Questo 25 aprile e il bisogno di una nuova Europa.
Il pippone del venerdì/98
Premessa doverosa, sono dovuto rimanere a casa, a causa di un po’ di influenza e anche – diciamolo – del nuovo arrivo in famiglia: una cucciolotta di due mesi, ancora un po’ spaesata, 8 chili di pelo e tenerezza. Questo per dire che non sono potuto andare alla manifestazione del 25 aprile come tutti gli anni. C’era mio figlio, per la prima volta. E questa è una buona notizia. Forse è solo cresciuto e quindi anche questo corteo fa parte del suo percorso di maturazione e di impegno politico, che seguo a rispettosa distanza. Ma forse – e leggendo i commentatori più attenti questa sensazione ne esce rafforzata – è il segno di una nuova generazione che lentamente si sta appropriando della politica e anche del 25 aprile, per anni frequentato solamente da vecchi arnesi come noi.
Ne abbiamo visti tanti, invece, di ragazzi nelle piazze negli ultimi mesi: c’erano alla manifestazione unitaria dei sindacati, c’erano ai cortei del movimento delle donne, ci sono soprattutto alle marce per combattere il climate change. Un tema che noi intorno ai 50, forse un po’ egoisticamente, vediamo con distacco, ma che i nostri figli sentono sulla loro pelle. Certo, rivedere tanti ragazzi in piazza per il 25 aprile non me lo aspettavo, lo confesso. Soprattutto a Roma, dove il corteo di Porta San Paolo negli ultimi anni è stato ricordato soprattutto per le polemiche. Che non sono mancate neanche stavolta, soprattutto per i fischi alla sindaca Raggi. Saranno stati anche scortesi, perché le istituzioni nate dalla Resistenza devono essere rispettate. Ma certo, se il tuo partito governa con quel Salvini che ha sbeffeggiato l’antifascismo e ha disertato il 25 aprile mettendolo addirittura in competizione con la lotta alla mafia, beh che una piazza molto di sinistra ti regali qualche fischio te lo devi aspettare. La Raggi si è presa comunque anche i suoi applausi. Roba di poco conto, insomma, rispetto a una nuova generazione che, almeno in parte si appropria di questa data ormai lontana.
Si sa che i giovani tendono a vedere il passato come roba vecchia e quindi è doppiamente significativo. E credo che a Roma sia stato ancora più importante perché hanno potuto sentire Aldo Tortorella, comandante partigiano durante la guerra di Liberazione, poi uno dei massimi dirigenti del Pci. Da sempre uno a cui piace parlare ai giovani e lo fa, malgrado i suoi 93 anni e la sua grande cultura, da paria pari. Senza nessuna pretesa di insegnare, come un nonno che racconta ai nipoti. Se ne è andata Tina Costa, da sempre anima del 25 aprile e dell’Anpi di Roma, di partigiani “veri” ne rimangono sempre meno. Questa generazione è l’ultima che ha la fortuna di sentire il racconto di quella stagione dai protagonisti. E avrà anche il compito di trasmettere questo patrimonio inestimabile alle generazioni future.
Io credo che la memoria sia sempre importante. Ancora di più se riguarda una stagione drammatica ma anche gloriosa come quella della guerra di Liberazione dal nazi-fascismo. E lo è a maggior in questi anni dove i fascisti hanno rialzato la testa, conquistato una sorta di diritto di cittadinanza a cui – la ripetizione è d’obbligo – non hanno invece alcun diritto. Ormai, ovunque, trovi gente che si definisce orgogliosamente fascista. Non sono solo frange estreme del tifo organizzato. A me è capitato, sui social, di interloquire con persone impegnate in politica, addirittura con cariche istituzionali, che non considerano una cosa scandalosa definirsi fascisti.
Che quindi ci sia una reazione, soprattutto nelle nuove generazioni è una cosa importante. Resta sempre il tema che a questi ragazzi che dimostrano sempre di più di essere in cerca di una sinistra credibile bisognerebbe dare una sponda politica, per dare continuità e solidità al loro impegno. Non riapro la ferita, perché volevo, invece, legare questo 25 aprile al bisogno di una nuova Europa. Che c’entra? Io credo che i due temi siano strettamente connessi: perché le istituzione europee furono pensate proprio come antidoto ai totalitarismi e alle guerre che avevano devastato il nostro continente. Dopo la seconda guerra mondiale si pensò che la strada per dare concretezza a quel “mai più” dichiarato da tutti i governi dell’epoca fosse quella di passare dalla coesistenza meramente geografica a istituzioni comuni.
La strada era quella giusta. E la crisi di credibilità e di consenso dell’Unione a cui abbiamo assistito negli ultimi anni non può avere come conclusione il ritorno alla dimensione nazionale. Perché è proprio nella dimensione nazionale che prosperano i fascismi e i populismi che diciamo di voler combattere. Semmai l’errore è stato quello di fare l’Europa dei governi e delle banche centrali. Io credo che la crisi di consenso della Ue derivi proprio dall’aver puntato e potenziato l’Unione economica e non quella politica. Potrà sembrare solo uno slogan ma serve davvero l’Europa dei popoli. E non come entità astratta: i cittadini devono poter eleggere un Parlamento europeo vero, che controlli il governo europeo e decida sui bilanci. Solo così avremo la possibilità di continuare ad avere un peso nella competizione globale e, soprattutto, diffondere una cultura fatta di pace e di democrazia. Valori che non si esportano con le guerre, ma con l’esempio.
Ecco, al di là della contesa elettorale, sulla quale come ampiamente detto non mi esprimo, io credo che il voto del 26 maggio sarà un voto utile se andrà a una delle formazioni italiane che sostengono questa tesi. Intanto incrociamo le dita per le elezioni spagnole di domenica. Anche lì, a guardare l’incertezza dei sondaggi, si trovano di fronte a un bivio. Vedremo se dalle urne uscirà ancora una situazione confusa come nelle ultime tornate o, al contrario, avremo un governo più tradizionale. Di certo la campagna elettorale è stata caratterizzata non dico da un’alleanza a sinistra fra i socialisti e Unidas Podemos, ma almeno da un tasso di conflittualità molto basso fra i possibili futuri alleati. Un’affermazione di queste due forze, tutte e due, è la condizione di poter continuare nella politica innovativa che, seppur con una maggioranza risicata, ha garantito al Psoe un nuovo slancio. Come dicevo: incrociamo le dita, potrebbe essere il primo segno di una inversione di tendenza.
Concludo con un ricordo di Pina Cocci. Non sono abituato a farlo e poi in fondo sta su tutti i giornali. Ma se non salutassi Pina che ci ha lasciato proprio ieri mi sentirei in colpa. Non la vedevo ormai molto spesso. Ma so che mi leggeva sempre e ogni tanto avrà anche smadonnato. Vorrei avere ancora l’occasione di prendermi i suoi rimbrotti severi che si concludevano sempre con un sorriso e un “Mo però abbracciami”. Ecco, ho la presunzione di credere che vedesse in me la stessa passione che aveva lei. E questo riconoscimento che mi regalava sempre mi mancherà davvero. Ti abbraccio comunque, compagna Cocci.