La bellezza e il peso della sfida ecosocialista.
Il pippone del venerdì/82
Intanto diciamo una cosa: dopo mesi passati in riunioni inutili e autoreferenziali in cui si parlava di tutto meno che di politica, ho passato un fine settimana ascoltando interventi, molti anche di altissimo livello, nei quali non soltanto si affrontavano temi di carattere teorico, ma si combinavano anche con la vita delle persone in carne e ossa. Se poi da questo fine settimana prenderemo gli spunti per ripartire e imboccare finalmente la strada giusta, questo non lo so. Comunque sia, che ho fatto nel fine settimana scorso? Sabato giornata dedicata ai 20 anni di Italianieuropei, si inizia la mattina e si va avanti fino alle sei di pomeriggio. Punto di partenza il “manifesto dei 120”, ovvero il documento a metà strada fra economia e politica che vorrebbe ridisegnare il sistema politico europeo e la distribuzione dei fondi. Primo firmatario l’economista francese Thomas Piketty. E che c’entra con la vita concreta di ognuno di noi? Beh, più fondi europei destinati all’integrazione, allo sviluppo, una gestione finalmente democratica degli stessi, sono temi che hanno a che fare con il nostro “mettere insieme il pranzo con la cena” o no? Secondo me sì e se fossimo ancora in grado di fare politica saremmo anche impegnati a spiegarlo ai cittadini. Che poi, gli italiani, un tempo, la capivano anche l’importanza dell’integrazione europea. Lo ricordano in pochi, ma l’11 maggio dell’89, ci fu un referendum in cui si chiese agli elettori se volevano trasformare la Comunità economica in una Unione di Stati, con tanto di governo responsabile di fronte al Parlamento. Votanti 80 per cento degli aventi diritto, Sì 88 per cento.
Ricordi a parte, a cominciare dal manifesto per l’Europa si sono sviluppati interventi di buona parte dei cervelli migliori della sinistra italiana. I giornali hanno sintetizzato così: D’Alema rientrerà nel Pd, appoggiando Zingaretti. Qualcuno è arrivato addirittura a dire che sarà lui il presidente del partito in caso di vittoria del governatore del Lazio alle primarie. Dove abbiano preso questa convinzione non si sa, ma D’Alema è stato addirittura costretto a scrivere una lunga lettera a uno dei giornali su cui erano uscite le illazioni, spiegando che lui al Pd non è iscritto né ha intenzione di iscriversi e quindi non si occupa della scelta del segretario di un partito a cui non è iscritto. Altra cosa è, ovviamente, guardare con attenzione – e anche preoccupazione, aggiungerei io – al dibattito di quella che, a torto o a ragione, viene ritenuta dagli elettori una forza di sinistra, l’unica che abbia ancora una certa rilevanza elettorale.
Domenica, invece, dedicata alla manifestazione nazionale organizzata da Articolo Uno dopo il fallimento di Leu. Apro una parentesi: il dibattito fra gli ultras che si contendono la colpa della mancata trasformazione della lista elettorale in partito non mi appassiona. Liberi e Uguali, dei quali sono stato uno dei sostenitori anche post-mortem, non esiste più. Perché i partiti che avevano promosso il progetto hanno preso strade differenti. Sinistra Italiana ha da tempo annunciato che pensa a un listone per le europee insieme a Rifondazione e gli altri cosiddetti antagonisti, progetto alla testa del quale si è posto Luigi de Magistris, Articolo Uno ha a lungo tentennato, atteso non si sa bene quale evento, poi alla fine ha annunciato questa iniziativa dal titolo programmatico “Ricostruzione”.
