L’Italia riapre tutto senza aver imparato nulla.
il pippone del venerdì/141
Da lunedì, ormai manca soltanto l’ufficialità ma già si sa tutto, si riapre praticamente l’intero Paese. E malgrado i continui appelli alla prudenza del ministro della Salute, c’è già da settimane un clima quasi di festa. Nei parchi, almeno a Roma, sono ricominciate addirittura le partitelle a pallone, disturbate più dall’erba alta che dai controlli dei vigili, inflessibili fino a qualche giorno fa, ora tornati distratti. Quasi offesi per il potere di veto sulle nostre vite che gli è stato tolto man mano. Che poi è anche paradossale: da un lato atleti ipercontrollati devono stare a dieci metri di distanza l’uno dall’altro, mentre stormi di ragazzini scatenati dai due mesi di clausura scorrazzano indisturbati dietro la palla. Stranezze.
Non è che i dati sull’epidemia ci diano tutta questa tranquillità. Siamo stabilmente intorno al migliaio di contagiati al giorno, cifre che, quando si sono presentate nei mesi scorsi ci avevano portato a chiudere tutto e in gran fretta. Certo il verso della curva non è più verso l’alto, anzi tende a una graduale diminuzione. Ma soprattutto è un fatto psicologico.
Con buona pace sia dei prudenti che dei pasdaran, quelli che avrebbero messo l’obbligo della mascherina anche per andare dal salotto alla cucina, l’italiano medio ha deciso che l’epidemia è finita. O che almeno, visto che l’ha scampata fino ad ora, non gli toccherà neanche in futuro. C’è già la fila di prenotazioni dai parrucchieri, le mascherine per molti sono poco più che un oggetto ornamentale da portare al collo.
Il sintomo di questa normalità ritrovata è rappresentato in pieno dal ritorno in patria di Silvia Romano. Ora, non vi tedierò per troppo tempo. Ma il fatto che gli odiatori social si siano scatenati contro questa ragazza è un chiaro segnale del rompete le righe: stanchi di prendersela con il governo cattivo che non ci fa uscire, con i runner, le mamme con i bambini, i proprietari dei cani, siamo tornati a bersagli più classici. Ora, non vi tedierò neanche con ragionamenti astrusi: per me ognuno è libero di fare quello che vuole e le convinzioni religiose di una ragazza non sono affar mio. Vorrei soltanto mettere in evidenza che negli ultimi mesi ci sono stati altri ostaggi liberati, alcuni dei quali a loro volta si sono convertiti e si sono presentati senza le nostre consuete uniformi da occidentali per bene. Non mi risulta che siano stati investiti della stessa ondata di odio sociale. Ma qui stiamo parlando di una donna, per di più non andata in vacanza ma per aiutare gli africani. Ci sono tutti gli elementi, insomma, per uno scandalo vero e proprio.
Siamo tornati al nostro consueto mondo fatto di pregiudizi e razzismo. Il maschilismo neanche tanto nascosto di questi giorni lo dobbiamo inquadrare così.
E’ chiaro, almeno per me, che questa epidemia non ci ha insegnato molto. Lo scrivevo qualche settimana fa, con il mio sano pessimismo, che non ne saremmo usciti migliori. Non che voglia usare il classico “ve l’avevo detto”, non ci voleva certo un veggente per capire quello che avevamo di fronte.
Non siamo stati cambiati dal virus, siamo semplicemente gli stessi di prima. Magari avremo più paura degli innocenti pipistrelli, ma poco altro, Sarebbe da augurarsi, ma anche su questo il dubbio è quasi una certezza, di aver capito qualche lezione, almeno sulle grandi scelte che ci attendono.
Intanto: la sanità non è un costo, ma un investimento. Finiamola di trattare tutto come se fosse un’azienda. E finiamola anche con il mantra del “servono nuovi ospedali o almeno bisogna riaprire quelli vecchi”. Fatta eccezione per la Lombardia, ma lì i danni sono proprio cerebrali e quindi pressoché irreversibili, gli ospedali italiani hanno retto bene l’urto della Covid-19. I posti in terapia intensiva, pressoché raddoppiati in poche settimane non sono stati mai occupati con un tasso maggiore del 70 per cento dei letti disponibili. Abbiamo punte di assoluta eccellenza, l’istituto Spallanzani innanzitutto, che sono una garanzia assoluta. E vanno non soltanto preservate, ma rinforzate.
La sanità è innanzitutto un investimento. Per noi stessi, per la nostra sicurezza. Certo, poi gli investimenti vanno fatti nella direzione giusta. Mi chiedo ad esempio se non sia possibile un modello alternativo alle Residenze sanitarie assistenziali, le famigerate Rsa. Se non si debba puntare a servizi sanitari e socioassistenziali che puntino ad evitare l’accesso in ospedale. Anche qui, va ripetuto fino alla noia: dove la rete della medicina territoriale è stata gelosamente conservata, abbiamo retto meglio all’epidemia. Il disastro c’è stato dove la sanità è tutta centrata sugli ospedali. Un modello che non va bene in tempi normali, ma diventa addirittura pericoloso in tempi di emergenza. Perché si creano enormi potenziali focolai proprio nei luoghi dove ci sono i malati. Non sono un virologo, ma mi pare evidente che un’epidemia si limita isolando i contagiati, se li metti invece insieme agli altri malati diventa una strage.
Abbiamo imparato quanto è importante la ricerca pubblica? Senza condizionamenti del mercato? Abbiamo imparato che le università non si devono cercare gli sponsor ma devono essere finanziate dallo Stato? Non si tratta di una differenza da poco. Perché quando hai uno sponsor fai ricerca condizionata dal ritorno che il mecenate pretende di avere e quindi ti orienti su settori specifici che avranno anche una utilità immediata, ma spesso non portano a nulla dei veramente nuovo. Quello che fa andare avanti il mondo è la ricerca pura, non quella su come si migliora un detersivo.
Abbiamo imparato che il blocco del turn over nella pubblica amministrazione non ci porta né efficienza né uno stato più snello, ma semplicemente riduce il pubblico impiego a un esercito di pensionandi demotivato, che non solo non ne vuole sapere di usare le nuove tecnologie, ma le vive come un nemico ignoto? Solo soltanto spunti, si potrebbe continuare per ore.
Qualche passo compiuto dal Governo Conte in piena emergenza, penso all’aumento dei fondi destinati alla sanità ci fa anche ben sperare. Ma è adesso, che avremo a che fare con la cosiddetta nuova normalità, che vedremo se questa coalizione un po’ strampalata avrà le forze per mettere mano almeno a qualche correzione. Tornare ad esempio a una sanità uguale per tutti i cittadini sarebbe il minimo sindacale. L’importante è, lo ripeto ancora, dimenticare i sondaggi e governare davvero.
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