Uno Zingaretti non fa primavera.
Il pippone del venerdì/91
Un consenso molto ampio, con una partecipazione per certi versi inattesa, ma comunque sia inferiore a quella dell’ultimo round di Renzi. Questa la fotografia delle primarie Pd di domenica scorsa. Ora, di certo c’è la componente “stanza piccola ma molto piena”, nel senso che a forza di dire che i partecipanti sarebbero stati meno di un milione, anche un dato in calo sembra una grande vittoria. E d’altro canto la riduzione del numero dei gazebo a disposizione degli elettori ha favorito il formarsi di lunghe file che tanto fanno bene al militante che si alza all’alba per garantire il funzionamento di una macchina molto complessa.
Messa da parte questa visione, che secondo me ha un fondamento, ma sicuramente rischia di essere un po’ da “rosiconi”, secondo me ci sono alcuni elementi da valutare con attenzione. Intanto quando un milione e seicentomila persone decidono di esprimere un voto, pagando anche due euro a testa, vanno rispettate e prese in considerazione. E nella situazione data, con un partito dato da tutti per morto, con una serie impressionante di elezioni perse, anche il dato quantitativo non è davvero roba da poco.
E’ un dato, però, non isolato. Che si inserisce bene nella scia delle grandi manifestazioni delle ultime settimane: quella dei sindacati a Roma e quella dell’associazionismo antirazzista a Milano. Per me la chiave di lettura va cercata principalmente qui. Certo, c’è la mobilitazione dei notabili Pd, le correnti che si spartiscono i posti in assemblea e tutto l’armamentario che chi viene dal quel partito come me conosce perfino troppo bene. Ma quando si arriva a questi numeri, la mobilitazione teleguidata non basta come spiegazione. C’è un movimento vero di opinione. Si tratta di capire quale sia questa opinione. Le mie personalissime impressioni sono queste: un voto che va al di là del Pd, con un ricambio considerevole rispetto alla base renziana che è rimasta in gran parte a casa. Un voto non tanto sul Pd, ma soprattutto contro il governo e ancora di più contro Salvini. Insomma, ci hanno detto, e lo hanno fatto rivolgendosi a tutti: noi ci siamo, ora vedete voi cosa potete fare.
Un po’ uno sfogo del famoso popolo della sinistra, insomma. O almeno di una parte di esso che vuol comunicare la propria esistenza in vita innanzitutto, ma che chiede anche unità. Su questo sono abbastanza d’accordo con Speranza. Che in ogni discorso lo ripete quasi ossessivamente: “Guardate che i nostri ci chiedono due cose allo stesso tempo: unità e discontinuità”. Io queste caratteristiche le trovo tutte nel dato di partecipazione alle Primarie e nel consenso attribuito a Zingaretti.
Se questa analisi è giusta, ora si tratta di capire se il nuovo segretario del Pd sarà in grado di essere l’interprete che serve per dare voce a questo popolo. Le prime mosse non fanno ben sperare. Non tanto per la prima uscita pubblica dedicata a uno degli argomenti più divisivi a sinistra, il Tav, quanto per le indiscrezioni fatte filtrare sui nomi che lo affiancheranno. Zanda, Gentiloni, la De Micheli. Tutti protagonisti della stagione passata. E se questo è Zingaretti rischia di essere una figurina in balia dei potenti di sempre: da Franceschini a Fassino, senza dimenticare i De Luca vari.
L’altro aspetto che mi preoccupa è questa improvvisa retromarcia sulla lista per le Europee. Dopo aver dichiarato in lungo e in largo che una volta eletto segretario avrebbe spinto su uno schieramento ampio con cui presentarsi all’elettorato, ora Zingaretti sembra acconciarsi una lista targata Pd, con qualche foglia di fico per abbellirla. Qualche civico, qualche anziano avvocato strappato ai bocciodromi milanesi e magari la scritta “Siamo Europei”. Ora, io sono uno di quelli che ha sempre detto un no chiaro al manifesto di Calenda e un sì titubante alla lista progressista annunciata da Speranza. Nel senso che, secondo me, va anche bene ma andava costruita a prescindere dal Pd. Però questo dato della partecipazione alle primarie mi fa riflettere. Vedo che, almeno a leggere i giornali, Zingaretti lo interpreta al contrario, come un voto che testimonia la capacità del Pd di risorgere dalle proprie ceneri. Come se bastasse un nuovo segretario per dare identità e un nuovo slancio a un progetto che si è rilevato una somma di debolezze che si sono unite soltanto per sopravvivere.
Insomma, per non tirarla troppo per le lunghe: mi auguro di sbagliare, ma io la discontinuità necessaria a ritrovare l’unità essenziale per potersi contrapporre alla destra non la vedo. L’apertura a Calenda e la chiusura a sinistra la dice lunga. Non basta solo un atteggiamento differente, non basta dire addio all’arroganza sbruffona di Renzi. Quando diciamo che si è rotto il legame fra la classe dirigente della sinistra e il suo popolo, un legame non solo politico ma quasi sentimentale, intendiamo che le politiche portate avanti dai governi Renzi e Gentiloni, ma ci metterei anche Monti e Letta, hanno allontanato gli elettori del nostro blocco storico senza attirarne altri. La rottura è dovuta ad atti concreti. A quel liberismo neanche troppo edulcorato al quale ci siamo appigliati per non incorrere nell’ira dei famosi mercati. A quello snobismo che ci ha fatto credere che bastasse una qualche spolverata di diritti civili per mascherare l’abbandono dello Stato sociale.
Su tutto questo non ho ancora sentito una parola da Zingaretti. Qualche slogan sulla svolta ecologica necessaria, la discontinuità usata come mantra senza dargli senso e riempirla di contenuti. Vedo, invece, tutti o quasi gli uomini dei governi passati che sono saliti in fretta sul carro del vincitore annunciato. Insomma, secondo me la primavera è lontana. Spero di sbagliarmi, ma ancora una volta non si capiscono i segnali che il nostro popolo ci dà. Certo, la sinistra fuori dal Pd non è che stia messa meglio. Faccio notare, ormai è un’abitudine, che resiste soltanto quando si presenta unita sotto le insegne di Liberi e Uguali. Il resto è roba da zero virgola, a essere ottimisti. Siamo alla disperata ricerca di alleanza per le Europee, tutti quanti. Divisi dai soliti orticelli aridi da coltivare. Con il risultato paradossale che gli anti Tav di Sinistra italiana in Piemonte vogliono sostenere il paladino dell’alta velocità Chiamparino presentandosi sotto le insegne di Leu. Ma al parlamento europeo preferiscono l’abbraccio con Rifondazione. Una sorta di richiamo della foresta. Articolo Uno mi pare invece intronato, come abbagliato da uno Zingaretti che proprio non li vuole, perché sarebbe la rottura con i renziani, rinviata a dopo le elezioni. Tutti, insomma, alla ricerca disperata di una sopravvivenza sempre più difficile da raggiungere. Che forse non ci meritiamo.