Ho l’impressione che siamo ancora allo sgombero preventivo delle macerie, ma mi si sono disciplinatamente seduto ad ascoltare per cercare di capire se ne può uscire qualcosa di buono. Francamente alla fine non saprei dirvi. Io la vedo così: nell’attesa di capire se il Pd esisterà ancora, imploderà, scomparirà, è il caso di darsi una svegliata e provare a tenere insieme quel popolo che si è riconosciuto in Liberi e Uguali. Per farlo serve una formazione autonoma della sinistra, io non aggiungerei altri aggettivi perché spesso quelli che si sono definiti radicali erano più accondiscendenti dei riformisti e, a loro volta, i riformisti hanno chinato la testa alle multinazionali. Poi, quando il Pd deciderà cosa fare da grande si porrà il tema del rapporto da costruire. Per quanto mi riguarda sono d’accordo con le parole che ha detto il coordinatore di Mdp, Roberto Speranza, domenica scorsa: “Il Pd è figlio di un tempo che non c’è più, di una stagione politica ormai superata. Non c’è più il bipolarismo nel nostro Paese che aveva oggettivamente favorito l’aggregazione tra socialisti e liberal-democratici, e non siamo più nella fase espansiva della globalizzazione in cui la sinistra, in tutto il mondo, è stata subalterna al neoliberismo. Sono venute a mancare le ragioni storiche per cui è nato il Pd. Non so quali saranno i tempi, ma a me pare chiaro che siamo dentro un processo ormai inarrestabile. E mi pare che la discussione attorno al loro congresso sia un’altra prova molto chiara di ciò che sta avvenendo”.
Se questa è l’analisi, appare evidente come non avrebbe senso pensare di rientrare in un partito che si considera finito. Malgrado il tema sia stato affrontato con chiarezza, gli ultras continuano a dire che è tutta tattica. Passerà anche questa, faccio solo notare che se impiegassimo a fare politica, a parlare di problemi veri metà del tempo che spendiamo a parlar male di noi stessi forse non saremmo arrivati a questo punto così basso. I social avranno anche le loro colpe, ma secondo me non fanno che amplificare quella deleteria attitudine al pettegolezzo che ha afflitto la sinistra italiana negli ultimi decenni.
Prima di chiudere questo pippone prenatalizio torniamo rapidamente al punto: la proposta che avanza Articolo Uno per provare a ricostruire una presenza di sinistra in questo paese è la nascita, partendo da un documento che viene posto come base di discussione e dalla creazione di comitati locali, di una forza che riunisca ecologia e socialismo. Abbiamo delle tesi e i luoghi dove ragionarci su, insomma. La tesi centrale è quella dell’ecosocialismo, come valore fondante della nuova sinistra italiana. Non una novità nel panorama mondiale, parole assolutamente originali, se si escludono alcune esperienze marginali, nel panorama italiano. Originali e impegnative, aggiungo io. Impegnative perché l’ecosocialismo è una corrente di pensiero secondo la quale non basta la classica riconversione ecologica dell’economia per salvare la razza umana dall’estinzione. Secondo gli ecosocialisti è il capitalismo stesso, con il suo smodato bisogno di bruciare risorse, a essere incompatibile con una politica che ci porti fuori dalla minaccia del climate change. E quindi per salvarci da quella che ormai sembra non solo una profezia di sciagura futura ma una realtà che tocchiamo con mano ogni giorno, servirebbe una società diversa, socialista appunto, dove il “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni” diventa la chiave di volta per garantirci il futuro.
Insomma, una roba impegnativa. Una forza politica, dunque, che necessariamente non potrà avere come orizzonte quello di un appuntamento elettorale, ma che avrà bisogno di tempo per mettere radici nuove nella carne della nostra società. Una bella sfida. Di sicuro servirà tanta coerenza, e facce nuove, un gruppo dirigente da selezionare da capo. A me sarebbe piaciuta un’altra solidarietà generazionale fra i vari Civati, Speranza, Fratoianni, Fassina, Laforgia, Muroni. Un gruppo di ragazzi che non ha saputo trovare le ragione della sintesi, peccato. Sono invecchiati anzitempo. Vedremo se questa sinistra disastrata saprà accettare il guanto di sfida che ha lanciato Articolo Uno domenica scorsa. Intanto un consiglio lo voglio dare: trovate un grafico bravo, perché la rosa stilizzata di Ricostruzione faceva piangere.
Ps: buone feste, anche il pippone se ne va in vacanza.