C’è ancora vita fuori dal centrosinistra?
Il pippone del venerdì/92
Sapete tutti come la penso: per me parlare ancora di centrosinistra come unica possibilità per battere le destre è pari allo sbattere ostinatamente la testa contro il muro. I risultati di tutte le elezioni amministrative da un paio di anni a questa parte e delle elezioni politiche dell’anno scorso hanno un segno costante e ormai definito con chiarezza: non si va da nessuna parte con la vecchia formula della sinistra che si annacqua e finisce per sposare le tesi neoliberiste dandogli una pennellata di diritti civili. I cittadini alla fine fanno i conti con le proprie tasche. E se gli togli l’articolo 18, gli togli la sanità pubblica, gli fai a pezzetti il sistema scolastico, alla fine non ti sopportano più. Certo tutti contenti per i diritti garantiti alle coppie di fatto, ma votano per chi gli promette di invertire la rotta.
Non per fare quello che dice “te l’avevo detto”, ma fin dal 2015, quando sono tardivamente uscito dal Pd, cerco di far passare la tesi che per battere la destra serva innanzitutto una forza di sinistra forte, autonoma e autorevole. Che torni a essere riferimento per le masse popolari. Una forza socialista, femminista ed ecologista. Questo per me doveva essere Liberi e Uguali e ancora mi chiedo perché non abbiamo avuto la forza di imporlo a gruppi dirigenti riottosi e miopi. Una forza così poi non può definirsi alternativa a tutto il resto, ma potrebbe avere la forza per creare alleanze di tipo nuovo, che rovescino le politiche che hanno caratterizzato gli ultimi 20 anni di governo. Di destra e di centrosinistra.
Leggendo l’intervista di Fratoianni sul Manifesto di ieri ho capito perché questo progetto sia sostanzialmente fallito. Il segretario di Sinistra italiana, in realtà, parte anche benino, si vede che ha studiato, si impegna, ma poi sbaglia clamorosamente la soluzione del problema: una bella lista della sinistra radicale alle Europee. Una roba che solo a pensarci uno sbadiglia di noia. La solita lista con Rifondazione, prova a obiettare l’arguta intervistatrice. Mal gliene colse. Il prode Fratoianni si inalbera: “Saremo molti di più”, dice. E fa un elenco impressionante. Da Diem 25, a L’Altra europa, agli autoconvocati di Leu (senza Grasso), a Possibile. E non pago parla anche di personalità di spicco citando ad esempio Elly Schlein. E poi, ormai senza freni, punta dritto verso il sol dell’avvenire ormai a un passo e si scatena: serve una lista che “stringa una relazione positiva con le coalizioni civiche delle città”. E poi il tocco davvero rivoluzionario: basta con le nomenclature, le donne siano protagoniste. Tutte capoliste.
Immagino che sia bastato questo annuncio per scatenare manifestazioni di giubilo in tutte le città italiane. Che le masse siano già in marcia per conquistare i palazzi del potere con il ragazzo pisano alla testa della rivoluzione. Se così non fosse, però, ci sarebbe da chiedersi cosa non va in tutto questo ragionamento. Aggiungiamoci anche che i Verdi hanno deciso di andare da soli con i civici di Pizzarotti e che anche Possibile (pare stiano decidendo tutti gli iscritti in queste ore a casa di qualcuno) potrebbe aggregarsi.
Intanto, la dico così, en passant, mi pare chiaro perché non siamo riusciti a fare Leu. Uno dei leader che avevano firmato il patto elettorale già pensava ad altro. Le sirene incantatrici di Rifondazione lo hanno costretto a un ritorno repentino all’antico. Perché di antico, senza manco una ripitturata, si tratta, non prendiamoci in giro. Ora, io resto convinto che servisse un partito della sinistra, come già detto e ribadito. Posto che non ci siamo riusciti, mi convinceva molto l’idea lanciata da Speranza alla scorsa assemblea nazionale: una lista delle forze socialiste e ambientaliste. Speranza ci includeva anche il Pd, presenza secondo me troppo ingombrante e al tempo stesso ancora in fase calante malgrado Zingaretti. Ma la proposta aveva una sua grammatica e una sua sintassi. Non l’accozzaglia di Calenda, non l’accozzaglia opposta di Fratoianni e De Magistris, ma una lista che avesse cardini programmatici ben precisi, quanto meno una comune visione sull’Europa e sull’economia. Al momento Zingaretti pare più affascinato da Calenda e Pisapia, recuperato in extremis in qualche giardinetto milanese. Leggo che il coordinatore di Articolo Uno la ripropone dopo un incontro con il socialista Nencini e il radicale ortodosso Turco. Bene, meglio così che presentarsi come indipendenti nelle liste democratiche. Ma mi sembra che ormai siamo al piano C. Ovvero a un tentativo disperato di dimostrare almeno la propria esistenza in vita in vista delle future elezioni politiche. Fatto non disprezzabile in assoluto, ma solo se lo consideriamo un passaggio verso la costruzione di un partito.
E qui torno alla domanda del titolo. A me pare che arrivati a pochi giorni dalla elezioni europee, allo stato delle cose l’unico soggetto non di destra che avrà una sua significativa presenza dopo le elezioni sarà il Pd. C’è ancora vita fuori dal Pd? A forza di veti e controveti, di contese a chi fa il segretario, a forza di calcoli su come si elegge chi, ci hanno portato davvero all’inconsistenza. Faccio un facile pronostico: le due o tre liste (tutte unitarie e tutte di sinistra) che saranno presenti sulla scheda faticheranno ad arrivare al due per cento. Se ne faranno una ragione i parlamentari europei uscenti, le mogli escluse, i trombati della scorsa tornata che ritenteranno la sorte. Soltanto i militanti con lo stomaco ormai roso dai litri di digestivo ingoiati negli anni riusciranno a farci una croce sopra.
Siamo ancora in tempo per fare una cosa diversa? Che serva davvero a costruire una visione diversa sull’Europa? A me presentare una lista per racimolare qualche voto per poi sedersi al tavolo dove si spartiscono i posti per Montecitorio francamente non interessa molto. Vedremo se avremo la forza di mettere le basi per un partito che guardi avanti. Al momento i segnali di vita nell’elettroencefalogramma della sinistra sono davvero flebili. In ultimo ripropongo la domanda che ormai da settimane agita le mie notti insonni: ma Grasso che fine ha fatto?