zone d’Italia, quando scendono in campo i candidati locali. Il prestigio di una buona classe dirigente locale e di buoni sindaci in carica riesce ad arginare l’ondata. Per il momento. Quando la competizione si allarga un po’ però, la destra non sbaglia un colpo: con la vittoria nel Piemonte di Chiamparino siamo a sette Regioni di seguito. Attendo con una certa ansia l’esisto dei ballottaggi fra due domeniche. Temo un effetto trascinamento del risultato nazionale.
Evito di approfondire l’analisi del voto, per non annoiare troppo. Il quadro generale mi sembra significativo. Il Pd, in sostanza mantiene quasi gli stessi voti di un anno fa, in valori assoluti. La Lega esplode, i 5 stelle si dimezzano. Ma i loro elettori passano direttamente a Salvini o all’astensionismo. Di guardare a sinistra o quanto meno al Pd neanche a parlarne.
Insomma, i dirigenti democratici saranno anche contenti, ma devono essere consapevoli che con questi dati non c’è alcun ritorno a un bipolarismo di tipo classico con la contrapposizione destra-sinistra come qualcuno vorrebbe far credere. C’è uno schieramento ben consolidato, che con Berlusconi sfiora addirittura la maggioranza assoluta e non avrebbe problemi, con questa legge elettorale a conquistare percentuali bulgare nelle due Camere. Di fronte c’è il Pd e poco altro. I 5 stelle pagano un anno passato all’ombra di Salvini e pagano l’assenza di un partito strutturato sul territorio, in grado di resistere nei momenti di difficoltà.
Per provare a cambiare questa situazione bisognerebbe cambiare il campo sui cui si gioca. Perché questo schema tende inevitabilmente a favorire la forza comunicativa del ministro dell’Interno, che pur governando si comporta sempre come se fosse all’opposizione. Quando è in difficoltà trova nemici nuovi su cui scaricare i propri insuccessi e mascherare così la debolezza di un governo sempre più chiacchiere e distintivo. Cambiare il gioco, dicevo. Perché se si accetta sempre il terreno proposto dalla destra si finisce per ampliare ancora il loro consenso. Non mi pare ci sia in giro questa consapevolezza. Tutt’altro.
Eppure almeno nel momento in cui il centro sinistra ha più o meno la metà dei voti della destra bisognerebbe capirlo che questo schema va cambiato. Ho assistito a una delle campagne elettorali più vuote della storia. Alzi la mano chi ha capito cosa proponeva Zingaretti per rinnovare un’Europa sempre più distante dai cittadini. Io resto convinto di quanto sostengo da mesi. Il Pd non regge, dalla fondazione a oggi è rimasto una somma di correnti più che un partito. Al massimo, un segretario prudente e accorto come Zingaretti può farlo sembrare meno litigioso, ma è l’effetto di un momento. Per tornare a essere concorrenziali, secondo me servono due cose: intanto una scomposizione delle forze in campo per tornare ad avere una forza di sinistra e una moderata. E poi bisogna aprire un dialogo con i 5 stelle. Non sono più il blocco monolitico schierato dietro Di Maio, si cominciano a sentire spifferi. Facciamoli diventare correnti d’aria. Apriamo un dialogo con loro, sfidiamoli sui contenuti. Anche loro hanno bisogno di sottrarsi all’abbraccio mortale di Salvini se vogliono continuare ad avere un ruolo nel panorama politico italiano.
Resta il tema della classe dirigente che può mettere in moto questo processo. Serve intanto un passo indietro, ma vero non di facciata, di tutti quelli che ci hanno ridotto così. Siamo all’anno zero, insomma. C’è bisogno di cambiare davvero. E temo che il tempo che ci è concesso non sia infinito. Si è aperta la gara tra Renzi e Calenda a chi fa prima a costruire un soggetto politico che sia la casa dei moderati (che in verità la casa paiono averla già trovata fra i democratici) non pare esserci la stessa consapevolezza a sinistra. E così si va avanti, di sconfitta in sconfitta, ma con il sorriso stampato in faccia.